“Ciccio Busacca - il mio ricordo” di Serena Lao
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- Category: Scritture
- Creato: 08 Maggio 2019
- Scritto da Redazione Culturelite
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In quei giorni mi trovavo a “Città del Mare” a Terrasini per partecipare alla “Rassegna di Musica Popolare Siciliana” che si teneva in quel luogo e che durava all’incirca una settimana. Era un appuntamento fisso: ogni anno giungevano lì artisti e gruppi famosi provenienti da tutta la Sicilia e anche dalla Calabria. Era la prima volta che vi prendevo parte e tutto mi appariva nuovo e fantastico.
Avevo meno di trent’anni e da qualche tempo mi dedicavo con passione ed entusiasmo alla musica siciliana. Interpretavo canti della tradizione e del repertorio di Rosa Balistreri, altri ancora di mia composizione, sempre in vernacolo naturalmente. Avevo una voce robusta e una timbrica scura - da contralto - e questo mi aveva aiutato nella scelta perché la mia particolare qualità vocale ben si adattava al genere cosiddetto folk! Pur considerandomi ancora un’esordiente, avevo avuto la fortuna di essere stata inserita all’interno di importanti rassegne come l’Akesineide di Castiglione di Sicilia e soprattutto avevo avuto l’opportunità di conoscere quelli che consideravo e che considero tutt’ora i pilastri della Musica e della Poesia siciliana: Rosa Balistreri, Ignazio Buttitta, Otello Profazio, Marilena Monti, Enza Lauricella, i quali erano diventati i miei miti e i miei modelli.
Mi mancava, però, ancora un tassello, c’era un altro grande personaggio di cui avevo tanto sentito parlare e che fino a quel momento non avevo avuto modo di incontrare: Ciccio Busacca.
- Francesco Busacca meglio conosciuto come Ciccio Busacca era nato a Paternò il 15 febbraio del 1925. Scarsamente istruito ma intelligente e sensibile, mostrò da sempre la sua innata predisposizione verso il canto e la recitazione popolare per lo più indirizzati verso i fatti di cronaca e la denuncia civile distinguendosi nel mondo dei cantastorie siciliani, particolarmente sviluppato nel secondo dopoguerra, che ebbe come protagonisti Orazio Strano, Turiddu Bella, Vito Santangelo, Matteo Musumeci, Cicciu Rinzinu e altri.
Il suo esordio era avvenuto in Sicilia, ma il suo grande talento lo portò lontano e nel 1956 Busacca debuttò al Piccolo Teatro di Milano con Pupi e cantastorie di Sicilia.
Negli anni successivi ebbe il grande incontro con Ignazio Buttitta e con la sua poesia: Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, Lu trenu di lu Suli e Che cosa è la mafia? furono cuntati e cantati nei teatri e nelle piazze di tutta Italia.
Negli anni settanta avvenne l'esperienza teatrale con Dario Fo (Ci ragiono e canto) e la sua partecipazione a diversi programmi radiofonici e televisivi.
Morí nel 1989 lontano dalla sua terra. Viene considerato uno dei più importanti cantastorie siciliani - .
Fisicamente non avevo idea di come fosse, di lui apprezzavo la sua arte, perché possedevo due o tre LP e avevo imparato a memoria le sue ballate:
Turi Scordu, surfararu,
abitanti a Mazarinu;
cu lu Trenu di lu suli
s'avvintura a lu distino.
Oppure:
È arrivato Cicciu Busacca
per farvi sentire la storia
di Turiddu Carnivali
lu sucialista che morì a Sciara
ammazzato dalla mafia.
per farvi sentire la storia
di Turiddu Carnivali
lu sucialista che morì a Sciara
ammazzato dalla mafia.
Pi Turiddu Carnivali
chianci so' matri
e chiancinu tutti li puvureddi nella Sicilia
perché Turiddu Carnivali
muriu ammazzatu
pi difendere lu pani di li puvureddi.
chianci so' matri
e chiancinu tutti li puvureddi nella Sicilia
perché Turiddu Carnivali
muriu ammazzatu
pi difendere lu pani di li puvureddi.
E ora
sentiti
perché c'è di sèntiri
nella storia
di Turiddu Carnivali.
sentiti
perché c'è di sèntiri
nella storia
di Turiddu Carnivali.
Ancilu era e nun avia ali
nun era santu e miraculi facìa,
'n cielu acchianava senza cordi e scali
e senza appidamenti nni scinnia;
era l'amuri lu so' capitali
e 'sta ricchizza a tutti la spartìa:
Turiddu Carnivali nnuminatu
ca comu Cristu nni muriu ammazzatu.
nun era santu e miraculi facìa,
'n cielu acchianava senza cordi e scali
e senza appidamenti nni scinnia;
era l'amuri lu so' capitali
e 'sta ricchizza a tutti la spartìa:
Turiddu Carnivali nnuminatu
ca comu Cristu nni muriu ammazzatu.
I versi erano poesie del grande Poeta Ignazio Buttitta, la musica - con pochi accordi - la componeva lui stesso.
Pensavo che la forza di Ciccio Busacca stesse solamente nella sua particolare voce e nella sua interpretazione. Mi sbagliavo! Non potevo minimamente immaginare le emozioni che avrei provato vedendolo esibire dal vivo e non solamente ascoltandolo attraverso un disco.
Nonostante la mia grande curiosità e voglia di conoscerlo, non si era, però, presentata l’occasione giusta!
Giudicai che la Rassegna di “Città del Mare” potesse costituire la circostanza idonea e chiesi in giro ai tanti colleghi notizie su questo artista. Li pregai inoltre - se lo avessimo incontrato - di presentarmelo.
Notai una certa noncuranza verso questa mia precisa richiesta, qualcuno mi rispondeva con un laconico: “Va bene, se lo incrociamo, lo farò”.
Ma avevo la netta sensazione che nessuno avesse voglia di accontentarmi!
“Perché tutti tergiversano?” mi chiedevo. La risposta cominciò a farsi strada nella mia mente: Era scorbutico e poco socievole? Aveva un brutto carattere e “se la tirava”? Chissà! Sta di fatto che cominciai a perdere le speranze di potere fare la sua conoscenza.
Non ci pensai più!
Le mie giornate erano talmente piene di emozioni che accantonai quel latente desiderio.
Dormivamo dentro comodi - anche se non molto grandi - bungalow. La mattina ci si alzava molto tardi perché di sera, prima si cenava, poi c’erano le esibizioni degli artisti, e infine ci si riuniva in gruppi, ci si sedeva per terra in cerchio, dietro qualche bungalow, si beveva un buon bicchiere di vino e si facevano schitarrate e canti fino alle prime luce dell’alba. Nessuno si lamentava - era un periodo aggregativo e festaiolo - e più o meno tutti andavano a letto a notte inoltrata.
Un pomeriggio, mentre mi trovavo seduta su di una panchina per rilassarmi dopo un abbondante pranzo, da dietro un cespuglio vidi sbucare un omino, piccolo di statura, pochi capelli in testa, una chitarra a tracolla. Camminava un po’ incurvato e veniva casualmente nella mia direzione.
Agii d’istinto, scattai come una molla e gli andai incontro:
“Tu sei per caso Ciccio Busacca?” dissi tutto d’un fiato.
“E tu cu si’?” rispose di rimando, con il suo marcato accento siciliano tipico del suo paese di origine.
Fu così che lo conobbi. Tutto avvenne in maniera semplice e naturale senza bisogno di intermediari o di preliminari da parte di terzi.
Il mio intuito mi aveva ben guidato e ora ero al suo cospetto. Ero emozionatissima!
Ovviamente nulla del film che mi ero costruito nella testa corrispondeva a verità; Ciccio non era per niente un individuo spocchioso, ma una persona genuina, spontanea, per certi aspetti umile. Lo osservai attentamente per imprimermelo bene nella memoria: età tra i cinquanta e i cinquantacinque anni, corporatura minuta e uno sguardo incredibile! Infatti quelli che colpivano erano i suoi occhi di un colore azzurro chiaro che non erano particolarmente grandi ma penetranti e incisivi. Gli dissi chi ero e che lo avevo tanto cercato e da quel momento, per quel breve periodo, divenimmo inseparabili!
Fu quella un settimana specialissima. Ogni giorno ci davamo appuntamento e si andava a pranzare insieme e la stessa cosa avveniva la sera per la cena.
Alcune malelingue cominciarono a pettegolare vedendoci sempre insieme, ma non c’era malizia nel nostro rapporto. Forse Ciccio fu attratto da me fisicamente - ero giovane, piacente - e spesso faceva qualche apprezzamento carino verso la mia figura, ma io soprassedevo; la mia ammirazione era rivolta esclusivamente alla sua Arte, il resto non mi interessava. Ciccio era sposato e poi c’era quasi un quarto di secolo di differenza tra la mia età e la sua.
Ad ogni modo, se tra me e Rosa Balistreri c’era un rapporto quasi materno e filiale, qui subentrava la componente uomo-donna. Ma ripeto, tutto all’insegna della più innocente frequentazione!
Non mi chiamò mai col mio nome effettivo: io per lui ero “Sirena” e molti presero simpaticamente a canzonarmi chiamandomi Sirena.
I momenti più belli, però, trascorsi in sua compagnia avvenivano di notte. Dopo gli spettacoli ci riunivamo in molti: c’erano I Rakali, Gli Eliogramma Sicilia, gli Agricantus, che poi sarebbero diventati famosi in tutta Italia e all’Estero, c’erano valenti chitarristi e percussionisti, e c’era Ciccio. Lui arrivava col suo fiasco di vino appresso, ci sistemavamo chi a terra, chi seduto su qualche sgabello e davamo il via a quelle che oggi in linguaggio jazzistico vengono chiamate jam session.
Si cantava esclusivamente in siciliano. Cicco, com’era logico, era l’attrazione principale, lui era il leader e noi tutti gli facevamo i coretti.
Una notte, in cui era particolarmente ispirato, ci fece ascoltare alcuni canti di sua composizione che in pubblico non faceva mai. Erano vagamente a doppio senso e per quei tempi venivano considerati un po’ troppo spinti. Oggi, ai nostri giorni, farebbero solo sorridere di tenerezza, valutando quanto erano ingenue le generazioni passate.
Dedicò a Sirena quella esibizione e tutti noi - come sempre su sua richiesta - improvvisavamo i cori, mentre bravi chitarristi e percussionisti ci davano man forte aggregandosi a quella allegra combriccola, cosicché si creava un’atmosfera davvero magica. La registrazione artigianale, fatta con mezzi rudimentali, di una di quelle particolari serate, la conservo ancora oggi tra i miei ricordi più cari e ogni tanto, pensando a Ciccio, l’ascolto e mi scende una lacrima.
Durante la mia permanenza a “Città del Mare” una volta fui piacevolmente costretta a lasciare il Villaggio perché avevo un concerto in un paese della Sicilia. Vennero a prendermi nel primissimo pomeriggio e tornai a notte inoltrata, poiché la località in cui mi ero esibita era piuttosto distante.
Vidi Ciccio solo il giorno dopo e mi disse, mettendomi vagamente a disagio, che gli ero mancata! In quella che definì una inutile giornata, durante la mia assenza scrisse di getto una poesia a me dedicata: Sirena semu a la cità du mari/ unni la vita è tutta rosi e ciuri/ unni spissu si fa finta di amari/ unni spissu si scherza cu l’amuri.
Mi consegnò il foglio, lessi e mi commossi.
Conservo gelosamente quel foglio a righe con il testo scritto di suo pugno con la sua incerta grafia. La poesia è lunga e molto bella, ma ho scelto di non pubblicarla per intero poiché non desidero strumentalizzare quel ricordo che appartiene solo a me!
La Rassegna volse al termine, con una certa malinconia ci salutammo e tornammo tutti alla vita di sempre.
Un giorno sentii bussare alla porta di casa, aprii e mi trovai dinanzi una collega insieme a Ciccio munito di valigia. Mi chiedeva, così, di punto in bianco, se avessi potuto ospitarlo per qualche giorno, visto che lei non poteva perché era in partenza. Mi disse che lui doveva sbrigare delle cose a Palermo e non gli sembrava carino mandarlo in una pensione. Un collega di tale portata! La mia giovane età, l’enorme stima che provavo nei suoi confronti e forse la mia incoscienza - visto che abitavo da sola - mi fecero accettare e lo ospitai per una settimana intera.
Non mi sono mai pentita nemmeno per un secondo di quella decisione!
In quella nostra breve e amichevole coabitazione imparai tanto da questo grande artista! Di giorno andavamo in giro per Palermo, facendo piacevoli passeggiate, la sera - forse per disobbligarsi dell’ospitalità - spesso mi invitava a cena in qualche ristorantino o trattoria nei pressi della mia abitazione, visto che né io né lui possedevamo un’automobile. Tornati a casa, ci si sedeva in balcone a goderci un po’ di fresco e si chiacchierava simpaticamente. Ciccio, sempre con il suo bicchiere di vinuzzu al seguito, lo sorseggiava e tra un discorso e l’altro si faceva l’ora di andare a dormire.
Qualche volta, invece, dopo cena, ci sedevamo al tavolo della cucina e lo aiutavo trascrivendo alcuni suoi testi cosicché li aveva già pronti per depositarli alla Siae. La sua scrittura era piuttosto elementare e chiedeva a me questo favore. Per me era un onore e lo facevo molto volentieri sentendomi gratificata per quell’incombenza.
Certo non sarei veritiera se sostenessi che Ciccio non tentò mai qualche vago approccio: era un uomo ed io una ragazza giovane e carina e siamo vissuti sotto lo stesso tetto, da soli, per una settimana intera. Talvolta diveniva particolarmente galante, mi diceva che se avesse avuto vent’anni di meno avrebbe saputo lui cosa fare con me, ma bastava che lo guardassi con lo sguardo torvo, facendo finta di essere arrabbiata, perché tutto sfumasse in una fragorosa, goliardica risata!
E anche il periodo di permanenza a casa mia ebbe termine!
Arrivò il momento della sua partenza e ci salutammo non senza commozione. Ci ripromettemmo di telefonarci e di incontrarci ancora. Mi ero abituata alla sua presenza e per alcune sere sentii la sua mancanza. Quella, però, fu l’ultima volta che lo vidi! Dopo poco tempo seppi da una conoscenza comune che si era trasferito in un paesino vicino Milano dove abitavano i suoi figli. Frequentandolo da vicino, avevo intuito che Ciccio non stava bene, che la sua salute era precaria, quindi trovai giusta e logica la decisione di trasferirsi vicino ai suoi cari, anche se lontano dalla sua amata terra!
La nostra conoscenza, amicizia e intesa artistica si era sviluppata ed esaurita in quindici giorni. Due settimane intense che non avrei dimenticato e che avrebbero dato un notevole contributo alla mia formazione culturale e umana.
Un pomeriggio, mentre, per motivi di lavoro, mi trovavo in auto in uno sperduto paesino dell’entroterra siciliano, vidi, a distanza, un capannello di gente davanti a un cartellone colorato, poi sentii una voce - la sua voce - ed ebbi un tuffo al cuore!
Fermo, gridai al mio autista! Scesi come una forsennata e mi misi a correre, era Ciccio, era tornato in Sicilia.
“Ciccio” gridai! Mentre procedevo spedita.
Avevo tanta voglia di riabbracciarlo! Era stata così breve la nostra amicizia!
Ma quale fu la delusione, quando, avvicinandomi, mi accorsi che non era Ciccio ma il fratello che faceva anche lui il cantastorie. La voce e la figura me lo ricordavano, ma non era lui! Ciccio era unico e inimitabile!
Tornai mogia-mogia verso la macchina e ripresi il mio cammino.
Passò qualche anno e io mi affermai nel campo della musica tradizionale siciliana. Un’estate - non ricordo la data - mi affidarono la direzione della “1ª Rassegna del Cantastorie” che si sarebbe svolta in estate nella piazza di Cefalù.
Invitai molti colleghi e pensai a Ciccio. Mi procurai il numero di telefono di Busto Arsizio dove viveva e lo chiamai:
“Ciao Ciccio sono Serena, ti ricordi di me?” gli dissi e mi tremava la voce.
“ Certo che mi ricordo, tu sei Sirena bella”.
“Sto organizzando una Rassegna qui in Sicilia e vorrei invitarti, verresti a cantare? Ti pago tutto!”.
“Ma comu fazzu gioia, sugnu malatu, io un cantu cchiu! Ma mi ricordu di tia e di li to’ occhi malantrini!” e accennò una risata.
Ci salutammo e io rinunciai alla sua presenza.
Trascorse poco tempo e la stampa un giorno comunicò la dipartita del noto cantastorie siciliano Ciccio Busacca.