Giovanni Dino (a cura di), "Sorella morte" (Ed. Thule) - di Anna Maria Tamburini
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- Category: Scritture
- Creato: 07 Giugno 2024
- Scritto da Redazione Culturelite
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Voci, voci. Odi, mio cuore, come solo udirono
i santi: sì che l’immenso richiamo
li levò dal terreno; ma essi, impossibili,
rimasero in ginocchio e non se ne curarono:
così erano ascolto. Non che di Dio potresti sofferire
la voce, di lungi. Ma lo spirare odi,
l’ininterrotta notizia che dal silenzio si forma.
Ora si mormora a te da quei giovani morti. (p. 282)
[…] L’eterna corrente
trascina sempre con sé attraverso i due regni
tutte le età, e le sovrasta in entrambi col suono. (p. 283)
(Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi)
Quando ci si separa dalle persone amate, si spezzano radici profonde dentro di noi e si vorrebbe prima o poi potere tornare a comunicare con loro in qualche modo; ma questa intima, profonda istanza sta insieme alla sete – forse da questa proviene – di un amore ancora e infinitamente più grande che, nel desiderio di pace e bene per gli amati, nutre il sogno di poterli riabbracciare – definitivamente e indefinitamente, per sempre – nell’alito di Vita in cui abbiamo bisogno di pensarli, e di ritrovarli tutti.
Epiteto francescano – sorella – per la morte, solo i santi riescono a proferirlo nel significato più puro e più vero cui pensava Francesco quando compose il Cantico delle creature, o Cantico di frate Sole, che si colloca agli esordi della nostra poesia in volgare. Sorella la si può percepire, in linea generale, se viene a spezzare una sofferenza che devasta; ladra, invece, ed efferata, viene, quando senza preavviso inghiotte qualcuno dei volti a noi più cari. Così il sentire comune.
La morte è, come l’amore, la questione fondamentale dell’esistenza, la morte segna l’ingresso nell’altra faccia del tappeto della vita. Da sempre i poeti hanno espresso questo sentire delle due facce della medaglia. Rilke ne ha costruito la sua teoria dell’esistenza consegnata all’umanità, con le Elegie duinesi, come il suo personale testamento.
La morte segna il passaggio all’altro lato del tappeto della vita, dove nudi si entra e dove, così sentiamo, l’unica realtà che resta dell’esistenza può essere l’amore – che nella lingua latina, da cui la parola deriva, sembra potersi interpretare come termine sostenuto dall’alfa privativo: a-mors –.
E dunque può valere la pena interrogare i poeti sulla morte. Ma il curatore del volume, il poeta Giovanni Dino, che in questa raccolta antologica, in versi di intenso lirismo si fa testimone della propria personale esperienza del lutto, aveva chiesto ai partecipanti al progetto dell’antologia, che ha poi intitolato Sorella morte, di esprimere la propria testimonianza, personale o indiretta, con attenzione particolare ai vissuti di premorte. Non è stata evasa, in vero, la richiesta nelle modalità in cui e per cui era stata concepita. Non almeno per la gran parte delle testimonianze raccolte, poiché gli autori, forse preoccupati degli esiti lirici, nella gran parte dei casi hanno scritto altro, hanno ricordato i propri morti, o hanno sentito il bisogno, per lo più, di rappresentare la propria visione del mondo nel proprio rapporto personale con questo capo dell’esistenza che è l’unico termine certo dal momento in cui nella vita si entra. Hanno raccontato le molte morti esperite nella morte di ciascuna delle figure rievocate – come già, e a più riprese, Cristina Campo: E la mia valle rosata dagli uliveti / e la città intricata dei miei amori / siano richiuse come breve palmo, /il mio palmo segnato da tutte le mie morti (Ora rivoglio bianche tutte le mie lettere, da C. Campo, Passo d’addio).
Non è neanche semplice, per altro, regalare il libro, poiché ho riscontrato, di fatto, tra persone vicine, e anche amiche, una certa ritrosia a prendere in mano questi testi, come per ritrarsi a un pensiero opprimente, quasi un incubo, nel senso etimologico – ma del resto niente più della morte giace sopra e persino dentro la vita –, per una specie d’istinto a esorcizzare la “cosa”. Ed è innaturale, la morte, per chi crede nell’amore: la reazione che d’istinto ne rimuove il pensiero attesta la percezione profonda del fatto che l’uomo è chiamato alla Vita, alla Vita è per amore destinato.
Eppure per amore non sente certamente l’impulso a esorcizzare la morte chi si sente perduto per la scomparsa di chi ha amato: chi si sente morire con la morte dei propri cari si sente di casa anzi in visita ai cimiteri.
Quindi, da una parte, l’impulso a stornare il pensiero: ladra o sorella, da rimuovere dal nostro orizzonte; dall’altra, la realtà: questa soglia ineludibile, la ricerca di senso, il significato che può rivestire nella vita individuale e collettiva. Sì, anche nella vita sociale perché, se vivessimo i nostri giorni nella coscienza vigile di questo termine, non avremmo cagioni di liti, volenze, guerre…
E dunque anche un pensiero condiviso, come è il caso di un’antologia collettanea, può meritare una sosta di riflessione. Autori anche già noti nel panorama letterario attuale, viventi e non più viventi, vi hanno contribuito per significare cosa possa essere questa pietra miliare dell’esistenza che inizia a farsi strada dal momento della nascita, come possa averci sfiorato, come si sia scampata, come ci abbia sconvolti con la scomparsa di qualcuno dei nostri, cosa possa tramite questi averci lasciato circa questo, circa l’ “altro” regno.
In ordine alfabetico vi compaiono :
Massimo Acciai Baggiani, Maria Patrizia Allotta, Amedeo Anelli, Lucia Ballerini, Antonella Barina, Silvana Blandino, Giorgio Bolla, Luigi Bufalino, Christina Canato, Concetta Caltagirone, Francesco Casuscelli, Rossella Cerniglia, Nadia Chiaverini, Viviane Ciampi, Pietro Civitareale, Loredana D’Alfonso, Angela De Leo, Luigi De Rosa, Marco Ignazio De Santis, Rosaria Di Donato, Giovanni Dino, Angela Donna, Gianfranco Draghi, Giovanni Fighera, Viviana Fiorentino, Antonio Fiori, Ioana Florea, Alessandro Fo, Rosa Elisa Giangoia, MariaRosa Giannalia, Eugenio Giannone, Filippo Giordano, Elio Giunta, Alba Gnazi, Francesco Graziano, Sandro Gros-Pietro, Gina Guarasci, Lucia Guidorizzi, Antonella Jacoli, Mariolina La Monica, Enrico Maria Lazzarin, Maria Grazia Lenisa, AldinoLeoni, Giacomo Leronni, Gaspare Lo Bue, Mario Luzi, Francesca Luzzio, Marco G. Maggi, Tiziana Malagoli, Monica Martinelli, Irene Mascia, Viviana Mattiussi, Anita Menegozzo, Gero Miceli, Maria Elena Mignosi Picone, Ester Monachino, Daniela Monreale, Mara Moretti, Chicca Morone, Lorenzo Mullon, Daniela Musumeci, Antonio Nesci, Giacomo Panicucci, Marta Paolantonio, Nazario Pardini, Guglielmo Peralta, Laura Pierdicchi, Giorgia Pollastri, Daniela Quieti, Alessandro Ramberti, Vittoria Ravagli, Gianni Rescigno, Lina Riccobene, Alain Rivière, Nicola Romano, Mario Rondi, Stefano Rovinetti Brazzi, José Russotti (Peppi), Anna Santoliquido, Maurizio Soldini, Italo Spada, Antonio Spagnuolo, Marzia Spinelli, Anna Maria Tamburini, Emilio Paolo Taormina, Grazia Tonello, Caterina Trombetti, Giovanni Vetromile, Isabella Vincentini, Carlos Vitale, Adalgisa Zanotto, Guido Zavanone, Lucio Zinna.
Il volume era stato concepito dunque con l’intento principale di raccogliere scorci di paesaggi oltre la “maglia rotta nella rete”, forse alcune, rare “rivelazioni” circa l’altro regno, oltre la soglia, oltre il passaggio che rappresenta, insieme all’unica certezza, la più grande se non inquietante incognita dell’esistere. Anche perché da questa riva l’oltre-morte resta comunque un discorso o per conto terzi o d’anticamera, per rare singolari visioni, per rivelazioni, per intuizioni… Per rivelazioni non poco hanno testimoniato i mistici, per balbettii forse rarissimi giganti della poesia…
Diverso può essere invece il discorso circa i morti, come ci legano, come ancora ci ri-guardano. Da questa prospettiva alle voci degli autori sopraelencati potremmo aggiungere proprio quella della Campo, lungamente paziente nell’accompagnare a quella soglia: “io non prego mai per i morti., io prego i morti. L’infinita sapienza e clemenza dei loro volti – come si può pensare che abbiano ancora bisogno di noi? Ad ogni amico che se ne va io racconto di un amico che resta; a quella infinita cortesia senza rughe ricordo un volto di quaggiù, torturato, oscillante” (Caro Bul, p. 85). Sono parole di una lettera ma potrebbero valere come versi perché condensano in luminose immagini per ossimori e metafore il pensiero del cuore: profondità di pensiero dal sentire dell’anima: la cortesia senza rughe di coloro, trapassati, che pregano per i vivi; i volti tormentati dei vivi … - Nel libro compare anche il nome di un amico della giovane Campo: Gianfranco Draghi . Potrebbero magari anche avere bisogno di noi, e noi li ricordiamo, ma dalla loro sponda – poiché sentiamo che solo l’amore oltrepassa il tempo – molto di più possono loro per noi.
Ed è la preghiera infatti il bisogno insopprimibile dell’umano, il più grande mistero d’unione. La preghiera che rappresenta anche il principio della poesia. Nei libri sacri della nostra tradizione che ci parlano dell’amore si dispiega un disegno impensabile alla mente umana; e questo sentire, che nel Cantico dei cantici già volge a qualcosa di più dell’intuizione di quanto “forte come la morte” sia l’amore” – un passo che non pochi poeti hanno riformulato come “più che la morte” –, questo sentire si colma e s’acquieta nel convito eterno di Rivelazione. Del resto in Apocalisse riecheggiano elementi di Cantico dei cantici.
Nella diversità dei linguaggi un po’ di tutto ciò trapela per flash, di componimento in componimento: un campionario di consapevole dolente umanità che la poesia porge al lettore come omaggio floreale, o come preghiera.