Giovanni Gentile: oltre l’attualismo, l’umanesimo di un filosofo tragico - di Walter Altea

Nel tumultuoso scenario culturale e filosofico del Novecento, Giovanni Gentile emerge non soltanto come il più influente filosofo italiano del secolo scorso, ma anche come una figura complessatragica, spesso calunniata e vigliaccamente e ingiustamente oscurata; non una scuola, non una università, non una piazza o una via è intitolata al grande filosofo. Nel ricorrere dell’anniversario della sua drammatica morte, avvenuta il 15 aprile 1944, è fondamentale ricordarne l’importanza intellettuale e morale.
 
Gentile fu soprattutto filosofo della prassi, e la sua critica al marxismo rappresenta una delle elaborazioni più originali e profonde del suo pensiero. Il filosofo siciliano individuò nella forma di materialismo proposta da Friedrich Engels non soltanto una debolezza filosofica, ma una vera e propria distorsione del pensiero di Marx. Gentile sostenne sempre che Marx, con una sensibilità filosofica raffinata, non condivise mai pienamente l’impostazione materialistica di Engels, riconoscendone implicitamente limiti e contraddizioni. La sua opera “La filosofia di Marx”, frutto di intensi scambi epistolari e confronti con figure quali Antonio Labriola, Georges Sorel e Benedetto Croce, esprime questa visione innovativa e stimolante, riconoscendo in Marx un autentico filosofo che aveva riportato la dialettica alla sua radice hegeliana. Fu lo stesso Lenin a riconoscere il grande valore di questa interpretazione filosofica di Marx da parte di Gentile, considerandola tra i contributi più significativi provenienti da un intellettuale non marxista.
 
La filosofia gentiliana, inoltre, ebbe un impatto decisivo sul pensiero italiano ed europeo del Novecento. La sua riforma scolastica del 1923 trasformò radicalmente il sistema educativo italiano, imponendo un modello che ancora oggi costituisce, nelle sue fondamenta culturali e didattiche, un punto di riferimento imprescindibile per la scuola italiana. Al contempo, l’attualismo di Gentile rappresentò l’armatura ideologica fondamentale del fascismo nel suo inverarsi nello stato e nei nuovi corpi sociali, con tutte le sue luci ed ombre. Egli, tuttavia, non fu mai cieco di fronte ad alcune derive discriminatorie del regime. Uomo complesso, Gentile rimase sempre un filosofo anche dentro al fascismo, esprimendo la sua opposizione intellettuale alle leggi razziali del 1938 e a taluni errori politici del regime.
 
La grandezza morale di Gentile si manifestò chiaramente nella sua azione concreta: nonostante il pericolo, protesse e sostenne personalmente numerosi intellettuali antifascisti ed ebrei, rischiando personalmente per difendere quei valori umanistici ai quali non rinunciò mai. Fu proprio nel tentativo di difendere alcuni di questi intellettuali, che Gentile trovò la morte in un vile agguato, assassinato da partigiani comunisti mentre faceva ritorno dalla sua amata Università. Alla fine della sua vita, con l’opera “Genesi e struttura della società”, pubblicata postuma, Gentile aveva compiuto un ulteriore passo avanti nel suo percorso filosofico, elaborando una visione matura e articolata che chiamò significativamente “Umanesimo del Lavoro”, un fondamento filosofico per la società fascista ideale, centrata sulla dignità del lavoro e sull’umanità come fulcro morale. Ma per comprendere la statura filosofica e intellettuale di Gentile non basta soffermarsi sul suo ruolo di critico del marxismo o riformatore della scuola. Occorre ricordare che fu uno dei massimi studiosi italiani di Hegel, traduttore e commentatore rigoroso della “Fenomenologia dello spirito” e della “Scienza della logica”. Il suo attualismo nasce proprio da una rielaborazione radicale dell’hegelismo, in cui la dialettica non è più il movimento storico-oggettivo dello Spirito, ma l’atto stesso del pensare che si pone e si risolve. Per Gentile, l’atto puro è l’unica realtà: tutto ciò che esiste è pensiero in atto, attività dello Spirito. Non vi è nulla di esterno alla coscienza: la realtà è la storia dello spirito che si conosce. In questa prospettiva, Gentile fu anche l’unico in grado di offrire una sintesi originale e tutta italiana tra idealismo e spiritualismo, rigettando tanto il positivismo quanto il misticismo. La sua concezione dell’io come centro attivo e creatore si scontrava con ogni visione deterministica e lo portava a rigettare il concetto di una realtà indipendente dal soggetto. Per questo motivo, la sua influenza si fece sentire anche nel campo dell’estetica, della pedagogia, della teologia politica, della scienza politica. Il suo contributo all’enciclopedia Treccani, che egli stesso fondò e diresse, rappresenta un’altra tappa fondamentale del suo impegno per una cultura nazionale alta, radicata e libera. Gentile credeva in un’Italia guidata dalla cultura, dove la filosofia potesse tornare a essere la regina delle scienze e dove la formazione dell’uomo non fosse separata dall’educazione morale e civile. Per questo, la sua idea di scuola non era mai neutrale: era una scuola che formava cittadini, non tecnici; pensatori, non semplici esecutori. E in questa visione, fu forse l’ultimo grande intellettuale italiano a credere che la filosofia potesse ancora cambiare la società.
 
La morte di Giovanni Gentile resta una delle pagine più oscure e dolorose della guerra civile italiana, un assassinio che testimonia drammaticamente come, in tempi di violenza e divisione, anche la cultura più alta possa cadere vittima della cieca ideologia. È amaro constatare che ancora oggi associazioni come l’Anpi tentino assurdi revisionismi storici, opponendosi in maniera anacronistica e pretestuosa all’iniziativa dell’amministrazione comunale di Castelvetrano, decisa a celebrare degnamente il 150° anniversario della nascita di Giovanni Gentile, suo figlio più illustre e dimenticato. Ricordare Giovanni Gentile è dunque oggi non solo un atto di giustizia storica, ma un imperativo morale e culturale per riconoscere e comprendere più profondamente le radici filosofiche e sociali della nostra contemporaneità.
 
da: torinocronaca.it
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