“Don Umberto Pessina vittima innocente dell’odio comunista” di Domenico Bonvegna

Nell’aprile scorso ho ricevuto una mail di ringraziamento da parte del sig, Graziano Pessina, nipote paterno del sacerdote reggiano don Umberto Pessina, assassinato il 18 giugno 1946 in un agguato notturno dai partigiani comunisti, presso la Casa canonica di S. Martino di Correggio in provincia di Reggio Emilia.
Il sig. Pessina aveva letto la mia presentazione del libro di Rossana Maseroli Bertolotti, “La Chiesa Reggiana tra fascismo e comunismo”, edizione Il Girasole d’Oro (2001). Probabilmente per integrare il mio lavoro, il sig. Graziano mi ha gentilmente inviato quattro opuscoletti dedicati proprio al suo zio assassinato. Prima di passare alla presentazione di questo materiale documentario, per correttezza devo riportare che il signor Graziano, ho avuto con lui un lungo colloquio telefonico, non ha nessun rancore nei confronti degli autori materiali o dei mandanti che hanno eliminato il suo illustre parente. Peraltro, lo fa capire nella lettera che mi ha spedito, insieme al materiale documentario. Da qualche anno mi scrive il sig. Graziano, “guardo a quella giornata (il 25 aprile) con lo spirito della riconciliazione che mi ha guidato nella redazione dell’opuscolo allegato, spirito di riconciliazione e perdono già precedentemente espresso con più alto valore pastorale, dalle autorità ecclesiastiche reggiane […]”.
Ho promesso che avrei presentato i fascicoletti ai giornali dove collaboro. In ordine di pubblicazione presento, il documento nel Decennale della morte di Don Umberto Pessina”, pubblicato dalla Tipografia Editrice Immacolata Concezione, Modena 1956. Il documento è curato da don Emanuele Rabitti, successore di don Pessina.
Il fascicoletto si apre con una lettera scritta da Angelo Dell’Acqua per conto del Papa Pio XII, inviata all’arcivescovo mons. Beniamino Socche.
Per don Rabitti è doveroso far conoscere a tutti questa epopea sacerdotale, scritta in silenzio e col sangue. Sostanzialmente c’è una lacuna da riempire: un atto di giustizia da compiere.
Quanti sono e quali sono i Sacerdoti uccisi negli anni del dopoguerra? Solo in Emilia, che ha un doloroso primato, sono 53. In tutta Italia circa 300. Praticamente è una cifra ignorata dalla gran parte della gente. Si tratta di un patrimonio spirituale preziosissimo, “fatto bersaglio di tutte le faziosità estremiste di ogni colore, di ogni tendenza politica. Nemiche inconciliabile tra di loro si trovaron d’accordo in un solo fatto: ‘far fuori’ i testimoni della verità che erano una condanna eloquente dell’uno e dell’altro estremismo”.
Quale colpa potevano avere questi trecento sacerdoti uccisi: “furono uccisi perché Preti, perché testimoni eroici della verità”. L’ultimo dei preti uccisi è don Pessina. La sua morte ebbe un eco fortissima, in una piovosa giornata estiva con un cielo che piangeva fu lo stesso vescovo di Reggio a curare il funerale del Suo “ultimo prete ucciso”. Come un generale di santo sdegno monsignor Socche, lanciò la massima pena canonica, scomunicando gli assassini e denunciando quel clima di omertà e di terrore di quelle terre.
Nel decennale della morte di don Pessina, ritorna la salma nella sua parrocchia e si coglie l’occasione per ricordare e far conoscere al popolo italiano l’epopea scritta col sangue da tutti i Sacerdoti vittime dell’odio ideologico assassino.
Inoltre, don Rabitti, nel suo racconto, auspica che qualche regista o produttore cinematografico avesse l’idea di produrre un film su questa epopea scritta dall’eroismo dei Sacerdoti Italiani Martiri della Religione. Non mi sembra che sia mai successo, ma anche l’editoria è abbastanza scarna, i grandi editori non si sono sprecati a raccontare la storia di questi poveri sacerdoti uccisi.
Tuttavia, don Rabitti in questo fascicolo ammette che esiste una congiura del silenzio su questi fatti, “è doveroso metterlo in evidenza, non è esibizionismo; forse si è taciuto anche troppo fino a fare dubitare ci sia stato attorno ai preti una congiura di silenzio […]”. I preti, precisa don Rabitti, “non sono di nessun partito e di nessuna organizzazione: furon di tutti da vivi, saranno le Vittime sacre a tutti anche da morti”.
Il sacerdote si augurava un riconoscimento pubblico di questi martiri, un monumento che li ricordasse tutti. “È bello anche che questo monumento sia eretto, con la collaborazione modesta di tanti, in una parrocchia della tormentata Emilia che è stata più di ogni regione d’Italia la terra devastata da Comunismo dissolvitore e sconsacratore: dove abbondò il delitto, abbondi la riparazione e sia un richiamo a tutti […]”.
Il successore di don Pessina si augurava che fosse finita l’omertà e vinta la paura. “È bello che il primo monumento in Italia al Prete ucciso sia in una piccola parrocchia di campagna: sono i Parroci la fanteria della Chiesa, la prima linea del fronte, i bersaglieri del battaglione d’assalto che sbaraglia ogni errore, che s’oppone ad ogni ingiustizia, che muore tacendo”.
Inoltre, don Rabitti ricorda i “prelevati a casa”, uomini e donne che a distanza di dieci anni non si conosce dove sono stati sepolti, “le povere e tormentate spoglie dei loro corpi strappati dal seno familiare sotto gli occhi esterefatti dei parenti […]”. Non si sa nulla di queste persone, “ci sono parecchie centinaia di questi morti senza ancora neppure l’onore della sepoltura”. Ancora oggi i parenti non sanno dove sono stati sepolti mi diceva il sig. Pessina. Il risultato dell’omertà, che fa a gara con quello mafioso, qui si tratta però di “mafia” diversa, quella comunista.
Il sacerdote precisa che lo scopo del doveroso racconto di questi crimini non è quello di ridestare polemiche o avventure giudiziarie. A questo punto Rabitti ricordando che alla canonizzazione di Maria Goretti, c’era anche il suo assassino, pentito, auspica, anzi spera che anche qui “alla glorificazione dell’ultimo prete ucciso”, gli assassini si pentano e vengano qui a rendere omaggio a don Pessina.
Ma l’invito di don Rabitti è rimasto inascoltato, fino a qualche anno fa la sola rievocazione del fatto storico, faceva nascere ostilità e reticenze. Apprendo da una veloce ricerca che il delitto di don Pessina “segnò uno spartiacque nelle vicende del post-Liberazione: perché con esso l’Italia prese consapevolezza della portata dello stragismo del dopoguerra, e perché segnò la storia del Partito comunista. I vertici del Pci reggiano sapevano chi aveva ammazzato il sacerdote, però mandarono consapevolmente in galera un innocente, il comandante partigiano Germano Nicolini “Diavolo”, eletto da poco sindaco di Correggio. […] Ma non vi è dubbio che fu il Pci a portare la principale responsabilità di dieci anni passati in galera dal Nicolini innocente, assolto e riabilitato solo nel 1994 dopo il clamoroso Chi Sa Parli lanciato all’interno del partito da Otello Montanari e Vincenzo Bertolini”. (www.libertates.com).
Comunque, il successore di don Pessina conclude il suo racconto sostenendo che “il ricordo dei martiri ci fa sempre bene: il patrimonio sacro del Loro merito è uno dei fondamenti più validi della nostra fiduciosa speranza […]”.
Il secondo documento è quello pubblicato per il “50° Anniversario della morte del Parroco Don Umberto Pessina. 1946 – 18 giugno – 1996”. A cura della Parrocchia S. Martino Correggio. “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1)
Nell’introduzione Sua Ecc.za mons. Paolo Gibertini, vescovo di Reggio Emilia, citando il cardinale Giacomo Biffi, scriveva, “Ci sono avvenimenti nel passato di una comunità umana che non devono mai essere dimenticati, se non si vuole che risulti alterato il giudizio anche sulla realtà presente […]”. Dopo aver ricordato che la causa di quei sacerdoti uccisi sono gli odii accumulati, la violenza eretta a sistema da ideologie atee e disumane, il vescovo precisa affidandosi alle parole dei Vescovi dell’Emilia, che “se facciamo memoria di questi eventi, non è certo per ricordare la malvagità di chi ha ucciso, ma perché non vada dispersa la testimonianza di chi ha saputo rimanere fedele alla sua missione di pastore, soccorrendo caritatevolmente persone bisognose dell’una e dell’altra parte del conflitto, fino a rischiare la propria vita”. In pratica, sono le solite raccomandazioni degli uomini di chiesa, per non aprire antiche ferite.
Il libretto è corredato da numerose fotografie e racconta la vita e l’apostolato di don Pessina a cura del prof. Umberto Borghi. Interessante i “Consigli del Parroco”, quelli del 1946, quasi un testamento, ai bambini, ai giovani, agli sposi, a tutti. Il Borghi ricorda che don Rabitti fece della casa canonica, un monumento memoriale con la lapide sul balconcino. Interessante la vetrata del Sacello, vetrata istoriata, opera del prof Aldo Carpi, direttore dell’Accademia di Brera di Milano. Sotto la scena della crocifissione, si vede don Pessina che cade trafitto dalla famigerata pallottola. Lo sostiene mons. Socche, il vescovo, definito, “difensore del clero”. A fianco del sacerdote caduto c’è San Martino in armatura, che rappresenta il laicato cattolico. Il volumetto si chiude don Ferdinando Borciani, con una immaginaria lettera scritta al carissimo don Umberto Pessina, dopo aver scritto che ancora, dopo il processo di Perugia, non si è fatta piena luce sulla sua morte. Lo rassicurava che il prossimo 18 giugno ti ricorderemo all’insegna del perdono, della riconciliazione e dell’amore fraterno. Non è cristiano approfittare del tuo 50° per rimettere in circolazione antichi veleni e odii di parte”. Infine, il sacerdote rivolge una significativa preghiera al martire don Pessina, a nome della comunità di san Martino.
Il terzo documento è un opuscoletto pubblicato per il 60° anniversario della morte di don Pessina. Si tratta di una sintesi delle persecuzioni che hanno subito i cristiani e i religiosi in tutto il Novecento. Il documento si chiude con due articoli pubblicati dal mensile Il Timone sul martirio del clero italiano, in particolare quello del cosiddetto “Triangolo della morte”, nella Seconda guerra mondiale e nel periodo della resistenza.
L’ultimo documento del 18 giugno 2019, è redatto da Graziano Pessina, unico responsabile, di un fascicolo di venti pagine, in collaborazione con la Parrocchia di San Martino Vescovo in Correggio.
Il testo fa riferimento all’attuale vescovo di Reggio, monsignor Massimo Camisasca, che in occasione dell’anniversario dell’esecrando delitto di don Pessina, lo ricordava con queste parole: “E’ doveroso chiedere che il suo sacrificio sia CONOSCIUTO E VENERATO, ma non dimentichiamo che esso ha già trovato il suo compimento e la sua pace nella passione, morte e risurrezione di Cristo”.
Graziano aveva quattro anni e sei mesi alla data dell’assassinio, ma ricorda bene quanto gli ha tramandato suo padre Giuseppe e poi quello che hanno raccontato in paese i parrocchiani. Ma soprattutto ha consultato le fonti, in particolare, il materiale della instancabile operosità del Vescovo Beniamino Socche, grande difensore dei sacerdoti calunniati ad arte dai nemici della Chiesa.
Graziano Pessina ha letto tutte le vicende degli eventi del dopo rivelazioni dell’ex On.le Otello Montanari. Ma soprattutto tra le tante, fa riferimento al libro/meditazione di don Primo Mazzolari, “I preti sanno morire. La via crucis continua”, in particolare è stato colpito dalla prefazione di padre Nazzareno Fabbretti, dove scrive che la tomba di don Pessina, non è solo sua: “è un po' la tomba dei poveri preti che furono scelti a consacrare, con la loro morte, le terre che la vita di tutti – così impregnata d’odio e di rivalsa – aveva sconsacrato in troppi modi”. Per questo motivo Graziano è stato spinto alla ricerca degli altri sacerdoti uccisi nel reggiano, constatando che su di essi è sempre stata portata violenza. Pertanto, sono caduti in odio alla fede cattolica/cristiana professata.
Il nipote di don Pessina cerca di descrivere la violenza perpetrata nei confronti di questi religiosi, senza curarsi “della mano che ha innescato la violenza verso gli agnelli. E’ emblematico il gesto della mamma di don Giuseppe Iemmi che durante le fasi del processo, si inginocchiò davanti agli assassini del figlio e disse: “solo quando sarete padri e avrete una famiglia saprete quanto dolore mi avete dato”. Poi, tratta dal petto una corona del Rosario, continuò: “Questa non uccide, ma perdona”.
A questo punto il sig. Pessina stila un elenco dettagliato di sacerdoti aggrediti e violentati, a cominciare da don Giuseppe Benassi fino a don Pessina. Sacerdoti vittime dell’odio ideologico di entrambi i contendenti (fascisti e comunisti). Infatti, scrive Graziano Pessina, “Non ritengo corretto che siano redatti elenchi parziali per la sola convenienza di parte; tutti i sacerdoti dovrebbero essere ricordati nella loro cristianità, per la loro fede esercitata e violata”.
Nel documento Graziano Pessina a nome dei suoi fratelli ringrazia gli amministratori dei Comuni che hanno ricordato con una via il sacerdote martire. Anche il sig. Graziano ricorda i tanti sacerdoti che non hanno avuto sepoltura, lasciati a ludibrio per più giorni, senza alcuna pietà. Sono stati troppi “i sacerdoti e i civili violentati, per odio di parte, per vendetta, per ritorsione o per qualche altro non ben definito motivo, dei quali il corpo non è mai stato ritrovato”.
 
 
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