“Il libro di Moriggi e Pireddu e la controversa questione dell’Intelligenza Artificiale” di Maria Nivea Zagarella

Il libro L’intelligenza artificiale e i suoi fantasmi - Vivere e pensare con le reti generative (2024) scritto a quattro mani da Stefano Moriggi, professore associato presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, e da Mario Pireddu, professore associato presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, vuole inserirsi costruttivamente con i suoi quattro capitoletti nella controversa questione dell’Intelligenza Artificiale e delle IA generative, invitando a superare l’approccio oppositivo-competitivo a queste nuove tecnologie, e frenando, attraverso la loro descrizione/conoscenza, entusiasmi eccessivi e paure ingiustificate. Pireddu sviluppa una riflessione più concretamente “tecnica”, tracciando nelle sue pagine storia sociale e sviluppo della “ricerca”, dal seminario del 1956 a Dartmouth nel New Hampshire, dove un gruppo di studiosi delineò i primi calcolatori digitali in ideale continuità e superamento sia dei calcolatori umani (spesso donne), che nell’Inghilterra degli inizi ‘800 eseguivano in ufficio o a casa per diversi enti tediosi calcoli manuali, sia delle macchine ottocentesche ideate dal matematico e filosofo Charles Babbage, fino alle attuali reti neurali profonde che stanno alla base dei sistemi di intelligenza artificiale “discriminativa” (cioè classificatoria) e di quella generativa che produce invece “contenuti nuovi” (testuali, visivi, sonori, giochi, ambienti virtuali…) in risposta a un prompt (richiesta), in genere testuale, degli utenti. L’autore informa sui complessi sistemi di apprendimento delle macchine addestrate su enormi quantità di dati (supervisionato con output predefinito; non supervisionato, cioè la macchina costruisce in autonomia i suoi modelli dai dati senza output etichettato; per rinforzo, con feedback). E si sofferma sulle IA generative di testi (GPT, ChaGPt), la cui architettura di rete neurale basata sui trasformer e relativi meccanismi di attenzione lavora con inferenze statistiche non solo sulla sintassi, ma anche sui significati, e che sono agenti linguistici parzialmente autonomi, e su quelle che generano immagini, le piattaforme tex-to-image come Midjourney, Stable Diffusion, Dall-E. Delle “creazioni” di Midjourney Pireddu elenca le copertine di magazines, la rielaborazione di Julian Van Dieken del quadro La ragazza con l’orecchino di Vermeer, il libro illustrato per bambini (Alice and Sparkle) di Ammaar Reeshi, le graphic novels di Dave McKean e Francesco D’Isa (Sunyata), l’opera in tre immagini, Théâtre d’opéra spatial, vincitrice di un I Premio nel 2022, dell’americano Jason M. Allen. Fatti che a parte le inevitabili riflessioni sulle negative ricadute occupazionali su illustratori, disegnatori, fumettisti (oltre che su traduttori/traduttrici se si considerano pure le facili ormai  traslazioni nelle più diverse lingue di testi saggistici e letterari), accendono anche il dibattito su come si debbano oggi intendere l’autorialità, i linguaggi d’arte, l’opera d’arte, il rapporto tra diritto d’autore dataset di riferimento e creatività. Per non parlare dei deepfake di Midjourney come le false foto di papa Francesco con il piumino bianco o di Trump arrestato, che spostano il discorso sulle fake news (“inquinamento cognitivo” per papa Francesco); o delle “allucinazioni” delle IA (“spazzatura algoritmica”e “difetti” per la giornalista e scrittrice Naomi Klein), cioè quelle risposte errate o distorsioni, dovute a veri errori o ai bias (pregiudizi, falsità consapevoli, discriminazioni) presenti nei corpora di addestramento. “Allucinazioni” che quanto agli “errori” si possono ridurre con dataset più ampi e sempre aggiornati e con l’addestramento supervisionato e per rinforzo, ma non eliminare, perché le Intelligenze Artificiali sono scatole nere i cui processi, negli strati intermedi delle reti neurali profonde, sfuggono anche agli stessi programmatori, e i contenuti finali vengono perciò assomigliati a una “visione oracolare e probabilistica” (o “sogni” secondo la terminologia di Andrej Karpathy). Quanto ai bias o temi sensibili come violenza,  pornografia…l’alternativa sono l’introduzione nei software di filtri etici e censure, e il ricorso a precise norme di regolamentazione, come la legge approvata il 13 marzo 2024 dal Parlamento di Strasburgo (e ricordata da Moriggi), per far sì che non vengano lesi i diritti fondamentali delle persone e calpestata la democrazia, o il ”richiamo” a principi-guida condivisibili universalmente a livello internazionale (al di là delle diverse culture del pianeta e relative gerarchie di valori), quali i 7 principi proposti e sottoscritti, fra altri da Ibm e Microsoft, il 28 febbraio 2020 nel documento Rome Call for Ai Ethics: trasparenza, inclusione, responsabilità, imparzialità, tracciabilità, sicurezza, privacy, prima bozza secondo l’idea di papa Francesco di una “Algoretica”, ovvero una “etica degli algoritmi”. Giusto timore del Papa e delle menti più avvedute è infatti che tali sistemi vengano usati per la riduzione del pluralismo, la polarizzazione dell’opinione pubblica, la costruzione di un pensiero unico, aumentando disuguaglianze e ingiustizie (vedi i sistemi di categorizzazione biometrica, il riconoscimento facciale…).

Capire come funzionano le IA generative, per alcuni assai vicine ormai a una ipotetica Intelligenza Artificiale Generale (AGI) antefatto di forme di Superintelligenza superiori all’intelligenza umana (la cosiddetta “Singolarità” di R. Kurzweil), consente per Pireddu e Moriggi di conoscerne e valutarne opportunità e rischi, per un uso consapevole -dice Pireddu- teso ad aumentare, grazie ad esse, la nostra umanità e creatività, e non per essere da loro invasi e sottomessi, e per mettere in atto -rimarca Moriggi- un pragmatismo un po’ più sano. Anche per Moriggi “vivere e pensare con le reti generative” non significa delegare il pensiero alle macchine, ma trovare una modalità di interazione con esse ripensando il nostro ruolo e posto oggi nel mondo. Nei suoi due capitoletti, rispetto a Pireddu, si muove su un piano più teorico-ideologico e di drammatica svolta epocale. Scrive infatti che imparare a convivere con le reti generative è il dovere di chi ha compreso la natura tecnologica del bipede implume, e cerca di forgiare categorie e tattiche che lo aiutino a studiare (e in parte a scrivere) la storia di quel futuro ignoto e incerto che ci attende. Come affrontare e arginare i pericoli e le paure (i fantasmi!) della “disumanizzazione” (il nostro essere più reperibili, efficaci, produttivi nell’ambiente di lavoro e nel privato), della “disoccupazione”, dovuta a macchine che operano meglio di noi, della “derealizzazione” (alias la perdita di contatto con le “cose” ridotte a informazioni, dati), di una “superintelligenza” incontrollabile? Premesso che -dice Moriggi- non è necessario essere superintelligenze per macchiarsi di progetti illogici e/o scellerati (come mostrano tanti crimini privati o documentatamente storici!), e osservando che il timore della superintelligenza è timore di una macchina libera di pensare, come noi, cioè proiettiamo su di essa l’angoscia e l’inquietudine che ci dà il peso della nostra libertà, l’autore conclude che ci aspetta un Nuovo Umanesimo, che non è quello edulcorato e consolatorio dei manuali correnti e di un uomo visto come qualcosa di definito e di definitivo (aeterna veritas). Ma l’Umanesimo tragico, ”età di crisi“, che viene fuori da un libro noto di Massimo Cacciari (La mente inquieta - Saggio sull’Umanesimo, 2019), una età in cui -precisa Moriggi- uomini come Alberti, Valla, Pico della Mirandola, finito un Ordine del mondo, si trovarono a inventarne, progettarne, uno Nuovo, specchiandosi e misurandosi con coraggio nella libertà/responsabilità di essere ”uomo”, alias “perenne esperimento”, “compito” sempre aperto. E piace qui estrapolare dal libro di Cacciari il ritratto che l’Alberti fa dell’uomo come continua irrequietudine, agitazione, pure nel cogitare, uomo che può rendersi peste e lupo agli altri uomini o civis solidale con l’altro nella polifonia della res publica. Sta a lui decidere quale forma assumere, come nell’Oratio di Pico della Mirandola, dove appare portatore in sé dei tre fondamentali possibili: feritas, humanitas, divinitas. “Oratio” che Cacciari accosta alle problematiche sollevate dall’Alberti, perché vi sente il drammatico anelito a conquistare una misura che ci assicuri fuori dal pericolo (sic!) di smarrirci nel pessimo, magari dopo avere capito il bene. Che è poi il dramma epocale odierno! La “svolta” irrinunciabile!

E appoggiandosi a Giordano Bruno, per il quale a una nuova visione del mondo deve corrispondere una nuova visione dell’uomo, a Nietzsche, per il quale l’uomo è divenuto e anche la sua facoltà di conoscere è divenuta, al filosofo francese Iacques Derrida e al suo concetto di “eredità/compito”: essere è ereditarel’essere di ciò che siamo è eredità, il che significa vivere consapevolmente e criticamente il proprio tempo come il “compito” che si ha davanti, rispondendo alle sue sfide adattive come sempre è avvenuto nella storia evolutiva dell’umanità, Moriggi si chiede quali sfide adattive ci pongono l’Intelligenza Artificiale e le reti generative, che come nuovo “medium” nel contesto degli altri media già esistenti ci impongono una ristrutturazione dell’orizzonte di senso, secondo le indicazioni anche di Di Martino nel libro Viventi umani e non umani - Tecnica, linguaggio, memoria (2017). E, rifacendosi ancora una volta alla terminologia di Derrida, precisa ulteriormente: Che tipo di eredità  -e dunque di essere (umano)- sapremo concepire per un futuro più o meno prossimo? Sono provocazioni le sue e interrogativi analoghi a quelli che da una ottica cristiana, religiosa e sociale a un tempo, ha posto papa Francesco in discorsi e messaggi quali quello per la cinquantottesima Giornata  Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2024) o per la più recente Sessione del G7 sull’Intelligenza Artificiale (14 giugno 2024), in cui parla di strumento affascinante e tremendo, mette in guardia sul delirio umano di onnipotenza -la tentazione antica di essere come Dio senza Dio-, si chiede come possiamo rendere sostenibile questo strumento potente, costoso, estremamente energivoro… e come renderlo accessibile anche ai paesi in via di sviluppo, solleva il problema della necessaria messa al bando delle “armi letali autonome”(i robot/soldato – LAWS- con autonoma scelta di uccidere), lamenta che si stia perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie fondamentali dell’Occidente: la categoria di persona umana, e ricorda che la costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre… la visione del mondo di chi l’ha realizzata e sviluppata. Pure Pireddu e Moriggi si interrogano laicamente su nuove “strategie” di vita e di società, per “normare” innanzitutto questi nuovi strumenti, e soprattutto ottimizzarne le opportunità (senza sottovalutarne i rischi) in relazione a una innovazione protetta e consapevole. E secondo le loro specifiche professionalità e attività ne vedono entrambi l’utilità per le imprese, la pubblica amministrazione, la scuola, l’approfondimento dello studio del passato, come mostrano ad esempio gli esiti dell’analisi algoritmica (la cultural analitcs di Lev Manovich) del movimento culturale dell’impressionismo, che ne hanno fatto rivedere lo stereotipo, restituendone una visione più articolata nei suoi sviluppi dalle origini al suo decadere. Anche Gino Roncaglia (in L‘architetto e l’oracolo, 2023) vede l’efficiente utilizzazione delle IA nell’attribuzione di un testo anonimo o sospetto a un autore anziché a un altro, o nella traduzione/ricostruzione di testi del passato, o di un reperto archeologico a partire dai suoi frammenti, oltre che nella produzione automatica di metadati in contesti quali biblioteche, archivi, musei (a parte già il loro uso in situazioni di marketing, proiezioni finanziarie, diagnosi medica o di supporto a disabili). Moriggi recupera, al fine di poterci orientare nel presente e imparare a “governare“ queste nuove tecnologie, dalla specifica archeologia dei media, da un passato cioè che ci rimanda le matrici culturali (forze, idee, economie, bisogni, secondo le categorizzazioni delle studiose Anna Caterina Dalmasso e Barbara Crespi) che hanno determinato storicamente la comparsa dei vari media, la dimenticata “tetrade” di Marshall e Eric McLuhan. Ovvero, le quattro leggi dei media formulate da padre e figlio, nel 1974, sotto la stimolante forma di domande “euristiche”: cosa un certo medium amplifica? in cosa si capovolge se spinto ai suoi estremi? cosa rende obsoleto? cosa recupera (ricicla)? Le risposte a ogni domanda potrebbero essere -diceva allora Eric MecLuhan- anche più di una, e l’analisi di un medium potrebbe richiedere più tetradi, ancora più utili se prodotte da soggetti diversi, sì da meglio pervenire, incrociandole, a una sintesi critica e creativa. Applicando esemplificativamente la tetrade all’Intelligenza Artificiale e, pur limitandosi a una sola risposta a domanda, Moriggi fornisce nel volumetto una breve, indicativa, bozza di una tale possibile “analisi”.

L’Intelligenza Artificiale -afferma- ha positivamente amplificato la possibilità di processare spropositate quantità di dati a velocità impensabili per il solo cervello umano, amplificazione di cui non può fare a meno l’infosfera in cui ormai viviamo, e innegabile è la grande crescita di conoscenze e efficienza nello scambio di informazioni fra (e su) popoli, generazioni, lingue diverse. Ma tutta questa potenza di calcolo/elaborazione di dati può anche ribaltarsi -come abbiamo visto prima- in situazioni di sorveglianza invasiva, di monitoraggio discriminatorio di individui, gruppi, etnie, minoranze..., inaffidabilità. Anche a scuola la possibilità di apprendere, fare ricerca, formarsi, autoaggiornarsi usando in modo attivo chatbots basati sull’IA, potrebbe ribaltarsi da opportunità a “rischio”, se questi non saranno affidabili e veritieri, se lo studente o altri si limiterà ad “appaltare” loro passivamente il suo lavoro, se si creeranno caste di dominio informativo (dice papa Francesco)…. Per Moriggi le intelligenze conversazionali e generative potrebbero e dovrebbero invece “recuperare” (e sarebbe la risposta alla terza legge/domanda) la razionalità greca con la sua antica abilità nell’arte della conversazione e dell’argomentazione orale “strutturando” e “raffinando” in tal senso le tecniche di prompt engineering, per sviluppare una maieutica reciproca -sottolinea- tra le macchine e noi, e recuperare competenze critico-dialettiche, rendendo obsoleto l’intorpidimento digitale (e non) su un sapere solo nozionistico e trasmissivo. Concludendo, Moriggi e Pireddu ci fanno capire che dipende soltanto dalla nostra libertà/responsabilità di uomini (l’umanistico Quis es homo?) l’utilizzo sbagliato o corretto delle potenzialità delle nuove tecnologie, che è auspicabile avere a nostro fianco come utili e più attrezzati collaboratori, per crescere però “noi” in umanità e come umanità (secondo le formule sempre intense di papa Francesco). Ma questo sarà possibile solo se nelle relazioni interpersonali di ogni giorno sapremo anche continuare a guardarci volto nel volto, occhi negli occhi, “sentendo” il calore emozionale-affettivo della pelle mano nella mano… da carne a carne (vivente), tutti “unici”, anche se simili nella comune fragilità di uomini.                          

 

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