Antonino Causi, “sincronia tra cuore e mente” (Ed. Il Convivio) – di Anna Maria Esposito

Ci ricorda Goethe come il linguaggio della poesia viva nell’esteriorità dell’esistenza (“Sulla cima più alta la poesia appare del tutto esteriore”, dice il suo personaggio Meister).
La necessità del poeta, così come per ogni artista, è ‘esternare’. Inconcepibile, per un artista o uno scrittore, trattenere per sé il pensiero o il sentimento.
Ecco che Antonino Causi non sfugge a questa legge, raccontando, in questa nuova silloge, le emozioni che lo muovono e che espone.
Suddivide le sue liriche in due gruppi di venti: le più intime, raccolte nel gruppo “cuore”, raccontano di valori umani comunemente condivisi, di valenza archetipica: i valori della famiglia, dell’amicizia, dell’amore, del sentimento meravigliato per la Natura.
E poiché un poeta non può sottrarsi al dovere di testimoniare e denunciare gli eventi dolorosi nei quali i diritti dell’uomo, dell’ambiente, della società vengono ignorati, vilipesi, calpestati, nella parte della ‘mente' Causi ci mostra come ritenga necessario contribuire reagendo come può e sa, con parole e pensieri. Intollerabile è l’ingiustizia, ancora di più lo è per chi ha fatto della Sensibilità il nocchiero della vita.
Cuore, mente…
mi piace ricordare la frase di Freud : “Nelle piccole cose fidati della mente, nelle grandi del cuore”.
Ma se da sempre filosofi e scrittori vivono la dicotomia tra l’aspetto istintivo e sentimentale, descritto attraverso il termine ‘cuore’, e l’aspetto logico e razionale definito ‘mente’, questa dualità, postulata da Freud e poi ‘mitigata' dagli psicologi successivi e già da Jung, appare ormai addolcita, riconosciutene le indistricabili connessioni, nella lettura psicologica contemporanea.
è caratteristica del poeta, come lo è per l’artista visuale, riassumere con un’immagine i propri sentimenti fondanti: da essi si può definire il quadro della sua personalità.
“Si va per il mondo/ vuoti dentro ma liberi /verso una direzione /fermi nel presente/ siamo felici così”.
L’animo grande sa come abbandonare il sé, zavorra che ingombra sguardo e intelletto. Avanzare, senza timore, necessità umana poiché intuiamo che abbiamo un qualche scopo. Per cui riconquistiamo la nostra libertà però svuotandoci, abbandonando esperienze e saperi e andando, “vuoti” ma “verso una direzione”, determinati e fiduciosi (“fermi nel presente”).
È mestiere del poeta confermare ciò che intuiamo: i grandi ideali che non sono illusioni personali, ma scopi di vita. Ciò, comunque, non gli impedisce di cedere allo sconforto, come ci descrive nella seconda poesia del gruppo “Cuore”, Carillon.
Se nel primo gruppo, dunque, ritornano i temi comuni legati alla poesia del sentimento: terra, mare, sole, baci, lacrime, carezze, speranze, meraviglia e natura, silenzi e solitudini, l’amore, la speranza, il trascorrere delle stagioni e del tempo; i ricordi, il rapporto con l’altro, i valori familiari, la cattiveria e follia umana, le incomprensioni, nella seconda parte l’autore si abbandona alle sue riflessioni sui fatti di cronaca; cita, ad esempio, i viaggi fatali dei clandestini:
“si va verso la speranza come merce a deposito verso porti di una terra /se mai arriverà/se mai accoglierà”, o la vicenda di Zaiki, o la distruzione dell’habitat: ricordando con fermezza, però, che abbiamo non soltanto delusioni ma anche speranze, anzi di più, vere certezze:
“nobile virtù della temperanza che abita in te/ chiusa con una chiave gettata nella profondità della noncuranza. Ritrovala con arguzia certosina cercala, cercala, cercala è dentro di te, nella tua anima è ordinata su te stesso perché tra sballi e smoderatezza  è il giusto mezzo, la soluzione sobria e appagante per te, guida serena verso una vita armoniosa senza scontri vera fonte per poter vivere con beatitudine i tuoi giorni avvicinarti a Dio insieme ai valori di bontà, verità, bellezza.”
Su tutta la raccolta aleggia la leggerezza nobile e grandiosa dell’infanzia, così come scrive, con felice ed indovinata ridondanza:
“Ogni tanto rispolvero i miei giochi/ così per gioco”.
E un’ironia sottile la insegue in tutta la raccolta, così come in “Colpa”:
“C’è sempre una colpa il furbo la nasconde convinto sempre che nessuno possa mai trovarla”.
Dopo la lettura di queste liriche rimane un senso di leggerezza e freschezza: conferma che abbiamo approcciato un animo semplice e maturo, luminoso.
Amici nel comune viaggio o “andare”, come direbbe Antonino.
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