Oltre il “tempo del mercante”. Che la festa ritorni - di Mario Bozzi Sentieri

 

Per chi abbia a cuore (ancora !) il senso dell’identità e dell’appartenenza rispetto ad  una cultura profonda e senza tempo, la  Festa, rappresenta un caposaldo irrinunciabile. A condizione di capirne il significato profondo.

Il “tempo del Sacro” – si può dire citando Jacques Le Goff – è infatti diverso dal “tempo del mercante”, il tempo del materialismo e del produttivismo, nel quale la festa tradizionale è sostituita dal “tempo libero”, una mera “pausa” in cui l’assenza dal lavoro si coniuga con il consumo di massa ed individuale.

In questo senso il tempo libero si differenzia dal tempo delle feste, proprio dell’antico stile  di vita, allorquando   – come scriveva Edgard Morin (L’industria culturale) – “le feste, ripartite lungo tutto il corso dell’anno, costituivano il tempo delle riunioni collettive, dei riti sacri, delle cerimonie, della rimozione dei tabù, delle baldorie e dei banchetti”.

C’è spazio ed in che senso, oggi, per recuperare il valore  della Festa ? Nell’Italia dei mille borghi e delle mille culture tradizionali “ritrovare”  la  Festa significa coltivare la memoria ed insieme andare all’essenza del Sacro e dei valori che esso evoca, individuandovi una sorta di “riserva spirituale” per le singole persone e per le comunità. Particolarmente in tempi di spaesamento collettivo, come l’attuale,  che fanno emergere una nuova domanda culturale, intreccio tra fede e identità civile.

Non è solo Folklore, riti, vestiti e cibo. E’ senso di memorie e di comunità, da “rileggere” nella loro essenza con spirito nuovo. Un po’ quello che invita a fare Alessandro Giuli con il suo programma “Vitalia – Alle origini della festa” arrivato, da venerdì scorso, alla seconda stagione (su Raidue): molto più di un reportage,  quanto piuttosto una ripresa di consapevolezza rispetto al patrimonio culturale immateriale d’Italia, in particolare delle sue espressioni popolari legate al sacro.

“Vitalia” rappresenta una nuova chiave di lettura delle radici profonde di tali manifestazioni ispirate ai culti e ai riti dell’Italia antica: attraverso l’indagine delle varie stratificazioni storiche, il contatto con i custodi delle tradizioni locali (i geni del luogo), la valorizzazione delle sopravvivenze folcloriche e il recupero del repertorio etno-antropologico conservato negli archivi della Rai. Ogni puntata ha un tema portante centrato su una festa comunitaria, che il conduttore lancia dai luoghi della romanità antica e che si sviluppa nei siti archeologici dell’Italia pre-romana, ritrovando sempre a Roma la propria sintesi conclusiva.

Nel primo appuntamento Giuli è partito  alla scoperta delle radici di una delle feste più misteriose, popolari ed amate: il Carnevale,  col suo corredo di maschere e travestimenti. Un viaggio che  da Pompei, dove le maschere e il loro valore simbolico sono protagoniste sui muri delle ricche domus pompeiane, è poi approdato in Sardegna, dove  maschere fuligginose, pelli di pecora e campanacci animano  il carnevale di Mamoiada, con  i Mamuthones protagonisti della Festa, per proseguire tra le Domus de Janas, alla scoperta del culto del Toro, e  poi giungere al villaggio-santuario nuragico di Serra Orrios e alle camere mortuarie di S’Ena e Thomes, tombe di dei o forse di giganti, passando per Ottana e il suo carnevale, in Barbagia.

E’ il Sacro che  irrompe nel quotidiano e gioca un ruolo essenziale nello scompaginare la routine della vita ordinaria, mentre ritorna la comunità, grande assente nel tempo dell’io. E non serve Tönnies a farcene comprendere l’articolazione sociologica. Brillano di luce propria i resti di tradizioni insieme cristiane e pagane. L’invito è a comprenderne l’essenza spirituale, il loro valore senza tempo. Magari per provare a ritrovare un diverso “senso della vita”, antico, ma sempre attuale. E da lì una possibile “via d’uscita” rispetto alle inadeguatezze della contemporaneità.

Franco Cardini, a conclusione  di I giorni del sacro. Il libro delle Feste, un libro uscito nel 1983, ma tuttora ricco di suggestioni, invitava a “risacralizzare l’esistenza, e quella quotidiana non meno di quella festiva”, vedendo nella Festa un  “modello di come si sapeva stare insieme, di come si sapevano esprimere certi valori universalmente condivisi".

E’ un invito da non fare cadere. Magari sull’onda di una trasmissione televisiva, capace di intrecciare  celebrazione identitaria del presente e liturgia della memoria. Per non dimenticare e per riprendere consapevolezza di una Cultura senza tempo. E’ un lampo, forse. Ma, sapendolo cogliere, può aiutare a riflettere su ciò che siamo veramente, come popolo, e su ciò che potremmo essere, consapevoli che la  battaglia del futuro è oggi, sempre più, battaglia della memoria.

 

                                                                  

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