A proposito di Penitenti
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- Creato: 07 Marzo 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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di Carmelo Fucarino
C’è a Trastevere una chiesetta dedicata a San Francesco d’Assisi a Ripa Grande, il primo e unico santuario francescano, ornato di preziosi tesori, per tutti la sconvolgente statua giacente di Gian Lorenzo Bernini (1674), agonia della beata Ludovica Albertoni, estasi di esplosiva sensualità, stupore del bianco marmoreo su quell’abbagliante drappo in diaspro. Nonostante l’antichità dell’ordine i fraticelli in povertà istituzionale si sono valsi del modernissimo crowdfunding sul diffuso kickstarter per raccogliere 130 mila euro. Mi commuove in proposito il ricordo del fraticello che, metodico come le rondini, giungeva sulla nostra aia con l’asinello e la bisaccia per l’offerta del grano. Il nostro umile fra’ Caldino prizzese alla cerca del grano. L’odierna “cerca” elettronica è dedicata e necessaria per un intervento assai particolare e straordinario. C’è nel convento del santuario trasteverino una cella in cui soleva soggiornare nei sui viaggi a Roma (quattro tra il 1209 e il 1223) S. Francesco, quando scendeva a piedi la valli umbre per incontrare Innocenzo III e chiedergli l’approvazione della Regola.
Qui sorgeva l'abitazione del nobile romano Graziano Frangipane del ramo dei Settesoli, famiglia usa, come rivela il cognome, a distribuire pane ai poveri. Stava sui resti del ninfale Septizonium, eretto nel 303 da Settimio Severo come ala aggiunta della sua Domus Augustana. Qui si sarebbe tenuto il conclave del 1198 che elesse l’energico Innocenzo III, il tutore di Federico II, stupor mundi. Nella vicina Torre della Moletta la vedova Jacopa de’ Settesoli avrebbe ospitato Francesco e i suoi penitenti di Assisi nel 1223. Forse quei compagni che nel 1208 diedero inizio alla fraternità dei viri poenitentiales de civitate Assisii oriundi. Erano i primi e assai celebri Penitenti. O almeno così passarono nelle Cronache del Tredicesimo secolo, anche se l’ordo dei Frates de poenitentia era assai più antico e serviva alla Chiesa come strumento di lotta contro le eresie. Tralasciamo gli orrendi Flagellanti, anche se ancora oggi si sa di cristiani milanesi che di giorno fanno i politici e di notte praticano il cilicio. L’elemento che li distingueva indistintamente era la mutatio habitus, la scelta di quello scuro saio di lana grezza che tanti adottarono e che marcò la loro scelta di vita. La penitenza volontaria da una semplice apparizione pubblica in chiesa fu in seguito sottoposta ad una ferrea iniziazione di un anno. Si imponeva come altro distintivo la tonsura e la scarsa cura di barba e capelli. Esclusa naturalmente la vita mondana, esecrandi gli spettacoli di giullari e menestrelli, banditi i banchetti, peccaminosi e occasioni di risse, proibito il commercio, occasione di truffe. Il ricco mercante era pubblico peccatore.
Ci sarebbe tanto da dire, ma a noi interessa la vicenda della Jacopa, detta anche de’ Normanni, vedova tra il 1210 e il 1216, con la sua “casa dei frati”. Si trattava dell’Ospedale di S. Biagio a Trastevere cedutole dai Benedettini e ove almeno una volta soggiornò anche S. Francesco. Nel 1231 dopo la sua canonizzazione fu trasformato in convento e qui si mostra oggi la cella ove avrebbe soggiornato il Poverello. Il rapporto di devozione e di amicizia tra frate e vedova divenne così stretto che lui chiamò Chiara “sorella”, lei “frate Jacopa”. Celebre l’affidamento dell’agnellino che divenne compagno inseparabile della donna, tanto che «la signora teneva con ammirazione e amore quell'agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione» (S. Bonaventura, Leg. maior, cap. VIII, n. 7). E il ritratto fattosi fare per avere sempre vicina la sua immagine, ora nel romitaggio di Greccio. Ma soprattutto commovente il miracolo nell’approssimarsi della morte. Sentendo giunta la fine Francesco inviò a Jacopa una lettera: «A donna Jacopa, servo dell’Altissimo, frate Francesco, poverello di Cristo, salute nel Signore e unione nello Spirito Santo. Sappi, carissima, che Iddio, per sua grazia, mi rivelò che la fine della mai vita è ormai prossima. Perciò, se vuoi trovarmi vivo, vista questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli. Se verrai non prima di sabato non mi potrai trovare vivo. E porta con te un panno oscuro in cui tu possa avvolgere il mio corpo, e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo a Roma.» (FF 253-255). Narra ancora Celano che il messo si accingeva a partire quando si ode uno scalpitio di cavalli, un rumore di soldati, l'affluire di una comitiva. Era Jacopa. All’annunzio Francesco «Benedetto Iddio, il quale ci ha mandato il fratello nostro donna Giacoma! Ma aprite le porte, fatela entrare e conducetemela, perché per frate Giacoma non va osservata la clausura stabilita per le donne». Esultano gli ospiti tra le lacrime e perché nulla mancasse al miracolo, si ritrova che la santa donna aveva recato con sé un panno di color cinericcio, nel quale involgere il povero corpo del morente, e molti ceri, la sindone pel volto, un cuscino pel capo, e un certo cibo che al Santo piaceva, e tutto ciò che aveva desiderato lo spirito di lui, aveva suggerito pure il Signore (Celano, Trattato dei Miracoli, nn. 37-38).
Nello Speculum perfectioni (XI, 112) Francesco diceva al messo che avrebbe per grande grazia e consolazione se le spiegasse il suo stato e specialmente le spiegasse di mandargli quel panno religioso simile alla cenere e con esso anche quel cibo che gli faceva spesso nell’Urbe (ut de panni religioso qui in colore assimilari cineri mittat mihi et cum ipso panno mittat etiam de illa comestione quam in Urbe mihi pluries fecit). Si spiegava che i Romani chiamano quel cibo mortariolum, quae fit de amygdalis et zucario et de aliis rebus. La pia, innamorata del Santo, gli preparava nei suoi soggiorni romani i dolci nostri mustazzoli.
Questo piccolo dono ho voluto fare a quei sant’uomini e quelle sante donne dei Penitenti, amici devoti di Tommaso Romano (come si dice, tra parentesi e in segreto la Maria Patrizia Allotta, Elide Triolo, Giuseppe Bagnasco, Vito Mauro), per esaltare un dolce nostro che va troppo imbastardendosi rispetto all’uso antico. Basta un giro online per conoscere le ricette più bizzarre.
E nello stesso tempo ricordare il “Memoriale del progetto di vita dei fratelli e delle sorelle della penitenza, viventi nelle proprie case”, iniziato nell’anno del Signore 1221, «Incomincia la regola di vita dei fratelli e delle sorelle penitenti».