“Anni ‘50 ricordi di liceo classico a Giarre: un protagonista Pino Fumia” di Dorothea Matranga

Immaginiamo per un momento di tenere una clessidra tra le mani, e di poterla girare e rigirare infinitamente, in modo che il tempo di durata prestabilito, possa perpetuarsi per sempre.                  

Il tempo, in questo caso, perderebbe la sua valenza di quantità limitata, e acquisterebbe l’eternità. Del paradosso del tempo ci parla sant’Agostino nelle Confessioni, libro XI, capitolo XIV-XXI “cercavamo il tempo e abbiamo trovato il suo contrario, il presente della coscienza, l’attimo senza estensione, l’eternità. Abbiamo voluto fare questa premessa per introdurre il volume intitolato “Liceo Classico MICHELE AMARI-GIARRE-SEZ. B 1955-1958” dove, secondo noi, il concetto di tempo, la filosofica riflessione su cosa esso rappresenti, e come possa influenzare la vita umana in ogni suo aspetto, negativamente o positivamente, di come il tempo sia la scansionata, cadenzata successione di attimi che fuggono, secondo noi senza fuggire mai, non agguantabili, ma mai perduti veramente è straordinariamente messo in luce ed evidenziato in questo libro.                                                 

 Il volume costituisce un’opera di grande valore perché offre la possibilità di far fare al pensiero dei voli pindarici che hanno anche un valore educativo - civilizzatore, sia per il messaggio di cui si fa portatore, che per la mole di sensazioni, emozioni che esso riesce a trasmettere al lettore, a chi ha avuto o avrà il privilegio di poterlo visionare. Diciamo anche che il libro edito “la rocca” è stato stampato nel dicembre 2018, e che non è il solito volume dove compare il nome dell’autore.           

La vera protagonista è l’intera Classe degli studenti della Sezione B del Liceo Classico Michele Amari di Giarre. Il periodo questionato è il triennio dal 1955 al 1958, fino alla loro maturità, coronamento degli studi classici per tutti i giovani della III B. Il volumetto, di esigua dimensione, ha un contenuto gigantesco, grande dimensione morale, che nel prosieguo della nostra analisi, cercheremo di far emergere nelle sue numerose variabili. Sono una serie di fotografie, quasi tutte in bianco e nero, che si alternano a delle liriche, opere degli stessi studenti, ci sono poi anche delle parti in prosa sotto forma di lettere, scritte dai loro professori, articoli di giornali, considerazioni, vignette umoristiche, un mix dal gusto variegato che invoglia alla visione, ma soprattutto costituisce un album, una specie di diario, caro diario da tenere per sé stessi, e visionare magari nei momenti di malinconia, tornando con la mente a rivedere umoristicamente, ma nostalgicamente il passato. Diciamo ancora che questo volume ci è tanto caro perché, tra quegli studenti di liceo di allora, c’è il Dott. Giuseppe Fumia, bravissimo giornalista, carissimo amico, per il quale nutriamo grande stima, persona di raro valore umano e alto rigore morale, ma anche uomo dalla vastissima cultura, che per la sua natura molto riservata è rimasto e rimane, sempre dietro le quinte, mettendo sempre in luce gli altri con i suoi valenti articoli che compaiono da tanti anni sul Settimanale di Bagheria, di cui è redattore capo, lasciando se stesso sempre in penombra. Il volume nella Presentazione riporta la frase “questo piccolo libro è fatto per noi stessi” frase d’esordio. Chi è che parla non è il solito autore. Qui non c’è un autore nel senso propriamente detto, ci sono tanti autori, compagni di scuola, studenti, amici che hanno in comune il fatto che il destino li fatti incontrare e conoscere in quel lontano triennio. È l’intera classe, la sezione B, definita alla fine della pagina introduttiva “La gloriosa III B del 1958 che mostra sé stessa, nei più svariati modi. È proprio questa classe degli alunni di un liceo di 60 anni fa, che tornando ai tempi di allora, ci mostrerà i sogni, le ansie, le paure, le emozioni dei primi amori, le competizioni tra compagni e le differenze tra i giovani di quel tempo e quelli di oggi. Dopo un primo momentaneo pragmatico silenzio, nostra consuetudine nell’approccio all’opera, per condurre un’assorta meditata riflessione, rimaniamo piacevolmente sorpresi, stupiti molto dalla bellezza del testo, per il contenuto che si apre a mille pensieri, considerazioni, su come erano i tempi una volta e  di come sono oggi cambiati, completamente diversi e ribaltati nella proiezione delle idee, come un vero e proprio ribaltamento geometrico su un piano, dove la figura geometrica mostra, ruotando sull’asse di rotazione, una visione, che nel giro completo, alla fine, rovesciando la prospettiva, lasciando il cuore intatto come una volta, e  consegnando la visione totale del solido, nel nostro caso una visione integrale e totale del significato più intimo, mostrando una bellezza unica e rara. Permette di lanciare uno sguardo alle generazioni di allora, consentendo al pensiero di fare la differenza con quelle di ora, ci fa riflettere sul tempo che scorre inesorabilmente veloce e implacabile, tragicamente crudele nel trascinare con sé le emozioni che vorremmo trattenere, attimi vissuti  durante l’imberbe giovinezza, acerba nelle sue manifestazioni, inesperta nel cogliere il meglio di quell’età, per la mancanza di maturata consapevolezza, che induce a vivere con ansia i momenti della vita, che dovrebbero essere invece gustati e assaporati nella loro pienezza, perché  non torneranno mai più nella stessa intensità, nell’acerba croccantezza di quegli anni adolescenziali. Siamo certi che il lettore abbia inteso che il testo è un magnifico collage, un grande puzzle, o per meglio dire quadro d’autore della vita, non di uno studente o alcuni compagni soltanto, la classe intera ha continuato a vivere superando la barriera del tempo e dello spazio. L’emozione che questo volume conferisce è anche la grandezza di quest’opera, a prima vista un banale volumetto, per occhi poco attenti. Diciamo che questa classe oltre che essere vista come classe in particolare, la III B del liceo di Giarre, rappresenta ogni classe del mondo, ogni sezione di alunni delle nostre scuole. Anche noi certamente ci rivediamo in modo identico negli stessi patemi d’animo e felicità fuggitive, spontanee, di intensità gigantesca. Perché sappiamo tutti quanto siano grandi e quanto fortemente esplodano i giovanili impulsi nell’adolescenza da essere paragonabili a delle esplosioni nucleari, per il turbinio di emozioni che suscitano. Emozioni che sono sempre uguali per qualità e quantità e accomunano tutti gli scolari del mondo, in special modo quelli che frequentano i licei, dove lo studio è approfondito in particolar modo. “Ci incontrammo tutti ufficialmente o quasi tutti per il 50º dalla maturità a Torre Archirafi nel 2008 ripromettendoci di rivederci, e ci siamo rivisti a scadenze non solo annuali ma anche per le ricorrenze e piccole commemorazioni”. Così cita uno dei periodi della Presentazione al testo. Come possiamo notare in questa frase, è palese la grande voglia di rivedersi, di rincontrarsi, la voglia di perpetuare la giovanile intensa. Non soltanto allora compagni di scuola, compagni di un periodo, solo estranei, messi insieme per caso dal destino, ma compagni anche nella scuola della vita, segno questo di una piena concordanza di valori, di stima reciproca, di visioni condivise, di un perfetto combaciare di idee e convinzioni. Un voler quindi rivivere, nei momenti conviviali, ripetuti, con costanza nel tempo, un sogno giovanile, che tutti hanno avuto piena consapevolezza di aver vissuto e gustato fino in fondo. Il ricordo, di quel periodo, appare così come un frutto succoso e dolce. Una sensazione così bella da ripetere nel momento associativo-conviviale, quasi che consumando il pranzo tutti insieme, si torna come una volta a scuola, quando si faceva lo spuntino durante la ricreazione, che iniziava col suono della campanella, e finiva quando la stessa ritornava a farsi sentire. Un’eco, una canzone, una dolce melodia che viaggia nell’aria per custodire una memoria immemorabile. Quattro sono le parti in cui è diviso il testo: a scuola-le gite- cinquantesimo-intermezzo-sessantesimo. La prima sezione riporta i nomi del preside di quel liceo classico Michele Amari-Giarre (CT) di quegli anni 1955-1958, il professore Salvatore Di Bella, dei docenti, degli studenti in tutto 31. In questa prima sezione intitolata “A scuola” ci sono le foto di giovani, dei giovani studenti, tutti col sorriso sulla bocca, ragazzi e ragazze con tutta la vita davanti. Le foto datate alcune 1956, altre 1957 riprendono particolari di fine anno della prima liceo, davanti all’Istituto, oppure di un girotondo nel cortile della scuola, tutti indossano il classico grembiulino nero con colletto rigorosamente bianco, ben stirato e inamidato, altre sono in occasione del carnevale. Ancora foto immortalano la fine della seconda liceo nella villetta Garibaldi, e un carnevale del 1958 dove figurano solo i ragazzi che indossano le coppole, copricapo simbolo della nostra sicilianità, con barba e baffi posticci, come è usanza mascherarsi per il carnevale, mostrandosi ilari e giocosi, scanzonati. In mezzo alle foto si fa strada una lirica, un sonetto pubblicato sul giornalino della stessa scuola “Juvenum Palestra” di Caterina Spina, anche lei compagna di classe, datata- Riposto- 1954. “Quieta la luna va con passo lento, con sandali d’argento, indugia con i suoi chiarori e ricama i sogni più beati. In questi versi percepiamo la lentezza della luna, simbolo di un tempo cadenzato, non sfuggente, non frenetico. Una dolce andatura che lascia spazio ai sogni. Anche da questi versi si evince, non la quantificazione di un tempo inesorabile, ma un tempo che concede spazio alle speranze, per un avvenire da sogno. Un altro aspetto dell’età giovanile, vissuta tra i banchi di scuola di questi studenti, può essere colto nella lirica “il mio 5 maggio-1956”, una specie di poesia satirica, molto ironica sulla lezione di storia dove la lirica del Manzoni, “il 5 maggio” concede lo spunto, cambiando i termini nei versi, per prendersi gioco del professore di storia, il professore Trimarchi. “Stette Trimarchi immobile tramando un brutto tiro, per cui tutta tremante e attonita la classe all’erta sta” “mentre il suo dito rotea chiama Bonaventura, inguaia giusto me” “tutto provai impavido, la calma, il gran periglio” “quale sul capo al naufrago l’onda s’avvolge e pesa”. Con piacevole nostalgia ricordiamo che negli anni della scuola, tutti siamo stati spiritosi, alcuni superando anche il limite, con scherzi a volte inopportuni, ma riconosciamo anche questo valore alla giovinezza, la sfrontatezza, l’ironico sbeffeggiare, il prendersi facilmente gioco di chi sta dall’altra parte della trincea. E le interrogazioni al liceo per alcuni erano vissute come lo stare in guerra, per le notti insonni, passate a far baldoria anziché studiare per il giorno dopo. La seconda sezione è intitolata “le gite” le gite scolastiche del 56 e del 57, alcune del mese di gennaio, altre del mese di aprile a Taormina e sull’Etna. I ragazzi nel mese invernale sono ripresi in mezzo alla neve dell’Etna, indossano maglioni pesanti e sciarpe. In aprile gli stessi compaiono alleggeriti e leggiadri. Appartiene a questa seconda sezione delle gite scolastiche, la lirica di cui è autore il nostro carissimo Pinuccio Fumia, così si firmò allora come autore della poesia datata 1957 dal titolo “ad urna di dolce nettare”. Un verso della poesia recita così: “quale ad urna di dolce nettare cupidamente il bambinel s’avvince, mentre laion crudi li germani a sé traendo il desiato braccin”. Una poesia scritta dall’autore all’età di 17 anni, al tempo della sua seconda liceo, custodita gelosamente nel cassetto per oltre 60 anni, che torna piacevolmente a sorprenderci sia per la bravura del poeta, che per il contenuto languido e triste allo stesso tempo. La similitudine, tra l’urna di dolce nettare e il desiato braccin, allude ad un amore, come sono a volte alcuni amori giovanili, schivi e pensosi, privati, segreti, di cui solo la persona innamorata conosce l’esistenza. La persona, verso cui era diretta la freccia di Cupido, era totalmente ignara di questo amore, di questo struggimento. Gli altri compagni più coraggiosi e baldanzosi, si contendevano così il desiderato bocconcino, la dolce compagna, dei veri barbari, così li definisce il poeta nella lirica col termine “germani”. Il coraggio si sà ha sempre premiato coloro che si lanciano   in imprese che appaiono impossibili. Invece, il nostro Romeo, ci scusiamo per l’ironia con l’amico Fumia, non aveva il coraggio di aprire il cuore alla sua Giulietta. Delicato, languido, tenerissimo amore che rimane segreto tra le pieghe dell’anima per sempre, fin quando non decide di consegnare a noi il bel compito di aprire finalmente quel cassetto dei sogni. Si tratta del primo amore, quello che non si scorda mai, quello di cui tutti abbiamo sempre recente memoria, quello per il quale si sta svegli la notte, quello per cui vale la pena di attendere per sempre. Ma come la stessa Caterina Spina, un’altra delle compagne di classe, dirà in un articolo, riportato sullo stesso libro in questione, articolo che a quel tempo fu pubblicato sul giornale La Sicilia, quello di Pinuccio Fumia non era un caso isolato. C’era anche un altro compagno che ogni giorno offriva un cioccolatino a una compagna della stessa classe, senza che lei avesse una benché minima parvenza, di quel sentimento d’amore che lui provava per lei. Amori non corrisposti, amori di quel tempo, che per la troppa riservatezza, per la paura magari di ricevere un diniego, rimanevano indichiarati, bloccando in partenza l’impulso amoroso, contenendolo, contraendolo, limitandolo a dei semplici gesti, come il dono di un cioccolatino, o lanciando semplici, timidi sguardi senza coraggio. E qui notiamo la differenza con i tempi di oggi. Due generazioni completamente diverse. Oggi i ragazzi e le ragazze accorciano i tempi e le distanze, non ci pensano su due volte a dichiararsi, e non esiste differenza tra chi deve fare il primo passo. S’approcciano e si dichiarano in quattro e quattr’otto, ottenendo da subito risultati che i giovani di una volta dovevano sudare, magari scrivendo poesie, o cimentandosi in ardimentose serenate notturne sotto una finestra. Ecco il sapore delle gite, degli incontri fuori dall’aula, quando la mente non era presa dalle traduzioni di un carme di Catullo o una versione di Cesare, e spaziava a primavera tra i fiori di campo, quando il pensiero non era più imbrigliato, imbragato dentro schemi fissi, entro sistemi comportamentali troppo reverenziali, un’educazione che non lasciava speranze ai meno ardimentosi, e la sentimentalità e il cuore prevalevano sulla ragione. Ragione che ancora allora, riusciva anche fuori dall’aula a trovare freno, esplicandosi soltanto e semplicemente con il pensiero. Amori, che sbocciavano a primavera, con lo scongelamento delle nevi dell’Etna, e che davano spiragli di speranza e felicità per il futuro, anche e soltanto a pensarli. La sezione il 50º porta come titolo “c’era una volta”. Contiene una pagina di vignette umoristiche, alcune delle quali, mostrano come dopo cinquant’anni, i giovani di allora sono diventati degli arzilli vecchietti. Sono dei vecchietti che scherzano umoristicamente sulla loro smemoratezza, confondendo i versi di Fiorello con quelli di Dante. In questa sezione c’è anche un articolo del giornale La Sicilia, datato 3 ottobre 2008 dove compaiono ancora gli studenti della scuola Michele Amari, la III B, ancora quasi tutti insieme, solo due assenti giustificati e quattro passati a miglior vita. L’articolo mette in evidenza come quei ragazzi, oggi docenti, professionisti, dirigenti in pensione, cambiati certamente nel fisico, non lo sono invece per la gioia e la voglia di ritrovarsi. Come nella scena di un film, una scena sempre uguale che si ripete, si rinnova il gusto di essere una Classe per sempre. L’eternità conferita a un valore e un sapore autentico nel sorriso e nella voglia di vita di quei ragazzi. E ancora un altro articolo sempre su La Sicilia del 21 ottobre 2008 ha come sottotitolo: “quando la scuola aiuta a rimanere giovani”. L’articolo sottolinea che tornare a incontrarsi, per la classe, vuol dire anche ritrovarsi con lo spirito giovane e fresco di cinquant’anni fa. Rivedere nei volti di oggi, i volti di allora, spensierati, quando gli obblighi scolastici erano noiose incombenze. Nel momento conviviale lo spirito prende il sopravvento sul corpo, e ritorna nei giovani di un tempo con la stessa ilarità ma con un velo di nostalgia e rimpianto. C’è chi tra gli ex alunni si confessa, e riesce dopo cinquant’anni a dire che quel cioccolatino donato ogni giorno voleva essere un taciturno modo di dichiararsi. La sorpresa della vecchia compagna poi finisce in una risata generale. Nell’articolo ci si pone la domanda: “è forse questo tornare giovani come un tempo la dimostrazione della teoria di Einstein? Passato e presente si fondono in un tempo senza tempo. Forse allora il tempo è solo una quantità, percepibile ma rinnovabile, una specie di cornice alle emozioni, e se non fosse per i segni visibili sulla pelle, le rughe, i capelli bianchi, il tempo sarebbe solo una mera finzione di un infinito senza coordinate spazio-temporali? Nei momenti conviviali, dice l’articolo, dopo i saluti tra i compagni di ora e di allora, c’è la consapevolezza che forse la stagione potrebbe essere l’ultima, almeno secondo una visione terrena, razionale, non trascendentale. Ci si saluta anche con gli occhi lucidi fa capire l’articolo. C’è in questa sezione anche un’intervista del 2008 dove sono riportati dei consigli per coloro che la leggeranno. Tra questi il consiglio di dare ascolto sempre alle persone più grandi, perché avranno tanta esperienza di vita da insegnare, e ancora un altro consiglio è quello di indagare sul passato, base del nostro presente. Il primo passo per l’apprendimento è l’ascolto. L’intervista è opera della studentessa Giulia Fresta della III B nel 2008. Nella sezione “intermezzo” ci sono le foto dei momenti conviviali dove la classe è colta dallo scatto fotografico intenta a colloquiare cordialmente come ilari commensali, i sempre giovani compagni di scuola. Il 60º è la sezione che chiude il volumetto, il 60º dalla maturità, da quel lontano 1958. Riunita ancora una volta per ritrovarsi e ricordare, la scolaresca inizia la sua giornata nel paesino di Riposto-anno 2018, nella chiesa di Maria Santissima della lettera. Tutti in chiesa a ricordare i compagni che non ci sono più, il chierichetto d’eccezione sarà uno dei compagni di scuola, Melo Grasso. La classe all’uscita dalla chiesa, finita la messa compare in una foto riunita insieme al loro professore Mineo e il parroco Don Enzo grasso. Il 4 settembre 2018 la classe è di nuovo davanti la facciata della scuola, del liceo classico Michele Amari-Giarre proprio come sessant’anni prima. Hanno pure l’opportunità di ritornare nella loro vecchia aula, come si può notare dalla foto insieme alla nuova dirigente scolastica, prof. Maria Novelli. Il 4 settembre 2018 dice nel discorso la prof. Maria novelli rimarrà nella storia dell’Istituto Comprensivo “G. Russo” per l’eccezionale evento della ricorrenza del 60º anno dal diploma liceale degli emeriti studiosi, ex studenti del “Michele Amari-Giarre”. Gli insigni diplomati sono accompagnati da un loro docente, l’esimio prof. Nicola Mineo, che nel 58 era alle sue prime esperienze di docenza. A tutti verrà consegnato un diploma di “buona condotta” a ricordo della giornata, di una carriera splendida, spesi a dare un contributo alla crescita della nostra società. A questo punto nel volume compare sotto forma di lettera, il discorso del prof. Mineo. Il professore afferma di essere stato a quel tempo “molto a tempo determinato” perché professore supplente, di latino e greco, solo per un mese. Ma con l’attuale titolo di merito, di esserci ancora. Il professore dice che per un docente insegnare a dei giovani è anche decidere del loro futuro, una grande responsabilità. Quando la decisione di un professore si profila in senso negativo il suo pensiero va anche alla famiglia e agli effetti che potrebbero verificarsi. Ma lui a quel tempo, nei confronti della classe non ebbe alcuna responsabilità del genere, perché troppo limitato il suo tempo di docenza. Il professore parla che quel mese, fu un bel mese. Un’intesa subitanea con tutta la classe sul piano della correttezza e della comprensione, e noi ci crediamo perché per essere ancora con loro dopo 60 anni, quel mese, forse è stato più importante di tanti altri mesi. Ricorda anche che gli era stato messo l’appellativo di “Fragolino” per il colore dei capelli. E racconta anche di un simpatico aneddoto. Una delle compagne fu incaricata di fingersi al telefono, Franca Valeri, imitandone la voce. L’attrice, di passaggio per Giarre, invitava il professore a incontrarla in un bar. Il professore Mineo comprese subito lo scherzo, e stando al gioco, dichiarando la sua stima per l’attrice, anziché nel bar la invitava per un incontro in classe l’indomani. Aveva forse anche capito chi era la telefonista dalle inflessioni di voce. Di questo discorso è importante mettere in luce che il professore Mineo, nel corso dei tanti esami dell’attività di docente di una vita, ha sempre rilevato nelle risposte dell’esaminando un livello di preparazione tale da rapportarlo a uno studente proveniente dalla scuola Amari. Il professore dice: “li riconoscevo prima di guardare il loro libretto”. Più avanti si incontra il discorso di Mario Tropea che ricorda anche lui alcuni momenti di quei tempi, ricorda anche alcuni altri docenti come il giovane prof. Ferruccio Caltabiano il cui motto era “storicizzare! Storicizzare!” supplente di italiano nella terza liceo, oppure il prof. Pavone di latino e greco che non si stancava mai di raccomandare che “le note nel libro di Marchesi sono più importanti del testo”. E ricorda anche l’indimenticabile figura del preside Di Bella. Continua dicendo: “la nostra classe fu il fiore all’occhiello della maturità, sia a livello scolastico che per qualche risultato atletico”. E ancora afferma: “ci fu la convivenza scolastica giornaliera, le gite, le foto, le promesse, i rimpianti, le malinconie, le esaltazioni, le piccole gioie che avevano cementato, per quegli anni quei rapporti che rimasero e rimangono nel ricordo, segnando la conclusione di un tempo, dopo la conseguita maturità scolastica, consegnandoci a una più complessa maturità umana e sociale della vita”. Come la stirpe delle foglie, tale è la sorte degli umani. Concludiamo l’analisi critica a questo bel testo con l’articolo ultimo riportato sul volumetto. L’articolo e le foto comparvero sul giornale la Sicilia con data 8 settembre 2018, col titolo “Giarre-A scuola sessant’anni dopo”-e il sottotitolo: “quei dodici ragazzini che si sono ritrovati tutti insieme con il loro professore Mineo. L’articolo, del nostro carissimo Pino Fumia, parla di un’atmosfera di grande emozione che l’intera classe ha respirato, entrando ancora una volta nell’aula dove hanno trascorso tre indimenticabili anni del liceo, dove il professore Mineo spiegava la Divina Commedia. Una grande emozione guardarsi indietro e scoprire quanta strada abbiano fatto quei ragazzi, la direzione che ha preso la loro vita. La certezza di venire proprio da lì, di avere lì le proprie radici, e di avere motivazioni comuni, quelli che, a prima vista sono solo un gruppo di signori ottantenni un po’ acciaccati. E invece sono proprio loro: “i tuoi compagni di scuola”, dice forse con un nodo in gola il nostro caro amico. Una grande bellezza morale compare in questo testo, dalla parvenza apparentemente minuscola, che invece contiene il segreto della vita, che è quello di gustare ogni attimo con l’attenzione che merita. Il motto del “vivi ora”, “gustalo” perché quest’attimo lo rivivrai per sempre. Per sempre sarà vivo in noi quel ”fanciullino” di cui ci parla Giovanni Pascoli nella sua Poetica.

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