La villa dell’alchimia: elementi alchemici ed esoterici di Villa Palagonia

Nel suo secondo libro, “La villa dell’alchimia Elementi alchemici ed esoterici di Villa Palagonia”, Piero Montana già autore di “Bagheria esoterica” parla delle sensazionali

scoperte fatte al suo interno, in base alle quali essa viene a configurarsi sotto un nuovo e sorprendente aspetto, quello di villa dell’alchimia ossia di una dimora filosofale, abitata dal VI° Principe di Palagonia, Ferdinando Francesco Gravina Junior, dedito alle scienze occulte, come dimostrano i numerosi simboli esoterici raffigurati in pittura sulle pareti delle sue stanze e perfino sugli specchi del suo grande salone. Queste scoperte sensazionali gettano una nuova luce su quella, che in tutto il mondo è comunemente nota come la “Villa dei mostri”, dei quali però mai nessuno ha saputo dare una spiegazione esauriente e che trovano invece una chiara e comprensibile chiave di lettura nell’alchimia.

Le statue dei musicisti, comprese tra di essi, infatti per il nostro autore simbolicamente rappresenterebbero la diabolicità di un tempo in cui si mise a morte Dio e lo si sostituì con la dea Ragione.

In questo suo libro pertanto Montana spiega la concezione alchemica che soprattutto in epoca medievale si ebbe della musica strumentale, fatta poi propria anche da grandi artisti del Rinascimento quali Raffaello e soprattutto Hieronymus Bosch, che nel suo famoso “Inferno musicale”, pose gli strumenti musicali all’inferno, facendoli diventare, per la legge del contrappasso da strumenti di delizia dei sensi a strumenti di tortura.

Tale concezione si fondava sulla netta distinzione tra una musica, ritenuta nobile, quella vocale e una musica inferiore ed infernale, quale allora era considerata la musica strumentale.

E’ questa concezione alchemica della musica strumentale, che meglio si prestava, per così dire, ad illustrare le idee del nostro Principe.

Infatti per un uomo appartenente all’alta aristocrazia, quale il nostro Palagonia, le nuove idee, che venivano ad affermarsi con l’avvento del pensiero illuminista, non potevano che essere suggerite ai filosofi del così detto “Secolo dei Lumi” dal Diavolo in persona, che con esse mirava a scardinare l’impianto teocratico su cui si fondava l’Ancien Régime.

Era questa la vera ragione idolatrica della filosofia illuminista, che la Rivoluzione francese avrebbe attuato: mettere a morte Dio e sostituirlo con un idolo, quello della dea Ragione.

Le idee di uguaglianza e liberta per le quali i rivoluzionari lottavano, non erano altro che strumenti di cui si serviva il Maligno nella sua opera di seduzione delle masse, per attuare il suo vero piano, quello di una rivolta contro Dio.

Villa Palagonia, in quel tempo diabolico, a causa di quanto accadeva, volle scientemente costituirsi come dimora filosofale, come dimora dello Spirito, concepita anzitutto come roccaforte in difesa delle idee e dei valori della Tradizione, che in Dio Altissimo aveva il suo fondamento.

In questa roccaforte preclusa ai sacrilegi il nostro Principe coltivò le scienze ermetiche, occulte al fine di trovare quella Pietra Filosofale che gli avrebbe permesso di consolidare quello spirito nobiliare da porre come resistenza all’invasione di idee e forze sovversive, miranti a scardinare l’assetto teocratico della sua società.

Le statue dei musicisti mostrerebbero dunque, a uno sguardo indagatore più attento, un’intima connessione con le statue dei mostri veri e propri. Questi mostri infatti non solo sarebbero, secondo l’interpretazione che ne dava Cicerone nel suo libro “De divinatione”, presagi di sventura ma verrebbero a rappresentare anche l’incarnazione diabolica del Principe del male, a cui, nel tempo in cui visse il nostro Palagonia, si doveva attribuire la sovversione dei valori teocratici, che sarebbe culminata con l’avvento della Rivoluzione francese.

Per quanto riguarda la scoperta, nella villa del nostro Principe, dei simboli, che testimoniano della sua vasta cultura esoterica, Montana sostiene anzitutto che essa almeno in parte gli sarebbe stata trasmessa dalla sua stessa famiglia, che nel suo stemma nobiliare aveva apposto, vantandosene, scolpita in pietra, l’immagine del collare dell’Ordine del Toson d’Oro, ordine alquanto noto nella letteratura alchemica, che ne  svelava  le origini esoteriche strettamente connesse alla ricerca e alla fabbricazione del Lapis, della Pietra filosofale.

Lapis, il cui simbolo Montana a differenza di altri, non individua nell’immagine della “pianta del corallo”, raffigurata, all’interno della sua villa, in alto ai quattro angoli del salone degli specchi, ma nella rappresentazione di una coppia formata dalla figura di un uccello e quella di un ramoscello di corallo, che non va inteso come ramo di una pianta, giacché il corallo scientificamente non é di natura vegetale bensì animale, costituendo esso una colonia di animali marini affini ai pesci. E’ questa coppia, fa notare Montana, che costituisce il simbolo della vera Pietra filosofale, in quanto essa confermerebbe quanto sostenuto da vari alchimisti nei loro trattati e cioè che il Lapis <<lo portano gli uccelli e i pesci>>, sul cui significato simbolico e spirituale il nostro autore dà delle esaurienti spiegazioni. Ma forse la scoperta più sensazionale di Montana consiste nell’aver svelato il mistero del cavallo bianco, sottostante alla raffigurazione del Lapis. Tale cavallo infatti secondo la lettura ermeneutica che ne fornisce l’autore, che per essa ricorre a “Simboli della trasformazione” di Jung, rappresenterebbe lo Spirito Santo.

Solo un tale Spirito, la Sophia, la Sapienza di Dio poteva costituire il fondamento della Pietra Filosofale, che gli alchimisti, come da essi ripetutamente affermato, viene conseguita solo per illuminazione divina.

Ora la proprietà più nota di una tale Pietra è la proiezione ossia la moltiplicazione dell’Oro filosofale, con il quale però deve intendersi non l’oro volgare bensì il prodotto della trasmutazione della materia nella sua quinta essenza, della materia in Luce trascendente, simboleggiata dall’oro, o per essere ancora più espliciti, il prodotto derivante da tale trasmutazione ossia lo Spirito.

Ne consegue per Montana che non é improprio collegare tale proprietà a quella degli specchi, posti sul soffitto del grande salone della villa, che avevano il potere di moltiplicare le immagini delle persone che in esso venivano a trovarsi, e dunque delle persone dei nobili, i soli che potevano avere accesso in tale salone.

Gli specchi infatti, secondo  antiche credenze, potevano  contenere non solo le immagini immateriali di persone in essi riflesse ma anche i loro spiriti. Da qui tutta la loro magia, della quale Montana promette di parlarci in un suo prossimo libro, che verrà ad indagare per l'appunto sulle proprietà degli specchi di Villa Palagonia. A riguardo intanto in questo suo presente volume il nostro autore ci ricorda l'usanza, ancora in voga fino a non molto tempo fa, di ricoprire gli specchi qualora in casa uno dei suoi abitanti veniva a mancare, giacché si pensava che lo spirito o l’anima del defunto nello staccarsi e dipartirsi dal corpo in tali specchi poteva venire intrappolato.

Basandosi su una tale credenza, e ritenendo che gli specchi contenessero assieme all'immagine anche lo spirito di una persona vivente (1) in essi riflessa, il nostro Palagonia pensò dunque di poterlo estrapolare dalle loro superfici, in un processo magico finalizzato alla sua materializzazione e moltiplicazione.

A tale scopo egli si servì del suo salone degli specchi, come strumento catottrico funzionale alla sua immaginazione creatrice.

Confidando nelle idee di Paracelso, che all’immaginazione attiva attribuiva un grande ed illimitato potere, il nostro Principe come ogni vero mago volle operare su tali immagini per dare ai loro spiriti, una concreta realtà esistenziale da contrapporre a quella sempre più numerosa di personalità diaboliche all’interno della società del suo tempo.

Il salone degli specchi fu dunque luogo di esperimenti magici ed alchemici, miranti tutti alla realizzazione della Grande Opera: la materializzazione e moltiplicazione dello spirito aristocratico. Operazione questa dal Principe ritenuta di prioritaria esecuzione, giacché solo dalla sua riuscita dipendeva nell’immediato la salvezza per la classe degli aristocratici, alla quale egli stesso apparteneva, e che nel suo tempo era così contestata e messa in pericolo dai filosofi illuministi, fautori di quella Rivoluzione francese, che spietatamente l’avrebbe condotta agli orrori della ghigliottina.

1) Anche ai nostri giorni i maghi possono operare attraverso l’immagine, attraverso dunque una semplice foto di una persona in essa ritratta, ritenendo che di questa immagine fa parte anche lo spirito, che essi possono pertanto paralizzare, rendere inattivo, bloccando così del tutto o solo in parte il meccanismo vitale del soggetto fotografato, col paralizzarne totalmente o solo parzialmente il suo corpo. Questo, per quanto incredibile, è quel che anche René Guénon pensava potesse accadere a causa di certi sortilegi ed operazioni magiche, da cui si spiega il suo netto rifiuto a farsi ritrarre e fotografare.

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