“Il fondamento teleologico nella scrittura in versi di Guglielmo Peralta” - di Ester Monachino

In un momento temporale come questo attuale, è possibile ad un’Anima poetica raggiungere con lievi ostacoli quel luogo sacrale di purissima intuizione oltre il dominio della logica esclusivamente razionale? Può un Poeta, nella propria interiorità, soffermarsi in quel Sacro Giardino essenziale riconoscendone il centro da cui irradiare il proprio senso e significato di scrittura e del vivere? A Guglielmo Peralta è possibile e, profondamente dentro a questo luogo di assoluta libertà interiore, in esso ci conduce e ci fa sostare con i versi del suo ultimo volume “Sul far della poesia” pubblicato con i tipi di “Spazio Cultura Edizioni”magistralmente prefato in modo articolato e minuzioso nello scandaglio da Giuseppe La Russa che ha colto le linee d’insieme del pensiero basilare di Peralta e quelle espressive della sua scrittura. Lo confesso: le ho contate. Mi riferisco alla parola “s-guardo” che si staglia con forte e pregnante evidenza nel volume (e di cui il prefatore scrive in modo accurato) e che certamente è parametro di fondamento teleologico, di esigenza primeva di scrittura irrinunciabilmente connessa ad un connubio interiore-cosmico, umano-divino. Mentre la parola “sguardo”, nella sua veste lessicale e identificativa consueta affiora soltanto 3 volte (pagg 18, 50, 68), la parola “s-guardo” insiste ben 11 volte nell’insieme compositivo con la forza prorompente della sua significazione. Non sotterranea ma visibile e chiara. La parola “s-guardo” è comprensiva di Nome e di Verbo (sguardo e guardo) in un alchemico sposalizio che, rivelando momenti fondanti mistico-panici, fruttificano nella primogenitura essenziale del Sé Poetico, in dimensione edificante di piena luce, in clarità visionaria, reale e vera come tutte le cose, tutte le creature di terra, dimensione di “Soaltà” ovvero di sogno (non fantasticheria) e realtà tangibili come si legge a pag. 21. In quel sacro momento di parola poetica visionaria, la forma assume in sé il canto, cosicché ad incarnarsi è il segno vivo ed indicibile transustanziato. Leggiamo, a pag. 105: “E vivo sì io vivo/ per la grazia di un verso/ per questa sacra ostia dove/ Poesia/ si transustanzia/ Ed è la voce promessa/ che cede il canto allo s-guardo”. Da soffermarsi, inoltre, sul fatto che la parola “s-guardo” è connotativa di luce nella sua accezione positiva e visionaria lungi, in Peralta, da quella negativa che non condurrebbe ad alcun atto creativo pur se essenziale nel movimento dinamico insito. Ad essere messa in luce è, pertanto, un’operazione alchemica che a partire da un input di macerazione intima del vissuto, prosegue verso lidi di conoscenza interiore che offrono nel cammino quotidiano una leva archimedica da cui proseguire, innalzarsi, volare in parola e dignità umana. Volare nella Bellezza, come leggiamo a pag 63, “per impazzire di luce”. Per inossare quell’esoterico Angelo di poesia (vedi pagg.40-41), annunciatore d’universo, d’occhi in stupore e innamorati, annunciatore del fanciullo epifanico, del respiro edenico. In questo regno di Bellezza, il Poeta conosce e riconosce lo “stato di grazia/.../ Sei tu/ Ti conosco/ Anima del mondo/ Anima mia” (pag 87). Integrità sopraggiunta: il dentro e il fuori sono la stessa cosa; l’Anima di sé e del mondo non hanno confini. ​Il Poeta lo percepisce, lo sente, ne è circonfuso e permeato. Con il verso “ricevuto” non può che esserci uno stato di “plena grazia” (pag. 109). Una versificazione fluidissima mai intaccata dalla costellazione filosofica: la profondità del pensiero si sublima nel verso che non ha margini stereotipati, che canta con la natura, che dona infinita ricchezza a chi vuole e può scendere nella profondità di se stesso.

 

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