Salvatore Sisinni, “CARAVAGGIO: La follia oltre l’arte” (Ed. SetteMuse) – di Luigi De Mitri*

L’arte di Caravaggio

 
La condanna di negatività sull’età barocca proposta da Benedetto Croce è stata superata dalla critica moderna, così come non è più umanamente condivisa l’opinione che tale periodo sia da considerarsi di decadenza. Tutto questo nasce dalla considerazione che questa nuova fase artistico-culturale, avendo avuto come fine quello di persuadere il credente, attraverso immagini accattivanti, dell’esistenza di Dio e dell’essenzialità della Chiesa di Roma, si è portati a non riconoscere del tutto la partecipazione soggettivo-emotiva dell’artista.
Questo è da escluderlo, perché non avremmo avuto in questo periodo poderose personalità artistiche come il Bernini, il Borromini, Pietro da Cortona, il Carracci, il Caravaggio, il Baciccio e Andrea del Pozzo.
 
Il problema vero è che gli artisti e la gente comune hanno sentito con la massima sincerità e spontaneità di aiutare la Chiesa di Roma nel superare il grave momento storico causato dalla Riforma Protestante perché allora, e stranamente come oggi, hanno avvertito, come avvertiamo, minacciate le nostre radici culturali-religiose. Che da una parte i Pontefici e dall’altra le famiglie dei Barberini, i Pamphili, e dei Chigi si siano serviti degli artisti per esaltare le loro famiglie e la Chiesa, a me sembra cosa valida e giusta, normale ed ammirevole.
Comunque, è anche vero che mai come in questo periodo gli artisti hanno avuto una vasta libertà di temi che hanno liberamente rappresentato, dalla natura morta al paesaggio e dal mendicante al ricco. Tanto che sia la natura morta che il paesaggio, in questo periodo, entrano di diritto nell’alveo dell’arte e con pari dignità della figura umana in una situazione del genere la ragione necessariamente doveva soccombere al sentimento e quindi alla Fede. L’equilibrio tra ragione e fede pensato da S. Tommaso verso la fine del XIII secolo coadiuvato dalla sua idea del bello, identità in armonia, ordine e simmetria, aveva dato impulso alla cultura occidentale dalla fine del Medio Evo ai primi del Rinascimento.
Ma con il Manierismo ed ancor più con il Barocco non trova più lo spazio giusto per essere sostenuto. Alla statica meditazione compositiva del Rinascimento, il Barocco sostituisce la dinamica forza della fantasia, ove tutto si muove, tutto diventa incontrollabile; materia, luce, colore concorrono a creare soluzioni che comunicano più con il mondo trascendente che con noi, poveri mortali, ma a noi basta vedere per aumentare la nostra fede e vedere che cosa ci attende aldilà della nostra esistenza.
Con il Bernini, architetto, lo spazio diventa incommensurabile perché dalla pianta centrale cinquecentesca si passa a quella ellittica. Come scultore alla calma ponderata del David di Michelangelo sostituisce un vortice di forze dinamiche che vede il suo David nel momento dell’azione. Il sentimentalismo religioso controllato del Carracci viene sostituito da un realismo soggettivo del Caravaggio e da visioni prospettiche mozzafiato di elementi di architettura e di figure viste dal basso del Baciccio e Andrea del Pozzo. È in questo momento storico così travagliato, che vive una delle figure più rappresentative del 1600, Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.
È stata senza dubbio una personalità stravagante, anticonformista, irrequieta e libera da qualsiasi regola sociale ma, come artista, non ha avuto eguali nel panorama pittorico del suo tempo, e non solo. Infatti la sua vita fu tutta maledetta dal fato fin dalla nascita, avvenuta a Caravaggio (Milano) il 29 settembre 1571. Il padre, Fermo Merisi, ed un fratello gli morirono nell’epidemia di peste del 1577 e a soli 21 anni morì anche la madre, Lucia Araton. Questi episodi luttuosi dovettero influire profondamente e negativamente sulla personalità umana di Caravaggio.
La mancanza di affetti così tremendamente importanti, a cui si tende la mano nei momenti difficili, fu la causa del suo tormentato temperamento; ma questo gli servì come fondamenta per costruire la sua legittima aspirazione che fu quella di mostrare a tutti il proprio talento.
Nel 1592 Caravaggio si trasferisce a Roma lasciando il suo paese natìo, la sorella ed il fratello Gian Battista. Trova Roma in piena rinascita, Sisto V aveva rinnovato in parte l’arredo urbano e architettonico. Clemente VIII e Urbano VIII seguirono la stessa strada al fine di far diventare Roma la capitale del Cristianesimo e promuovere la Controriforma. In virtù di questo, la città eterna pullulava di artisti provenienti da tutte le parti dell’Europa, perché era diventata una meta obbligata per i giovani talenti in cerca di fortuna e di fama.
Caravaggio arrivò a Roma presso Pandolfo Pucci, maestro di casa Colonna, con una missiva della Marchesa Costanza Sforza Colonna, figlia di Marcantonio Colonna, ammiraglio della flotta papale. Il soggiorno presso il Pucci non sarà stato di suo gradimento per il fatto che più delle volte gli dava da mangiare verdura tanto che il Caravaggio gli coniò il soprannome di Monsignor Insalata. Il suo temperamento così suscettibile non gli consentì di vivere presso il Pucci, tanto che dopo poco tempo decise di andare a vivere da solo.
A soli ventun anni completamente solo in una città grande come Roma, anche se era e rimane ospitale, dovette incontrare e superare enormi difficoltà per sopravvivere.
Verso il 1593 lavorò per un breve periodo presso il Cavaliere d’Arpino, che lo costrinse a fare sempre nature morte; non contento di questo lavoro lo lasciò per sfidare la fortuna. Sicuramente la sua capacità di dimensionarsi con i vari livelli della società, passando da lusso più raffinato alla gentaglia di strada, e principalmente il suo indiscusso ed evidente talento gli consentirono sempre di sbarcare il lunario. Fu attorniato da pittori compagni di viaggio, come Antiveduto, Gramatica, Lorenzo Mario Minniti e Francesco Boneri, e da prostitute come Fillide Melandroni e Maddalena Antognetti che in diverse circostanze posarono per lui e da lui furono eternati in veste di Martiri o di Santi. Ebbe anche la fortuna di avere come mecenate e protettore diversi personaggi potenti della Roma del suo tempo. In primis la marchesa Sforza Colonna che l’aveva visto nascere e crescere in quel di Caravaggio e che gli fu sempre vicina in ogni occasione, pronta ad aiutarlo anche attraverso interposte persone, amici o parenti. Come anche i cardinali Mario del Monte, Scipione Borghese, Ascanio Colonna Gonzaga e i ricchissimi committenti Vincenzo Giustiniani, Gerolamo Vittrici, Tiberio Cerasi, Villani, Siciliani e Lazzari.
Ma ebbe anche numerosissimi nemici, alcuni dei quali, per gelosia di mestiere, non esitarono a querelarlo per diffamazione come Giovanni Baglione e Tommaso Salini. Però lo stesso Giovanni Baglione, se pure in termini di negatività, non si sottrasse dall’inviarci notizie biografiche sul nemico Caravaggio, lo stesso dicasi per lo scrittore e teorico del movimento classicista Piero Bellori e del medico del Santo Padre Urbano VIII, Giulio Mancini. Questi tre biografi ci hanno inviato un ritratto inquietante sulla personalità di Caravaggio, sottolineandone il carattere irascibile, sempre pronto a risolvere qualsiasi controversia con la spada, “Torbido e contenzioso”, “scavezzacollo e violento”, “a mal termine si ridusse senza denari, e pessimamente vestito, sì che alcuni galant’huomini della professione facendogli la carità, l’andavano sollevando”.
Anche sul documento di espulsione dall’ordine Gerosolimitano viene sottolineato il brutto carattere di Caravaggio, da definirlo Putridum ed foetidum.
Nel 1602 aggredisce con la spada Mariano Pasqualone che lo querelò. Nel 1604 bisticcia seriamente con un garzone d’osteria, nello stesso anno viene messo in galera per aver aggredito due gendarmi; nel 1605 viene fermato per porto abusivo di armi, nello stesso anno ferisce un notaio, danneggia l’abitazione di una donna e in una rissa viene ferito con un’arma da taglio. Ma nel 1606 succede l’inevitabile, forse per un banale litigio uccide Ranuccio da Terni Tomassoni, in Campo Marzio Michelangelo Caravaggio ferette et ammazzò con una stoccata per dentro nella coscia Ranuccio da Terni del che a malapena confessato morì.
Il Caravaggio, nonostante ferito alla testa, riuscì a fuggire da Roma, rifugiandosi in alcuni possedimenti della Marchesa Sforza Colonna. Dopo quattro mesi il Tribunale Pontificio lo condannò alla pena capitale. Da questo momento sino alla fine dei suoi giorni, per Caravaggio sarà un continuo peregrinare. Si recò prima a Napoli, poi a Malta e dopo la nomina di Cavaliere di Malta, per motivi che non si conoscono, viene imprigionato nella guva. Riesce a fuggire da Malta e a sbarcare in Sicilia, prima a Siracusa, poi a Palermo, a Messina e di nuovo a Napoli. Dopo quattro lunghi anni di esilio, il Pontefice Paolo V, sollecitato dai suoi protettori, finalmente gli concesse la grazia. Ma quel fato maledetto, per il Pittore Maledetto era tardi: È morto Michel Angelo da Caravaggio pittore celebre a Port’Hercole mentre da Napoli veniva a Roma per la gratia da Sua Santità fattali del bando capitale che haveva. Anno di grazia 1610. Giovanni Baglione riferisce che l’artista come disperato andava per quella spiaggia (di Port’Ercole) sotto la sferza del Sol Levante a vedere se poteva in mare ravvisare il vascello che le sue robe portava, e arrivato in un luogo della spiaggia misesi in letto con febbre maligna e senza aiuto humano fra pochi giorni morì malamente, come appunto male haveva vivuto.
Così si chiude la storia umana di Caravaggio e incomincia quella del grande artista. I quattro anni che Caravaggio ha vissuto a Milano presso la casa-bottega del pittore Simone Peterzano, dal 1584-1592 come da contratto, stipulato dalla mamma Lucia per la somma di quarantaquattro scudi d’oro, sono stati importanti per apprendere la conoscenza delle tecniche ed i segreti del mestiere.
Conscio della propria preparazione e del proprio talento, Caravaggio nel 1592 decise di trasferirsi a Roma. Gli inizi sono stati difficili, come ho scritto nelle note biografiche ma alla fine è riuscito ad imporre la sua personalità artistica, fatta di rimandi tra la scuola Veneto-lombarda e Fiorentina. Nelle prime opere si evince la dolcezza poetica del colore, della luce, ed il taglio compositivo delle mezze figure che ricordano il Giorgione o il Tiziano, senza tralasciare Lorenzo Lotto, Giovanni Gerolamo Savoldo, Alessandro Moretto per la cura dell’oggettivazione, o il grande Leonardo per le composizioni gestuali o Parlanti.
Successivamente stando a contatto con il colto Cardinale del Monte e con tutto il suo entourage, Caravaggio è riuscito a maturare un linguaggio artistico più colto, ove non mancano rimandi di altre grosse personalità del 1500.
L’occasione per dimostrare a tutti di aver raggiunto una notevole maturità artistico-culturale gli viene procurata dallo stesso Cardinale del Monte che intervenne personalmente presso Virgilio Crescenzi, convincendolo di affidargli l’incarico di dipingere tre tele grandi per la Cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma. La cappella fu sequestrata nel 1565 dal francese Cardinale Mathieu Cointrel, poi Cardinale Contarelli, il quale prima della sua morte nominò Virgilio Crescenzi esecutore testamentario. Lo stesso aveva affidato la decorazione pittorica al Cavalier d’Arpino il quale dopo aver dipinto la volta, rinunciò di proseguire i lavori per altri impegni, ritenuti da lui più importanti. L’incarico a Caravaggio gli fu affidato nel 1599 e consisteva nel dipingere tre tele grandi, la Vocazione, il Martirio e San Matteo e l’Angelo.
La Vocazione ritengo che sia l’opera in cui Caravaggio ha raggiunto il punto più alto della sua formazione e della sua genialità perché è un’opera molto sentita, ove nessun atteggiamento o gesto pecca di teatralità, come in alcune sue opere.
Il Cardinale Contarelli, morto intorno al 1585, aveva lasciato per iscritto al suo testamentario Crescenzi come doveva essere impaginata la composizione da parte dell’artista esecutore:
San Matteo dentro un salone ad uso di gabella con diverse robbe che convengono a tale officio con un banco come usano i gabellieri con libri, et denari. Da quel banco San Matteo, vestito secondo che parea convenirsi a quell’arte, si levi con desiderio per venire a Nostro Signore che passando lungo la strada con i suoi discepoli lo chiama.
Certamente non fu facile per il Caravaggio trovare la soluzione compositiva giusta per attenersi alle direttive del Cardinale Contarelli, perché la stessa si doveva articolare su tre punti: Strada, Salone e discepoli. Solo la sua genialità gli consentì una mirabile ed originale composizione in cui i tre punti richiesti ci sono, seppure in forma allusiva. Invece di un elegante e raffinato interno di un Salone cinquecentesco, in cui la prospettiva avrebbe dilatato gli spazi alla maniera del Veronese e del Tintoretto, Caravaggio pone il fatto storico in un angolo di una bettola in cui la prospettiva non trova posto se non sulla disposizione del tavolo, degli sgabelli e delle figure. La parete che fa da fondale alla composizione è posta parallelamente al Quadro Prospettico, il quale è posizionato ad una distanza da essa non più di m 2,50. la stessa presenta una piccola finestra dal taglio rettangolare e con quattro vetri rettangolari alquanto sporchi e sostenuti da una struttura in legno a mo’ di croce, che si inserisce efficacemente con la presenza del Cristo. I vetri a stento riescono a far passare la luce del sole che proviene dall’esterno, questo fa capire al fruitore che dietro di essa vi è una strada. Lo spazio è ridotto al minimo indispensabile per contenere le sette figure dipinte da non permettere al fruitore, seppure mentalmente, di entrarci dentro per partecipare all’evento. La composizione verte sulla costruzione di quattro quadrati ottenuti mediante i due assi principali, l’orizzontale e il verticale. Il riquadro in basso a sinistra, guardando il dipinto, si realizza tra la perpendicolare dell’asse verticale che coincide con la fine dell’imposta della finestra e la linea dell’asse orizzontale tangente con la fine del cranio della persona intenta a contare i denari che si trovano sul tavolo. In questo riquadro si gioca una buona parte del dipinto perché contiene, oltre alla figura di San Matteo, altre tre figure sedute intorno ad un tavolo, più metà della figura seduta posta in primo piano con le
 
 
 
spalle rivolte verso il fruitore. Il quadrato in basso a destra contiene due figure in piedi, il Cristo e San Pietro, più l’altra metà della figura di spalle. Il quadrato in alto a sinistra contiene in basso tre volti, quello di San Matteo, del paggetto e della persona con gli occhiali intenta a controllare il collega che conta il denaro mentre in alto vi è una parte della parete scorciata e di quella frontale, entrambe completamente spoglie e avvolte nell’ombra. Quello di destra in alto, contiene in basso i due volti di profilo del Cristo e di San Pietro, più il braccio e la mano destra del Cristo, mentre la zona in alto ospita l’intera finestra e un fascio di luce proveniente dall’esterno, la cui linea di separazione tra la luce e l’ombra parte dalla metà del lato di destra e si inclina a mo’ di diagonale, rasenta i capelli del Cristo e si dirige verso san Matteo.
Quindi ci troviamo di fronte ad una composizione ben organizzata e studiata nei minimi particolari, le cui componenti vuoti - pieni, spinte - controspinte, magnetismi psicologici -
gestuali, luce - ombra, prospettiva lineare - aerea, trovano il loro giusto equilibrio. Quindi, pensare che il Caravaggio non si sia servito di studi grafici prima di mettere mani a questa o a qualsiasi opera pittorica mi sembra inverosimile. Anche perché dall’analisi di tutti i suoi dipinti evinco una profonda conoscenza del disegno quasi alla pari dei grandi fiorentini.
Caravaggio catapulta all’interno di una bettola il racconto Evangelico dove all’improvviso, da come si evince dalle espressioni di meraviglia degli astanti, irrompono repentinamente con un movimento da destra verso sinistra, il Cristo con il principe degli apostoli. Il movimento direzionale verso San Matteo è evidenziato dalla figura di San Pietro che è posta in primo piano con il corpo inclinato in avanti e le gambe in posizione di moto. In questo particolare noto la grandezza di Caravaggio perché inclinando in avanti il corpo e la testa di San Pietro è riuscito a liberare il volto del Cristo per offrirlo al fruitore nel suo massimo splendore artistico. Il suo sguardo deciso, forte e tagliente, dà forza ed energia all’azione della sua mano destra che indica a San Matteo colui che lo deve seguire, lo stesso gesto, ma in maniera dimessa, è ripetuto da San Pietro.
Dall’altra parte san Matteo con lo sguardo meravigliato ed in incredulo fissa gli occhi del Cristo, si porta la mano sinistra con l’indice rivolto sul suo petto e gli risponde: Proprio io Signore? - Sì, proprio tu -. Questo perenne e straordinario dialogo tra il Divino e l’Umano è sottolineato da un fascio di luce proveniente dalle spalle del Cristo, la cui linea di separazione tra luce ed ombra si sintonizza sulla stessa direzione e rafforza quel magnetismo psicologico dello scambio di intesa tra i due.
È una luce che si muove tra realtà e irrealtà e non poteva essere altrimenti, perché solo così Caravaggio poteva superare il suo realismo ottenuto dal dialogo Artista - modello, per proiettarlo in una dimensione diversa e più confacente con le linee culturali controriformistiche. Infatti questo fascio di luce ha i connotati di un fascio reale che entra da un’apertura reale e con naturalezza illumina e modella tutto ciò che incontra, dall’anatomia all’espressione dei volti, dei gesti e alla qualità delle stoffe dei vestiti.
In questo Contesto, però, si carica di Qualcosa proveniente da un altro mondo, quello trascendente, che irrompe all’improvviso e ne segna la storicità dell’eletto. La stessa colpisce per primo il volto di profilo del Cristo non per intero ma solo la parte che va dall’altezza dell’occhio sinistro al mento e dal mento per tutto il collo. La fronte è in penombra, si intravede solo la linea che va dalla radice del naso all’attaccatura dei capelli, poi gradualmente diventa più scura da confondersi con i capelli che a sua volta sono interamente inglobati dall’ombra. È un’ombra decisa, forte e scura, che divora tutto ciò che cade nella sua ombra, come il corpo del Cristo ed una buona percentuale degli elementi costitutivi la composizione. Però, poi, ha la capacità di stemperarsi sulle zone in penombra facendo godere la figura o gli oggetti nella loro accezione tridimensionale.
Ritornando sul profilo del Cristo, Caravaggio con tocchi sicuri e rapidi delinea le zone in luce marcando con più intensità lo zigomo, parte della mascella e i muscoli del collo. Realizza un profilo anatomicamente perfetto, mediante la profonda conoscenza del mestiere, ma, come si sa, non basta questo, occorre nascere con il dono del Talento per superare il Segno ed entrare nel mondo dell’Arte, in cui i personaggi si caricano di energia vitale e vivono perennemente il proprio spazio e la propria identità psicofisica e Caravaggio è uno di questi.
Caravaggio ci sottopone un Cristo giovane intorno a 27-28 anni, forse un autoritratto con un volto zigomatico, scavato e magrolino, con un filo di barba nera e segna la linea della mascella e mette in mostra la guancia scavata e i muscoli tratti dall’azione della forza psicologica che si concentra nello sguardo, da cui parte come saetta l’ordine della chiamata. A questo si somma il gesto della mano destra protesa in avanti con l’indice rivolto verso San Matteo, da cui si sprigiona una carica di energia che va verso il prescelto. La posizione del braccio, della mano e la disposizione delle dita sono specularmente sovrapponibili al braccio e alla mano dell’Adamo di Michelangelo della Cappella Sistina, anche la posizione e l’apparato grafico della mano di San Matteo evocano la stessa personalità.
Caravaggio, per dimostrare l’attaccamento al Vero come valore imprescindibile per un pittore, non si sottrae dal far cadere la linea di separazione sull’altezza degli occhi del Cristo. La stessa è generata dalla linea della base di una ipotetica piccola apertura posta in alto sulla parete alle spalle del Cristo.
Alla raffinatezza della struttura fisica del Cristo, Caravaggio contrappone un San Pietro rozzo e massiccio, avvolto da un mantello alla maniera dei personaggi del Masaccio. La sua plasticità e monumentalità sono messe in evidenza dalle larghe e possenti spalle che sono sottolineate dalla intensa luce che si è adagiata e che modella con rigore oggettivo l’andamento delle pieghe del mantello senza lasciarsi andare ad interpretazioni personali. Il resto del corpo di San Pietro che va dall’altezza della vita in giù viene gradualmente inghiottito dall’ombra, mediante un sapiente studio del vero, articolato tra zone in penombra ed ombra, capace di rendere visibile tutta la figura, a differenza del Tintoretto che qualche volta non lascia intravedere nelle sue figure quelle parti del corpo esposte ad essa.
Ho l’impressione che tra la luce intensa adagiata sia sul mantello di San Pietro di colore ocra come la pietra, il volto del Cristo, il fascio di luce sulla parete e il volto di San Matteo, ci sia un messaggio, che oggi diciamo, sublimato. La lettura di tale messaggio potrebbe essere che Dio Padre, raffigurato dal fascio di luce, condivida appieno la scelta del Figlio, perché sa, che il Figlio sa, che il prescelto sarà colui che insieme a Luca, Giovanni e Marco, scriverà la sua storicità terrena e San Pietro sarà colui che costituirà con blocchi di pietra la Chiesa ove nel suo interno per tutti i secoli che verranno si annunzierà al mondo la venuta del Figlio sulla terra. Forse questo messaggio di grande spessore dottrinale gli è stato suggerito dal colto Cardinale del Monte e Caravaggio con la sua genialità è stato in grado di tradurlo in immagine. A sinistra, come ho scritto, vi sono cinque figure, compresa quella di San Matteo, sedute intorno ad un tavolo rettangolare i cui lati lunghi sono posti parallelamente alla parete frontale. Le stesse sono abbigliate con abiti moderni e molto eleganti che cozzano con la povertà dell’ambiente.
Di queste cinque figure, due non partecipano al miracoloso evento perché sono molto prese nel contare il denaro tanto da non accorgersi di nulla. La figura seduta con le spalle rivolte verso il fruitore è quella che maggiormente sottolinea l’inaspettata presenza perché si presenta con lo spostamento repentino del corpo che è tutto inclinato a destra verso il Cristo e San Pietro, a tal punto da compromettere il suo equilibrio statico.
Caravaggio, nel dipingere il volto di San Matteo barbuto alla maniera dei filosofi greci, compone un vero e proprio miracolo di bravura, riesce a superare la materia pittorica per dare vita ad un personaggio Vero, la cui psiche si nuove tra meraviglia, sorpresa ed incredulità. Lo studio attento della realtà è noto a tutti che è l’elemento portante della personalità di Caravaggio, però è anche vero che da solo non sarebbe bastato se non avesse avuto da Dio quel Quid da consentirgli di trasformare la luce reale in luce spirituale. Infatti è la luce che successivamente sarà la protagonista in tutte le sue opere, come lo è in questa stupenda composizione la quale entra con impeto e a San Pietro, si divincola tra le figure e gli oggetti, gli dà vita e genera ampie zone di ombra e penombra che a loro volta danno origine ad un silenzio assordante metafisico che ne sottolinea l’intesa tra il Cristo e San Matteo.
Prima di concludere, segnalo alla attenzione dei lettori altri due riferimenti artistici, oltre a quello già citato di Michelangelo, che, secondo me, Caravaggio ha dovuto vederli e studiarli prima di impaginare il gruppo dove vi è San Matteo. Il primo riferimento riguarda il gruppo di persone sedute a sinistra (guardando l’opera) coincidente con quelle dell’Ultima Cena del Tintoretto, nella Chiesa di San Marco a Venezia. Il secondo riferimento è la figura seduta posta in primo piano con le spalle rivolte verso il fruitore, del gruppo di persone a sinistra della Cena di Emmaus di Paolo Veronese, nel Museo del Louvre a Parigi, in parte analoga a quella di spalle dipinta dal Caravaggio. Alla luce di questo, è vero che Caravaggio ha dialogato con la natura esplorandola nella sua essenza, ma è anche vero che ha saputo colloquiare con lo stesso interesse con le opere dei grandi maestri del passato e del suo presente. Questo fa parte dell’essere Artista, perché volando in alto alla stregua di un rapace si riesce sempre a distinguere quello che serve, a seconda delle proprie esigenze.
In piena solitudine e con sofferenze atroci muore a soli trentanove anni l’uomo Caravaggio ma non l’artista Caravaggio.
 
 
 
* Già docente di Disegno e Storia dell’Arte presso il Liceo Scientifico Giulietta  Banzi Bazoli di Lecce. Pittore, scultore e storico dell’Arte.
 
Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.