“Generazioni a rischio avatàr” di Ciro Lomonte

Com’è noto Giano era per i romani la divinità pagana degli inizi del mondo, materiali e immateriali. Solitamente era raffigurato con due volti (il cosiddetto Giano Bifronte), poiché il mito voleva che il dio fosse in grado di guardare il futuro e il passato. Nel caso del Giano quadrifronte, le quattro facce erano rivolte ai quattro punti cardinali. Giano Bifronte è chiamato oggi chi dimostra di essere ipocrita. Ma può essere definito in tal modo anche chi conduce una doppia vita, fino agli estremi paradossali de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, il racconto gotico di Robert L. Stevenson. Lo sviluppo vertiginoso delle tecnologie informatiche ha reso più sofisticato il rischio di uno sdoppiamento della personalità, fino al punto di camuffarsi con un avatàr fittizio, personaggio dalle più diverse sembianze che rappresenta l’alter ego dei vari partecipanti a giochi virtuali.
È un tema che viene trattato con riflessioni di grande buon senso nel libello di Ugo Piazza, Una generazione a faccia in giù: i social media e la nuova scomposizione sociale. Ugo Piazza, nato a Palermo nel 1972, è giornalista e commissario del Corecom Sicilia, “Comitato Regionale per le Comunicazioni”. È specializzato nelle strategie di marketing della comunicazione e nell’interpretazione neurofisiologica della dialettica del linguaggio. In questo breve ma denso saggio, la sua seconda esperienza letteraria, esplora il mondo dei social media, da un punto di vista completamente diverso dalla comune elaborazione del fenomeno. I social media hanno assunto ormai una dimensione predominante nelle relazioni sociali. Nella civiltà contemporanea, hanno di fatto modificato il sistema di comunicazione di massa e pertanto le dinamiche relazionali e la composizione sociale in cui esse si esplicitano. È sempre utile pertanto esaminare come ognuno di noi viva il rapporto con i social media: dagli aspetti più quotidiani, a come essi abbiano cambiato il costume sociale, la sfera delle inibizioni personali e la sostituzione dell’amore come donazione fra persone con il sesso come consumo fra individui. Una disamina senza filtri che non trascura il rapporto che le nuove generazioni hanno con i social media, con tutte le opportunità ed i pericoli che ciò comporta. Un libro che mette di fronte il lettore alla cruda realtà di vivere in una società assolutamente assuefatta alla tecnologia, partendo dal presupposto che “dietro ogni post c’è sempre un essere umano che lo genera”, che può mettere da parte la propria timidezza e trasformarsi in un aggressivo leone da tastiera.
Possiamo non essere d’accordo con alcune affermazioni del libro, ma dobbiamo ammettere che si fondano sull’osservazione di fenomeni reali. C’è da considerare pure – non è certo questa l’intenzione dell’autore – che il suo saggio nasce già vecchio data l’accelerazione dei progressi tecnologici. Non facciamo in tempo ad impadronirci di un nuovo strumento che già ne sono stati prodotti altri più aggiornati, che richiedono l’elasticità di una mente giovane per il semplice uso e di una sapienza navigata per il buon uso. Fa sorridere ricordare l’entusiasmo di Corrado Beguinot, professore di urbanistica alla Federico II di Napoli, quando scrisse nel 1989 La città cablata: un’enciclopedia. L’illustre accademico era convinto che i progressi delle tecnologie dellinformazione e della comunicazione (in acronimo TIC o ICT) ci avrebbero regalato un tempo libero illimitato, perché avremmo potuto fare quasi tutto con un clic. E allora c’era solo il fax oltre al telefono fisso! Invece siamo diventati schiavi di quelle stesse tecnologie che dovrebbero risparmiarci fatiche e rischiamo di restare connessi con tutto il pianeta 24 ore su 24. A volte disconnettersi richiede energie sovrumane. E non sappiamo nulla dei futuri progressi, che incombono su di noi.
 
 
 
 
 
Una serie televisiva sulla doppia vita dei ragazzi
Sulla piattaforma Netflix, nelle prime tre settimane di trasmissione, la serie televisiva  Adolescence ha raggiunto quasi 70 milioni di spettatori, un successo che dovrebbe indurre ad ulteriori approfondimenti. Ogni generazione prende e fa suo un linguaggio, perché sia efficace tra coetanei e incomprensibile per gli altri, riadatta e modella nell’ambito di un codice che risulti efficace tra coetanei e si fa incomprensibile – o peggio, invisibile – per tutti gli altri. La miniserie in quattro episodi mostra il ruolo dei social nel linguaggio degli adolescenti di oggi. Le parole sono importanti, le emoji pure. Adolescence svela termini dimenticati, simboli che assumono nuove connotazioni e piattaforme che ognuno abita a modo proprio, come ogni luogo della socialità.
Il contesto narrativo è l’omicidio di una minore, Katie. Siamo nello Yorkshire, Gran Bretagna, e il sospettato è il tredicenne Jamie Miller. Seppur più piccolo, frequenta lo stesso liceo di Adam, il figlio dell’ispettore Luke Bascombe. È proprio lui che, vedendo annaspare il papà tra interrogatori a studenti e studentesse di fronte a docenti senza traccia di autorevolezza, prenderà il padre da parte per guidare il suo sguardo nella giusta direzione. «Hai visto Instagram, vero?», chiede Adam al padre. Certo che lo ha visto, Instagram. Visto, ma non guardato, non letto con gli occhi di chi conosce un codice preciso.
 
 
Incel e manosfera
Un codice che, nello specifico, richiama alla manosfera (manosphere), parola con cui si identificano tutti quegli spazi digitali di condivisione per la mascolinità tossica, i contenuti e le teorie fortemente misogini e antifemministi. Sono forum, siti, profili, canali in cui risiede comoda la comunità degli incel: contrazione di “involuntary celibates”, celibi loro malgrado, non per scelta. Le loro posizioni si radicano grazie a un assunto che suona come un peccato originario (femminile, s’intende) cucito sulla misura della loro impossibilità relazionale: è il sistema (femminile, s’intende) che li lascia fuori. Le donne hanno il potere e scelgono con chi avere rapporti intimi. Secondo la teoria dominante, che emerge anche nella serie, la percentuale è così ripartita: l’80% delle donne sceglie soltanto il 20% degli uomini (da qui l’emoji con la scritta “100”, cioè la totalità).
 
 
80/20
La teoria prende spunto — in modo semplificato e distorto — dal principio di Pareto, elaborato nel XIX secolo dal matematico genovese Vilfredo Pareto, secondo cui circa il 20% delle cause genera l’80% degli effetti. Applicando questa logica ai rapporti sentimentali, gli incel sostengono che la grande maggioranza delle donne desideri solo una ristretta élite di uomini, quelli considerati più belli, carismatici o “alfa”, ignorando gli altri.
Quello che per alcuni è una sottocultura, per altri un movimento, ha radici variegate nella storia, ma nei primi anni Dieci del Duemila si inizia a parlarne a più riprese. Uno dei canali di Reddit (r/incels), uno dei più affollati luoghi di ritrovo tra coloro che si definivano incel, è stato bannato dalla stessa piattaforma nel 2017 per aver ospitato contenuti violenti. Nel 2021 la Commissione Europea ha pubblicato un rapporto di indagine del fenomeno (l’Italia risultava al quarto posto dopo Germania, Regno Unito, Svezia).
Nella serie Adolescence, Katie avrebbe suggerito, con commenti su Instagram, che Jamie fosse proprio un incel sfigato. Il tutto, attraverso l’uso di emoji: quello della dinamite, per esempio. Simboleggia l’esplosione della pillola rossa, quella che ti fa vedere la verità. La citazione dai più grandi è presto colta, siamo in zona Matrix (il film che fece epoca nel 1999). I più giovani ignorano la provenienza, ma sfruttano il significato della teoria. Se scegli la pillola rossa, hai deciso di conoscere la realtà – in questo frangente, la teoria dell’80% e altre verità sulle donne e il loro atteggiamento – e quindi di “vedere la verità”. Se hai scelto quella blu, spiace, ma sei connivente con il sistema che perpetra questo sbilanciamento uomo/donna, che così tanti maschi lascia fuori, avallandone la vessazione.
 
 
I cuori
Nel secondo episodio, Adam getta un ponte per dialogare con il padre in difficoltà, per condurlo dalle emoji agli orrori del bullismo. E aggiunge: «Quelli che hanno messo i cuori sono d’accordo con lei». E se lo spaesato padre ammette di inviare cuori rossi nelle chat con la madre quando “non sa che rispondere” – altro interessante specchio generazionale –, il figlio rincara con la scala di colori: nei cuori il rosso sta per amore, il viola per eccitazione, il giallo per l’interesse, il rosa per l’interesse senza sesso, l’arancione per “andrà tutto bene”. «Ogni cosa ha un significato», aggiunge.
Come ce l’ha quello che emerge dalla puntata del colloquio di Jamie Miller con la psichiatra: Katie era vittima di revenge porn. Aveva mandato una foto su Snapchat a un ragazzo, e lui aveva pensato bene di inoltrarla a mezza scuola. Compresi quelli considerati “incel”, insignificanti.
Forse il tema delle foto che circolano senza il consenso del soggetto sta suscitando meno scalpore, presi come siamo dai piani sequenza unici e dal racconto di vecchi simboli che trovano un nuovo linguaggio. Basta che non sia la forza dell’assuefazione, perché quello è il vero codice dell’orrore. Insieme alla descrizione di adulti – genitori e insegnanti – impreparati ad affrontare gli avatàr di questi adolescenti. Ma il vero grande assente della miniserie (diagnosi eccellente, nessuna indicazione di terapie) è il fondamento trascendente della ricerca del bene. Quali sono le radici del male e gli antidoti ad esso? Qual è il ruolo del padre nella educazione di un figlio maschio? E quello della madre? Queste ed altre domande rimangono sospese nella mente degli spettatori, che non troveranno certo risposte mettendo la testa sotto la sabbia di un avatàr.
 
 
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