“La poesia come mezzo di resistenza contro le difficoltà e l'indifferenza generale*” di Lorenzo Spurio

 

Io non mangio, non bevo, non capisco altro che di poesia.[1]

 
Se ci si dovesse impegnare a raccogliere quelle che, a nostra ragione, sembrano le citazioni migliori sulla poesia, le sue funzioni e linguaggi, uscite dalla bocca degli stessi poeti con molta probabilità compileremo interi quaderni e non saremmo mai soddisfatti. Leggendo e ampliando la conoscenza di autori e dell'universo prismatico delle loro opere saltano alla luce, di continuo, rimandi, echi, richiami intertestuali, quando non dei veri e propri estratti, quali le citazioni in esergo o in maniera più velata, nella forma del cameo. Si tratta di un dire circolare che ritorna, che ha la capacità di scrivere le pagine della nostra letteratura e di farla colloquiare con quella di altre età, di periodi storici lontani, di sensibilità e correnti a noi apparentemente distanti perché ritenute obsolete o, al contrario, viste come non più percorribili. Eppure vale la pena ogni tanto fermarsi per cercare di ascoltare queste voci, questi richiami ad autori i cui nomi – spesso – ad una prima vista poco sembrano dirci, essendo estranei dai nostri manuali della storia letteraria, dagli insegnamenti – spesso così standardizzati e poco comparativi – a livello accademico, e tanto altro ancora. Studiare la poesia, infatti, non dovrebbe esaurirsi nello studiare un dato autore, le sue forme e i suoi linguaggi, il suo stile e le tematiche nevralgiche della sua opera, ma dovrebbe dar spazio e voce – vita, dovremmo dire – anche a quegli autori con i quali spesso il poeta “colloquia”, più o meno direttamente, dedicando liriche, impastando risposte e codici nella sua forma poetica che richiamano e rimandano ad altro, che sono tesi, cioè, a rendere la poesia fruibile a più livelli. Il poeta produce la poesia, vale a dire la crea, perché - come ebbe a dire qualcuno - se non lo facesse, ne starebbe male. Ma spesso la sua poesia, oltre che un bisogno primario, è anche un atto sociale, vale a dire una sorta di risposta – dai contenuti quanto mai diversi – verso un destinatario - sia personificato o meno. Secondo Giusi Verbaro “La poesia è sempre istanza sociale. È gesto di alta eticità del vivere”.[2]
Si crea di frequente, percorrendo le poesie che costituiscono una silloge e ancor più un compendio complessivo dell'opera omnia del dato autore una serie di collegamenti e richiami tra poeti (tra intellettuali di ogni branca[3], dovremmo dire, ma è interesse di questo studio, al momento, direttamente la poesia) che si ammiccano e si rispondono, a volte si contestano e si confutano con liriche tese alla negazione di un sapere, o alla presa di distanza, critica – quando non lamentosa – dinanzi determinate realtà, espressioni, modi di fare e di pensare. L'intertestualità di cui tanto ha parlato Julia Kristeva e che è ingrediente di fondamentale importanza di quella che, con Jameson, Vattimo ed Eco, ha permesso di essere definita come letteratura post-moderna è un procedimento interattivo automatico e spontaneo che è sempre esistito, in ciascuna direzione, foriero di rivelazioni rilevanti, di studi paralleli medianti accostamenti precedentemente creduti come inconsueti, di letture allargate e condivise, vale a dire di una letteratura che non è carta stampata, ma parlamento di voci, concilio di visioni, una ricercata polifonia di voci, intertesti, linguaggi stratificati. Si pensi al mosaico particolarissimo di citazioni che è La terra desolata di T.S. Eliot, testo fondante del modernismo anglosassone assieme ai capolavori di Beckett e Woolf e, per fare solo alcuni esempi eclatanti, i richiami in esergo così frequenti nei celebri Cantos di Ezra Pound rivolti verso la Commedia di Dante, il sottotesto della lirica trovadorica provenzale in Carta laniena di Scataglini, coniatore di una lingua tutta sua, sospesa e arcaica, a metà tra antico francese e gergo popolare anconitano. Penso anche alla lunga ode di Federico García Lorca all'uomo “con le farfalle nella barba”, il grande Whitman, capostipite della poesia americana assieme alla bucolica Emily Dickinson, voce indelebile di profonda espressività.
A rimarcare la difficile prendibilità e definibilità della poesia è Carl Sandburg, poeta americano celebre per le raccolte Cornhuskers (1918), Smoke and Steel (1920) e Good Morning America (1928)[4], che in una serie variegata di “Definitions of Poetry” (ovvero di “Definizioni provvisorie di poesia”) ebbe a rivelare: “La poesia è una serie di spiegazioni di vita che svaniscono in orizzonti troppo rapidi da spiegare”, con un riferimento alla critica spesso così pretestuosa e pedante, che si arroga di sapere e spiegare tutto, tra tecnicismi e possibili contenuti espressi in forma latente, fallendo o equivocando. Giusi Verbaro ha scritto: “Può capitare […] al fruitore[5], di “leggere” più di quanto lo stesso poeta voglia dire ed esporre nel gioco mobile e vario di appunti, allusioni, riflessioni, impressioni, osservazioni, descrizioni, ironie, negazioni e tutti gli altri possibili giochi mentali e verbali che fanno “petulante” il suo approccio con la realtà e con le cose”.[6] Questo perché, come sostiene lo stesso Sandburg in un'altra possibile definizione di poesia (tutte sotto la forma di aforismi, di dichiarazioni assertive che nascono dalla presa di coscienza di una data condizione, pur con occhi addolciti da una sensibilità particolarmente accentuata) dice: “La poesia è l'apertura e la chiusura di una porta che lascia chi vi guarda attraverso a fare congetture su ciò che ha visto per un istante”. Ancora una volta si rimarca lo spazio interstiziale tra autore e lettore, tra il creatore della poesia (colui che “ha il fuoco nelle mani”, per dirla alla García Lorca) e il suo possibile auditorium, gravato da un dire che non sempre può essere traslato in maniera inequivoca e accettabile in maniera unanime. C'è nella poesia, costitutivamente, un non-detto che il poeta chiede che venga rispettato, che non venga riempito esternamente in maniera arbitraria, a piacimento da chi ne analizza i contenuti, dando sfoggio alla sua erudizione che diviene la forma che plasma il contenuto stesso. Si potrebbe richiamare Montale e l'esperienza degli ermetici e dei post-ermetici ma sembra già potente e chiarificatrice, di per sé, una citazione tratta da Roman Jakobson nella quale si può leggere: “L'ambiguità è un carattere intrinseco inalienabile di ogni messaggio concentrato su se stesso: è un corollario della poesia”.[7] La congettura, dunque, vale a dire il pensiero in forma interrogativa, la critica investigativa, il disquisire fondato sulla multipla visuale, sono procedimenti che dovrebbero intervenire qualora si decida di avvicinarsi a un testo poetico. Non arrogandosi di spiegarlo smontandolo pezzo per pezzo, vivisezionando i versi, destrutturando i legami, i richiami tra parole, tra possibili piani semantici, ma mediante una critica speculativa che è un tentativo d'interrogazione della lirica stessa. Il critico, il “facitore di ciarle”[8] per dirla alla Ripellino, non dovrebbe dare una spiegazione – per quanto comunemente accettabile e condivisibile – netta, definita in maniera meticolosa, pregiudicante altre possibilità di scelta e di visione, perché così facendo contribuirebbe a svilire il testo, a privarlo del brio che lo costituisce, delle tante possibili versioni, letture, analogie, simboli e ipertesti possibili. Questo non significa che la critica debba farsi soggettiva, perché, se così fosse, verrebbe meno anche il significato stesso dell'approccio critico, ma dovrebbe essere maggiormente indulgente nei confronti del testo e ampliare gli argini di quel flusso lirico che tocca, nel suo corso, tante sponde diverse e non solo una o al massimo due. Un fiume che è fluidità e ampliamento, un divenire continuo, una creazione a cascata di letture, interpretazioni, accostamenti, come è stato evidenziato ad esempio nel corso degli anni con i tanti approcci della critica: dallo strutturalismo al marxismo, dal cognitivismo alle tendenze più affini alla nostra età che, pure, non mancano di mostrarsi sensibili verso l'interesse ambientale del pianeta (c'è un'ecopoesia e una biopoesia e, di riflesso, non può non esserci anche un'ecocritica[9]) quale filamento di un canovaccio che è stato protagonista per l'intero Secolo scorso, vale a dire il complicato e rissoso mondo delle dispute bioetiche. Di quell'impegno attivo e consapevole dell'uomo che, in forme a livelli differenti, è sempre stato presente nella storia dell'uomo ma che oggi è divenuta voce insopprimibile per la salvaguardia dei suoi diritti.
Sullo scarto tra autore e ricevente della poesia che sempre si compie Angelo Marchese ebbe a scrivere che “La miglior condizione sarebbe rifare all'indietro il percorso creativo dell'autore ricostruendo con massima correttezza e oggettività tutte le condizioni che presiedettero alla pluri-codificazione del testo, nella speranza (utopica) di poter raggiungere una perfetta coincidenza con l'emittente”.[10] Un viaggio che è impossibile da compiere, di cui si ha tale consapevolezza già in partenza, che rimarca, nell'accezione dell'utopia che Marchese fa risaltare, l'immancabile sovrapposizione di lettura dei contenuti e dei messaggi – in termini di completezza e indubitabilità tra poeta e pubblico.
Ricorrendo nuovamente a Sandburg, forse in una definizione di poesia che non solo è un tentativo ma è anche un giocoso disquisire, essa viene definita come “il raggiungimento della sintesi fra i giacinti e i biscotti”. Vale a dire deve esser concepita come la summa di aspetti tra loro pensati come diversi e lontani, proprio come lo sono i giacinti e i biscotti. Che a loro volta rappresentano la creazione (i giacinti nascono e vivono perché qualcuno li ha creati e li ha voluti in una data forma, il Creatore) e l'invenzione (i biscotti sono il prodotto delle tecniche dell'uomo vale a dire derivano dalla sperimentazione, dal lavoro e dalla produzione condotta dall'uomo). I giacinti sono essere vivi che seguono un processo di nascita-crescita-morte, i biscotti sono prodotti deperibili che, similmente ma in maniera non fisiologica, cambiano struttura, perdono capacità organolettiche, si induriscono e marciscono. La poesia, a detta di Sandburg, non è altro che l'intersezione tra quel mondo vitale e ricreato, tra la morte e la decomposizione, tra la crescita vegetativa e la dispersione delle fragranza, in una sintesi immaginifica e paradossale al contempo. Poesia è sintesi di un mondo di opposti o di varianti di forme, strutture, immagini, oggetti, simboli. La coordinazione e l'intervento di un progetto sinottico che permetta di relazionare realtà e parti di esse tra loro disgiunte, descrive bene quel circolo di collegamento, raffronto e rimando di cui l'intertesto, vale a dire la citazione, provvede a fare: “La poesia è l'esposizione di un pendolo che si connette con altri pendoli invisibili all'interno e all'esterno di quello visibile”.
Nasce anche da queste considerazioni l'idea di un'inchiesta sulla poesia[11], ideata e curata dal sottoscritto, composta da 21 domande aperte e 5 domande a risposta multipla disponibile a questo link. Tra le domande, oltre ai poeti preferiti e alla quantità dei libri di poesia letti, anche quesiti in relazione alla scena poetica odierna densa di virtuale e dove l'oralità sembra ridivenuta padrona indiscussa con performance, attacchi di poesia visiva, poetry slam e quanto altro. Ci si pone anche il tema della lingua, della rilevanza o meno dei concorsi letterari, degli autori che, a distanza di tempo dalla loro pubblicazione (e alcuni dal loro decesso) sono stati immotivatamente dimenticati dall'editoria, dalla gente, dalla critica. Un'iniziativa lanciata il 23 dicembre u.s. e che ha raccolto già le risposte di circa un centinaio di poeti attivi sulla scena culturale italiana e che rivela, data l'ampia adesione e la collaborazione partecipativa, l'esigenza di un simile progetto che possa non solo dar voce ai poeti per esporsi liberamente su alcuni caratteri, tendenze e approcci della forma poetica odierna ma anche consentire, nella lettura attenta dei vari dati pervenuti, una disanima concreta e fedele sulla poesia fatta non in generale, ma proprio da coloro che credono nell'atto magico e rigenerante della sua inconfessabile creazione.
 
 

 

* Il titolo del presente saggio trae ispirazione da una dichiarazione scritta del poeta e critico letterario Angelo Maria Ripellino che, in relazione alla sua opera Autunnale barocco, ebbe a scrivere: “L'esercizio della poesia è una prova di resistenza alle asperità quotidiane e all'indifferenza degli uomini”, in Angelo Maria Ripellino, Poesie. 1952-1978, Einaudi, Torino, 1990, p. 251.
[1] Lettera di Federico García Lorca indirizzata all'amico poeta Jorge Guillén, datata Granada, 2 settembre 1926 pubblicata in Federico García Lorca, Lasciate le mie ali al loro posto. Lettere agli amici e ai familiari, Passigli, Bagno a Ripoli, 2008, p. 73.
[2] Giusi Verbaro, Le tracce nel labirinto. Leggere e far leggere la poesia contemporanea, a cura di Caterina Verbaro, Rubbettino, 2019, p. 24.
[3] Si pensi, ad esempio, al continuo riferirsi a pittori e musicisti nelle poesie di Angelo Maria Ripellino tra cui quelle raccolte in La Fortezza d'Alvernia del periodo 1965-1966. Lo stesso autore in una nota di accompagnamento a questo volume ebbe a scrivere: “Ogni tessitura poetica è anche un amalgama e un compendio di citazioni. E per questo nel mio poemetto si incrociano rotaie di rimandi alla musica di Janáček e di Mahler e di altri compositori, al jazz e alla biografia di Charlie Parker, all'acerbità lessicale della nostra poesia del Due e del Trecento, alla pittura di Klee e di Max Ernst, a trattati di botanica – e ancora reminiscenze di rubriche taurine e di manuali turistici e images d´Épinal e di quelle diapositive a colori, che Kakadú non si stancava di proiettarmi”, in Angelo Maria Ripellino, Poesie 1952-1978, Op. Cit., p. 57.
[4] Nel nostro paese la prima traduzione di un'opera di Sandburg è Complete Poems a cura di Franco Lonati edito da Sedizioni di Milano nel 2017. Una presentazione del poeta con alcune sue poesie in lingua originale e tradotte da Franco Lonati sono stati pubblicati sulla rivista Poesia di Crocetti, anno XXXII, novembre 2019, n°353.
[5] Voglio intendere qui con fruitore tanto la critica, più o meno specializzata, che il pubblico comune che si approccia alla poesia.
[6] Giusi Verbaro, Le tracce nel labirinto, Op. Cit., pp. 42-43.
[7] Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, a cura e con introduzione di Luigi Heilmann, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 209.
[8] Poesia nr. 34 dalla sezione “Das letzte Varieté” della silloge Lo splendido violino verde, in Angelo Maria Ripellino, Poesie. 1952-1978, Op. Cit., p. 157.
[9] Guido Ferroni in un recente saggio dedica un breve capitolo anche a questo aspetto. Si legga Guido Ferroni, La solitudine del critico. Leggere, riflettere, resistere, Salerno Editrice, Roma, 2019.
[10] Angelo Marchese, L'officina della poesia. Principi di poetica, Mondadori, Milano, 1985, pp. 51-52.
[11] NOTA IMPORTANTE: Le domande dell'inchiesta sono state organizzate su un foglio Google mediante l'applicativo di Google Drive. Purtroppo non c'è un modo per rispondere a parte di essa, interrompere e ritornare a rispondere avendo salvato le precedenti risposte, per cui viene consigliato di aderire all'inchiesta in un momento in cui chi intende farla ha del tempo libero per poter rispondere a tutte le domande, senza vincoli di tempo. Al termine, una volta completata, si deve necessariamente toccare il pulsante “invia” o “termina inchiesta”, unico modo che consente al sistema di salvare le risposte e inviarle al sistema di raccolta. Quale conferma di corretto invio il sistema invia in forma automatica una mail per dare notizia dell'avvenuto invio. Il modulo della inchiesta è disponibile cliccando qui.
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