Anna Maria Bonfiglio, “Di tanto vivere” (Caosfera Edizioni), 2018
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- Category: Scritture
- Creato: 09 Gennaio 2019
- Scritto da Redazione Culturelite
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di Ester Monachino

Eccoci consanguinee, dunque, me e Anna Maria Bonfiglio. Così è che leggere i suoi versi in “Di tanto vivere”, poema in quattro parti (edito da Caosfera con acuta e pregnante prefazione di Valentina Meloni), avvia l’accensione di quell’abbraccio animico quando a farsi intensa e forte è l’empatia per cui si vorrebbe tramutare in volo una caduta, in rugiada una lacrima ed esorcizzare il tempo dell’assenza o quello della pena nell’istante atemporale del Presente della Gioia e dell’Amore.
Invero, tanta malinconia, tanta rabbia rappresa, tanti desideri rimasti impigliati tra stelle sonnolenti scorrono a pieno fiume sotterraneo tra i versi che più non celano ma nei quali incalza l’urgenza “quieta” a dire l’inquietudine. “Quieta”: ma il lettore sente la fiumana della passione trattenuta, smorzata, privata della signoria della manifestazione liberatoria e liberante.
Niente è superfluo nella scrittura in versi di Anna Maria. Una versificazione intimistica, malinconica e cruda, penetrante, e con quella musica dentro, nella parola, a scandire i ritmi del sangue.
Anna Maria, poeta, si dona all’incontro: la si trova, mobilissima, nella scrittura tra “pozzo e luna” (pag. 21), tra profondità ctonie e lievitazioni siderali perché la mappa dell’interiorità, nel poeta, si slarga a dismisura.
Radica in una stanza? Soltanto se lei stessa lo vuole. Per questo, più che nella stanza, metafora principe della raccolta poetica, cui ovviamente va a contrapporsi un’alterità esterna carica di tutto quanto ha la cromaticità odierna del quotidiano, la Bonfiglio -a mio avviso- la si incontra alla finestra, aperta o chiusa per proprio disporre (vedi pag. 33 e pag. 52).
Alla finestra, uscio e balaustra dei quadri spaziali e temporali, vivi ed incisivi, che colgono l’essenza dell’essere e del non essere, della gioia e del lutto, le opposizioni, le evocazioni, i lampi di memoria, le rabbie e gli abbandoni. Caleidoscopio del vivere. Con variazioni di dolore (pag.18), di disincanto (pag. 28), con occulti schemi di desiderio (pag. 73) e speranze e sogni (pag. 86). Testardi.
Incontro Anna Maria, dunque, alla finestra: “Un’ape solitaria/ ai vetri batte l’ali/ e sugge vento” (pag. 55); e ancora “ha saziato la propria giovinezza/ al suo tiepido umore/ non può bastarle/ la carezza del sole/ né il bacio del vento che passa” (pag.73).
E’ lei, il poeta, l’ape: noi ne riceviamo il miele di fiori e amarezze, la tenerezza integrale, l’urlo della carne, le corse non compiute, la voce spezzata, i ricordi, le impossibili e impotenti cose, le verità taciute e gridate.
Un libro da leggere con fervore, nella sua dura interezza, che non smette di coinvolgere, che fa stringere i denti e provoca l’abbraccio e poi il respiro e poi la forza della speranza e dell’amore. E poi la sorpresa che tanta ricchezza interiore ricolma di frutti, di nuove atmosfere aurorali.