“Un atlante storico della “Magna Europa”: l’Europa fuori dall’Europa” di Domenico Bonvegna

Da tempo in Occidente assistiamo ad una vulgata propagandistica contro il passato europeo, colpevole di aver colonizzato il mondo e di averlo reso una landa desertica. Questa lettura viene sostenuta da forze politiche di sinistra e anche da un certo mondo cattolico, facendo crescere sensi di colpa in Europa e negli Stati Uniti.

Questa vulgata «diffusa in molti circoli intellettuali ed accademici, punta a convincere gli studenti, e in genere le nuove generazioni, che i Paesi colonizzati erano, prima dello sbarco degli europei, un grande Eden pacifico e tranquillo, i cui abitanti conducevano una vita felice e spensierata, basata sull’eguaglianza e la condivisione pacifica delle risorse». (Michele Marsonet, I complessi di colpa dell’Occidente: il colonialismo non è causa di tutti i mali del mondo, 2.12.20, Atlanticoquotidiano.it)

Questi pensatori hanno manicheamente diviso il mondo: «Da una parte i “buoni”, vale a dire i popoli colonizzati, e dall’altra i “cattivi”, cioè noi che occupando i loro territori abbiamo causato la rottura di un equilibrio pressoché perfetto che Dio (o la Natura) avevano creato». E dove esistevano i “buoni”, cioè in Africa, in America, qui c'era una specie di Eden, poi diventato povero e degradato proprio a causa del colonialismo e dello schiavismo.

«Eppure, - scrive Marsonet - è la storia stessa a dirci che il succitato Eden non è mai esistito. Africa e America erano sede di conflitti permanenti e di lotte sanguinose tra popoli diversi anche quando, sul loro suolo, degli europei non v’era traccia». Il “buon selvaggio”, esaltato da Rousseau, non esisteva in Africa e neanche in America, si pensi agli imperi Inca o Azteco.

Che non sia una discussione soltanto accademica, lo si è visto nelle settimane prima del voto presidenziale americano, come i movimenti indigenisti americani e soprattutto i Black Lives Matter, hanno distrutto statue di colonizzatori e razzisti bianchi come quelle di Cristoforo Colombo e di tante altri. Inoltre, i complessi di colpa da cui l’Occidente è afflitto stanno generando una curiosa situazione. Peraltro per espiare i nostri peccati coloniali, secondo certa sinistra dovremmo accogliere senza alcuna limitazione immigrati non europei che, una volta giunti, cercano subito non solo di trasferire, ma addirittura di imporre, i loro costumi e la loro visione del mondo.

Non v’è dubbio che il colonialismo sia un fenomeno deprecabile e da condannare con fermezza. Gli europei lo hanno fatto, a volte anche esagerando.

A noi oggi spetta, studiare, raccontare ai nostri figli, ai nostri giovani, spesso indottrinate da libri di testo faziosi, la Verità dei fatti. Per fargli prendere «coscienza di far parte di una civiltà, come quella occidentale, che al mondo ha fornito contributi fondamentali in ogni campo del sapere umano».

Un ottimo studio ben documentato che ha lo scopo di raccontare la Verità sulle “conquiste” europee nel mondo è «Magna Europa. L'Europa fuori dall'Europa»,  curato da Giovanni Cantoni e da Francesco Pappalardo, (D'Ettoris Editori, Crotone 2006). L'opera raccoglie testi di relazioni presentate a un seminario organizzato nel 2002 a Bobbio da Alleanza Cattolica e parzialmente replicato nel 2004 a Crotone dalla Fondazione D'Ettoris e dalla Biblioteca Pier Giorgio Frassati - costituisce da questo punto di vista un autentico avvenimento culturale, da inquadrare e apprezzare come tale, prima ancora di addentrarsi nell'esplorazione dei singoli argomenti trattati nella ricchissima collezione d'invertenti. E' uno studio inteso a difendere la nostra identità politico-culturale, e per fare questo non si  può prescindere da un corretto riappropriarsi della storia, senza leggende né "rosa" né nere.

Magna Europa (470 pagine) è un testo abbastanza complesso che comporta fatica nel leggerlo, e soprattutto sarebbe presuntuoso e inadeguato anche solo tentare di riassumere nel normale spazio di una recensione. All'opera hanno contribuito dieci esperti, studiosi con contributi specifici, dove approfondiscono temi storici, sociologici, religiosi con buone conoscenze geografiche. Infatti si consiglia di accompagnare la lettura con un buon atlante storico-geografico.

Il volume è aperto da una presentazione di Cantoni, fondamentale per comprendere il senso del testo. Vi si trovano preziose indicazioni sull'origine dell'espressione "Magna Europa", e soprattutto una rivendicazione della legittimità del concetto, che Cantoni attribuisce allo storico della cultura, Henri Brugmans. «Magna Europa, Grande Europa, è dunque il nome con cui correttamente e significativamente si può indicare il mondo umano nato dall'espansione degli europei non solo in quel subcontinente dell'Asia che è l'Europa vero nomine, ma nelle Americhe, in Africa, nella stessa Asia e in Oceania, così come la Magna Grecia è stata anzitutto la 'Grecia di fuori', ma, in ultima analisi, la Grecia in tutta la sua maturazione».

Pertanto Cantoni, citando il grande papa Giovanni Paolo II, il termine Magna Europa, «non è in realtà un territorio chiuso o isolato, ma è un continente di cultura […] si è costruita andando incontro, al di là dei mari, ad altri popoli, ad altre culture, ad altre civiltà».

Questa è la nozione di Europa, non solo "penisola del continente asiatico" «che ospita popolazioni diversissime dal punto di vista etnico e linguistico - ma acquista un significato preciso solo se la si intende in senso culturale, con riferimento sia all'eredità storica greco-romana, sia (soprattutto) al cristianesimo, sia - ancora - alla traduzione di questa eredità e di questa religione in strutture politiche rappresentate da concetti come "feudalesimo" e "impero" che godono di cattiva stampa ma che possono e devono essere riletti al di là delle "leggende nere", ancorché "senza concessioni di sorta alle ‘leggende rosa'» (Massimo Introvigne, Testimonianza per l'Occidente, il Domenicale. Settimanale di cultura, anno V, n. 33, 19 agosto 2006)

Giovanni Cantoni nella premessa fa riferimento a una serie di studiosi che hanno affrontato l'argomento a partire da Pierre Chaunu, Gonzague de Reynold, il pensatore e uomo d'azione cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira, lo storico statunitense Louis Hartz, Jaime Eyzaguirre Gutierrez, ma soprattutto il compianto amico e maestro di scienza storica e di vita Marco Tangheroni, che avrebbe dovuto esserne un protagonista di questo studio sulla Magna Europa. E poi al politologo Samuel Huntington, lo storico francese Fernand Braudel, il pensatore cattolico colombiano Nicolas Gomez Davila, il pensatore nicaraguense Ycaza Tigerino e tanti altri. Peraltro alla fine di ogni capitolo sono presenti dei riferimenti bibliografici e a volte anche  sitografici, con un successivo orientamento bibliografico. Naturalmente tutto questo rafforza la scientificità dell'opera.

Entro nelle varie sezioni del libro aiutandomi con la splendida recensione che ha fatto il grande filosofo argentino Alberto Caturelli per la rivista Cristianità (“Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa”: lettura e bilancio di “un’opera che fa pensare”, n.341-342/ 2007, Cristianità)

La prima Parte (L'Europa che parte), inizia con il primo contributo di Luciano Benassi (Sviluppo tecnologico e conoscenza scientifica nel Medioevo) Non si può fare a meno di studiare e riscoprire il Medioevo tecnologico, quello dell'industria, delle invenzioni, della cultura. La civiltà cristiana romano-germanica, la cosiddetta civiltà medievale, più di altri hanno patito i silenzi e le falsità della “leggenda nera”. E' stata soprattutto Regine Pernoud con i suoi studi a regalarci il vero Medioevo, sgombro dai pregiudizi e dalle falsità. Proprio «in quest’epoca s’incrementò l’uso dell’aratro che smuove la terra, del cavallo, del nuovo sistema di coltivazione a rotazione triennale, dell’energia idraulica, della tecnologia metallurgica di cui furono maestri, in genere, i benedettini e, infine, vennero poste le radici della scienza moderna (cfr. pp. 48 ss.) grazie all’apporto essenziale delle università».

Segue il contributo di Ivo Musajo Somma che si occupa de (L’Europa di Carlo V e di Filippo II d’Asburgo); (pp. 59-80); mostra come un sovrano autenticamente europeo proiettò e realizzò l’idea dell’Europa sovranazionale, multiculturale e cristiano-cattolica insieme al primato dell’ordine soprannaturale: adoretur Eucharistia in orbe universo.

Incoronato Imperatore da Clemente VII il 24 febbraio 1530, Carlo V, rispettando le autonomie locali, pensa alla monarchia universale e, mentre il luteranesimo lacera l’unità religiosa, porta a termine la conquista del Nuovo Mondo. Suo figlio Filippo II lotta per conservare l’armonia della Cristianità, convinto che il sovrano esiste per i popoli non solo della Spagna ma anche di fuori dalla Spagna, come testimonia la vittoria di Lepanto il 7 ottobre 1571. L’autore passa in rassegna le guerre di Fiandra e d’Inghilterra, l’assenza della Francia e l’immenso sforzo di Filippo II e delle Spagne contro il protestantesimo e l’Islam, per consolidare la Cristianità con un ordine civile fondato sulle libertà concrete (cfr. p. 79).

La prima parte viene chiusa da Ignazio e Ugo Cantoni; il primo con uno studio sulla Ratio studiorum della Compagnia di Gesù (cfr. pp. 81-92) e il secondo con un saggio sulle regole del jus in bello in relazione al tipo di armamento (cfr. pp. 93-99). Nel caso della guerra moderna, il numero di vittime di quest’ultima aumenta in modo esponenziale (cfr. p. 98).

La Chiesa Cattolica ha, scrive Ugo Cantoni,«[...]progressivamente orientato verso un'umanizzazione degli scontri, imponendo una serie di divieti, concordemente riconosciuti e rispettati, che rendevano tale attività estremamente limitata nel tempo, con l'esclusione – fra l'altro – dei tempi liturgici detti forti e delle feste religiose».

La seconda parte (L'Europa fuori dall'Europa) costituisce un monumentale corso di storia delle principali espressioni della "Magna Europa". Il primo intervento è di Francesco Pappalardo (L'espansione europea dal secolo XIV al secolo XIX), pp.103-138.

 Nell’ampio percorso l’autore descrive […] il passaggio da un mondo composto da realtà chiuse a un universo in cui grandi aree geografiche, numerosissime popolazioni e civiltà diverse prima isolate entrano in comunicazione” (p. 104); per certo si tratta de “l’esplosione […] su scala mondiale della Cristianità latina” (Pierre Chaunu, p. 106) con momenti chiave come la presa di Granada (2-1-1492), l’esplorazione dell’Oceano Indiano da parte dei portoghesi, la scoperta dell’America (12-10-1492), l’epopea missionaria fino al viaggio di Magellano concluso da Juan Sebastián de Elcano, la coscienza dell’esistenza di un Nuovo Mondo come continente autonomo separato dall’Asia, come mostrato dalla carta di Giacomo Gastaldi (1565) (cfr. p. 129). Con vivacità trascinante vengono descritti i viaggi degli spagnoli, degli olandesi, dell’inglese Cook e del francese Bougainville (cfr. pp. 130-136), che illustrano l’espansione non solo geografica ed economica ma anche religiosa e culturale dell’Europa nel mondo. Nei decenni seguenti al secolo XV, «si verifica un mutamento radicale del panorama mondiale - scrive Pappalardo – il più inatteso. Da allora, nel corso di circa tre secoli, i navigatori europei riescono a collegare fra loro tutte le zone del globo terrestre e ad aprire ai traffici europei tutit i mari, tranne quelli circumpolari, perchè ghiacciati».

Giovanni Cantoni espone il tema (La conquista dell’Iberoamerica (1493-1573): i protagonisti, le modalità e i problemi); (pp. 139-185). Si tratta di una sintesi eccellente che inizia dal 722 con la battaglia di Covadonga, dalla riconquista della Penisola Iberica portata a termine nel 1492 alla Conquista ed evangelizzazione dell’Iberoamerica (1493-1573). Indugia sull’opera dei Re Cattolici, sul carattere del conquistador e sulla missionarietà cattolica dell’impresa; dedica pagine sintetiche ed esemplari alle comunità precolombiane (i conquistati), ai “capitolati” attraverso i quali si trasferiva nel Nuovo Mondo […] quel particolarismo medioevale che nella madrepatria si sta tentando di superare” (p. 165) e alla encomienda, simile al feudo medioevale e alla signoria castigliana, nella quale si realizzava […] una protezione della proprietà degli Indiani che va al di là dei limitati diritti riconosciuti ai contadini nell’Europa medioevale” (Jean Dumont, pp. 167-168).

Ma l’elemento essenziale fu l’evangelizzazione che Cantoni descrive con maestria servendosi di una bibliografia di autori da noi meno noti (come Chaunu, Powell, Dumont) e altri più familiari (come Corrêa de Oliveira, García Morente, Eyzaguirre, Morales Padrón). Caturelli è onorato di essere citato da Cantoni che segnala l'opera del professore argentino: Il Nuovo Mondo riscoperto, edito in Italia da Ares (1992), da me recensita recentemente.

Paolo Mazzeranghi si occupa de (Le tre colonizzazioni dell’America Settentrionale); (pp. 187-212). L’autore inizia con un breve ma preciso riferimento ai gruppi indigeni preesistenti e affronta le tre“colonizzazioni” europee: la spagnola — e la messicana fino alla conquista del Messico da parte degli Stati Uniti nel 1848 —, e la francese, che iniziò cercando l’inesistente passaggio a Nord-Ovest in quello che oggi è il Canada.

Senza entrare nei dettagli ci pare molto giusto sottolineare il lavoro evangelizzatore di francescani e di gesuiti e, soprattutto, l’opera del beato François de Laval de Montmorency, che fu vicario apostolico in Canada nel 1658 (cfr. p. 197). Dopo la Guerra dei Sette Anni e la caduta di Québec e di Montréal in mani britanniche (1758 e 1760), cessò la presenza francese nell’America del Nord. La terza colonizzazione fu quella britannica, che l’autore fa risalire alla probabile esplorazione di Caboto nel 1497. Mazzeranghi segnala che i futuri Stati Uniti furono dominati culturalmente dal puritanesismo (presbiteriani e congregazionalisti) (cfr. pp. 203-208); i caratteri di questo influsso furono indicati dal grande pensatore irlandese Edmund Burke che Mazzeranghi cita:“Ogni forma di Protestantesimo, anche la più fredda e passiva, è una forma di dissenso. Ma la religione prevalente nelle nostre colonie settentrionali è un raffinamento del principio di resistenza: è la dissidenza del dissenso e la protesta della stessa religione protestante” (p. 206; discorso del 22-3-1775). Questo spirito determina la politica britannica nei confronti degl’indiani (cfr. pp. 208-211).

Lo stesso Paolo Mazzeranghi traccia la storia della Guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti (1776-1793) e della Guerra Civile (1861-1865) (pp. 213-242). È di grande interesse la sua critica all’opinione corrente sulla Guerra Civile: il Nord, centralista, detesta un Sud agrario e cavalleresco, che, a sua volta, detesta il Nord adoratore degli affari e della industrializzazione.

Ha girato il mondo una campagna propagandistica che fa del Sud un mondo schiavista; Mazzeranghi rettifica e ricorda anche l’accettabile modus vivendi dei sudisti con i pellirosse e non dimentica che proprio lì iniziò ad applicarsi la disumana concezione della “guerra totale”.

Così fece il Nord, come spiegava il generale Sheridan in un testo trascritto da Mazzeranghi: “È difficile piegare un popolo di combattenti risoluti e coraggiosi; ma mettete alla fame le loro donne e i loro bambini e vedrete i fucili cadere dalle mani dei soldati” (p. 238).

Reputo necessario un chiarimento che riguarda il carattere gravemente fuorviante di ogni assimilazione della cosiddetta Rivoluzione Americana alla Rivoluzione Francese all'interno di concetti comodi ma errati come quello di "epoca delle grandi Rivoluzioni". Cito ancora una volta Introvigne, «la Rivoluzione Americana non si batte per, ma contro il centralismo e la negazione delle autonomie locali e dei corpi intermedi che s'infiltrava anche nell'amministrazione britannica e di cui la Rivoluzione Francese costituisce al contrario la maggiore affermazione. Semmai, elementi di centralismo penetrano successivamente negli Stati Uniti d'America e determinano l'insurrezione degli Stati del Sud, che di queste spinte centralistiche sono vittima: la Guerra Civile del 1861- 1865, che non va assolutamente ridotta alla sola questione della schiavitù. Se le conseguenze della Guerra Civile si fanno sentire ancora oggi, è d'altro canto anche vero che la resistenza del Sud al centralismo, sconfitta sul terreno militare, non fu vana e contribuì alla preservazione di un sistema di autonomie locali che fa degli Stati Uniti d'America la realtà della "Magna Europa" che ancora oggi meglio conserva le vestigia di un ordine costruito sulla gelosa difesa delle prerogative delle città, delle contee e degli Stati che costituiscono la Federazione».

È eccellente la minuziosa esposizione di Sandro Petrucci su (L’Asia portoghese); (pp. 243-291), dall’arrivo di Vasco da Gama e dal riconoscimento dei cristiani dell’Apostolo san Tommaso (cfr. pp. 246 ss.) fino alle grandi figure come Francisco de Almeida e Alfonso de Albuquerque, fondatori dell’”impero” in Asia; Goa non fu soltanto la capitale (cfr. pp. 273 ss.) ma il centro d’irradiazione missionaria; l’autore mette in risalto la mirabile opera di san Francesco Saverio, del padre Matteo Ricci e di Johann von Bell, e studia tutti i particolari fino al nostro tempo.

Si occupa ancora Mazzerenghi della storia de (Il Sudafrica: l’incontro in Africa Australe di due frammenti d’Europa); (pp. 293-312).

In questa storia entra in scena l'Olanda, sebbene con un numero esiguo di emigrati. Poi arriva la Gran Bretagna, qui Caturelli invita il lettore a fissare l’attenzione sulle differenze essenziali fra i boeri, la cui fedeltà letterale alla Scrittura almeno non lasciava spazio al razzismo, e il carattere britannico che porta alla guerra totale e ai primi campi di concentramento (cfr. pp. 304, 310-311). L’Unione Sudafricana comprende le due repubbliche boere e le due antiche colonie britanniche (Capo e Natal).

Della storia appassionante de (Le Filippine spagnole “Estremo Occidente”); (pp. 313-360) si occupa Sandro Petrucci, dall’arrivo di Magellano (1521) fino alla perdita delle Filippine dopo la guerra della Spagna con gli Stati Uniti nel 1898. Prima Cebú (1565), poi Manila (1571) e il Pacifico come il lago spagnolo la cui rotta di ritorno al Messico (Acapulco) fu scoperta da Andrés de Urdaneta nel 1565.

Petrucci descrive l’enorme e bella opera della Spagna a partire dalla Nuova Spagna: l’organizzazione municipale, come la diocesi di Manila, dipese da quella del Messico fino al 1595. L’opera missionaria fece delle Filippine il più bel fiore della Cristianità Orientale. La Spagna si dedicò tutta all’opera più importante della Chiesa in Oriente; qui, non più “estremo Oriente” ma “estremo Occidente”.
Torniamo a leggere Paolo Mazzeranghi che studia un mondo diametralmente diverso: (Australia: l’uomo europeo alla conquista di un “mondo vuoto”); (pp. 361-381). Dopo la scoperta geografica, bisogna attendere il 1780, anno nel quale l’Australia interessa a qualche potenza europea; la prima popolazione formata da deportati dall’Inghilterra (fra il 1788 e il 1868) fu di 162.000 persone; s’incontrarono due civiltà: […] da una parte una civiltà dell’Età della Pietra, dall’altra una civiltà europea moderna in piena Rivoluzione Scientifica e Industriale” (p. 368); questa “società di frontiera” (p. 375) che si sviluppa dal nulla è forse il più lontano trapianto dell’Europa.

A proposito dell'espansione europea in queste nuove terre, è interessante il distinguo del sociologo delle religioni Massimo Introvigne: «Anzitutto, se è certamente vero che la Spagna e il Portogallo cattolici hanno inteso diversamente lo spirito e le modalità dell'espansione rispetto all'Inghilterra e ai Paesi Bassi protestanti, praticando su scala assai più ampia i matrimoni misti con le popolazioni locali, destinando risorse maggiori alle missioni, e quasi sempre offrendo (o almeno tentando di offrire) maggiore protezione e diritti ai nativi, non si deve però ritenere - quasi rovesciando le "leggende nere" ampiamente diffuse da una certa pubblicistica inglese in funzione antispagnola - che la conquista e la colonizzazione inglese e olandese si siano risolte in una semplice litania di massacri d'"indigeni" buoni e pacifici, sempre e comunque vittime della malvagità e del razzismo degli europei». (Ibidem)

Da ultimo Giovanni Cantoni dedica quarantasette belle pagine, quasi un piccolo libro, a (L’Indipendenza politica iberoamericana (1808-1826): dalla “reazione istituzionale” alla guerra civile); (pp. 383-430). L’autore mostra una grande conoscenza e condivisione della migliore bibliografia a partire da L’America e le Americhe di Pierre Chaunu e da quella di tanti autori iberoamericani come Icaza Tigerino; non è consueto trovare in ricercatori dell’Europa geografica questa comprensione intelligente, che rompe con lo schema convenzionale e falso dell’Indipendenza; sulla base della distinzione di Morales Padrón fra “emancipazione”, “indipendenza” e “rivoluzione”, si deve parlare di “indipendenza politica” (p. 385) forgiata sulla base dei princìpi del Sacro Ispanico Impero animato dalle istituzioni medioevali.

Come noi, Cantoni distingue anche una “storia ufficiale” da una “storia vera” (p. 387), che mostra l’impresa indiana come la figlia postuma del nostro Medioevo fondatore di un “feudalesimo amerindo” (p. 396), le cui fondamenta sono poste dalla Chiesa Cattolica.

In questo lungo capitolo sul tema, che va letto in continuità con quello dello stesso autore sulla conquista dell'Iberoamerica. «Qui la vulgata comune - scrive Introvigne - ci parla di una dominazione spagnola rapace, oppressiva, "medioevale" e negatrice delle autonomie dei coloni, e di un processo che porta all'indipendenza avviato e condotto sulla base dell'Illuminismo, dell'anticlericalismo, dell'avversione alla monarchia, delle idee massoniche e di un presunto entusiasmo per tutto quanto va sotto il nome di modernità. Sulla scia dell'intellettuale nicaraguese Julio César Ycaza Tigerino (1919-2001), più volte citato nel capitolo, Cantoni denuncia questa vulgata come una 'falsificazione grottesca e stupefacente'».

Cantoni è consapevole del fatto che la materia è assai complessa. «Tuttavia nella sostanza l'America Latina ispanica è un mondo a suo modo "feudale", attaccatissimo alle libertà locali e ai diritti dei corpi intermedi; ed è quando questi diritti sono negati sia dal centralismo della dinastia dei Borboni sia dall'occupante francese che s'impadronisce della Spagna nel periodo napoleonico che gli ispanoamericani insorgono».

Il libro di grande interesse storico-dottrinale si conclude e siamo alla III Parte con la descrizione attuale della Magna Europa e dei suoi vincoli istituzionali formali e informali: Ilario Favro si occupa degli (Organismi politico-militari dell’Europa Continentale); (pp. 433-443) e Mario Vitali di (Organismi economico-finanziari nella Grande Europa);(pp. 445-455).

Certamente ogni capitolo affrontato in questo grande Atlante o Dizionario di Storia della “Magna Europa”, andrebbe almeno adeguatamente approfondito. I saggi qui pubblicati dalla D'Ettoris Editori per il momento colmano una lacuna.

Termino con l'auspicio e il ringraziamento del compianto professore Caturelli, «Oggi siamo protagonisti di un’immensa tragedia: l’apostasia dell’Europa dello spirito, che equivale a un suicidio storico, lascia come orfani gli europei di “fuori” dall’Europa e gli europei della Magna Europa pensano che, forse, la Provvidenza vuole che parta dall’Europa “di fuori” (dal punto di vista geografico) la nuova evangelizzazione del Vecchio Mondo. Pare necessario un quinto viaggio di Cristoforo Colombo, che porti missionari della fede di Cristo al Vecchio Mondo affinché l’Europa sia nuovamente sé stessa. Dobbiamo ringraziare questo gruppo di ricercatori italiani, e specialmente Giovanni Cantoni, per un’opera che ha la somma delicatezza dello spirito: ci fa pensare».

 

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