"In Giovanni Taibi l’amore come supplemento d’anima" di Maria Patrizia Allotta

      È vero. Nell’arco della propria esistenza può capitare di rincorrere quel grande amore che più si allontana e sfugge più si ambisce e imprigiona.
      I due inclini, spesso nel silenzio, ci cercano a vicenda ognuno a modo suo, indicibilmente uniti, eppure tragicamente distanti, secondo un destino ancestrale che diviene sorte atavica. 
     Sì, perché la passione amorosa non corrisposta, se realmente autentica, non si dissolve nel tempo come nebbia al vento, piuttosto, permane come cristallo in grotta buia, oppure diviene, concretizzandosi poi in quello scoglio di resistenza occulta capace di umiliare il vero effluvio d’anima, la sincera consonanza di amorosi sensi, l’originale affinità elettiva.
      Mentre l’uno vaga e temporeggia, l’altro si annienta e patisce.
     Così passa il tempo, secondo un ritmo esistenziale inconsueto che non asseconda le note melodiose del godere ma i segni atroci del soffrire.   
      E, certamente, tra i tanti possibili amori, descrivere per iscritto, quello che si sublima nel rifiuto, quello che esalta l’abbandono, quello che, infine, svanisce nel nulla, sicuro, facile non è.
     Ci tenta Giovanni Taibi, allora, e ci riesce in modo emblematicamente valido, attraverso una scrittura lucente, scorrevole, cristallina, che non conosce né orpelli e neanche giravolte, ma solo chiarezza espositiva, regolarità morfologica, scavo interiore, messaggio etico.    
     Sensibile ed inquieto - probabilmente provato in tal senso - delicato e schietto, l’Autore, ci dona nitide pagine raccolte sotto il titolo Cercandosi, dove i presunti amorosi si incrociano, si sfiorano, si conoscono e poi si allontanano, lambiscono, si separano.   
    E i due trapassano più o meno tacitamente, senza capire neanche il perché.
    Un amore giovanile, intenso, passionale quello di Salvo; distratto, atipico, strano quello di Anna che incatena l’amoroso, per un’intera esistenza, secondo un sogno che mai diviene realtà.
    Non colgono l’attimo i protagonisti, né le lusinghe della passione vera, neanche la bellezza della vita autentica.
    Una storia, come tante, che diviene simbolo della necessità del cercarsi, nella consapevolezza che “tutto comincia in un attimo, in un giorno qualunque della vita, quando meno te lo aspetti”, che “chi ritorna non è mai la stessa persona che è partita” e che, pertanto, “l’amore inevitabilmente termina e, in verità, più rapidamente che la bellezza, dunque più rapidamente che la natura. La sua fine non si inquadra nel declino cosmologico universale, ma è condizionata da sé stessa. L’amore dura solo per un breve periodo e la sua fine compensa la mancanza di ogni altro limite. L’essenza stessa dell’amore, l’eccesso, è il fondamento della sua fine”.  
    Pagine intense capaci di dare vita a un chiaroscuro simbolico, dove gli opposti si incontrano generando un tappeto musivo fatto di passione e indifferenza, sentimento e apatia, gioie e dolori, sogni e rassegnazione, vita e morte.  Un racconto dove il sentimento diviene trasparente trama e la presa di coscienza ineluttabile fine di quella storia che del carpe diem ne fa coriandoli al soffio nella bufera esistenziale.   
    Ma non è tutto. In modo abile l’Autore è in grado di descrivere le possibili tonalità di quel sentimento chiamato Amore.   
     E, in effetti, nei 198 fogli che compongono il testo è possibile cogliere non solo quell’amore passionale, spesso disperato, tragicamente devastante, in fondo illusorio e amaro, ma anche l’amore coniugale: ora confortante, sincero, eterno, tipico di quelle famiglie in cui l’afflato tra uomo e donna è suggellato dalla benedizione del divino, ora discontinuo, alterato, asfittico, proprio di quei congiunti che fanno della quotidianità una ragion d’essere per la sola sopravvivenza.
    E, poi l’amore per i figli, sempre vivo, fortemente vincolante, prezioso e unico, lacerante a volte, stupefacente, comunque e in ogni caso, capace di saldare anche i sentimenti più contrari, oppure scindere definitivamente i cuori che non battono più insieme.      
    E, ancora, l’amore amicale, quello che accarezza l’anima e conforta lo spirito, non effimero e neanche fugace, che non diviene con il passare del tempo e resiste anche nella lontananza, sempre sconfinato e disinteressato che si sostanzia come essenza vitale, come pneuma vivificante, come alito rigenerante per quell’amico che in difficoltà chiede aiuto e conforto, seguendo il grande insegnamento del filosofo Platone secondo il quale per amicizia non si intende semplicemente volersi bene, ma, piuttosto, assomigliarsi e aiutarsi nei disegni vitali, perché “un amico capisce i limiti dell’altro e lo aiuta”.     
     Infine, l’amore per la terra natia, sempre presente in petto, indimenticabile e insostituibile, lievemente dipinta con effetti di luce impercettibili eppure intensi, con riti e tradizioni autoctone, ma anche con odori e sapori antichi che riconducono, inevitabilmente, alle radici meridionali dello stesso scrittore, attaccatissimo al suo paese d’origine, ai suoi pregiati figli, agli amici carissimi, ai ricordi degli stessi amori vissuti.     
     Ecco, allora, che l’idealizzazione dei possibili sentimenti si concretizza attraverso, immagini, descrizioni e storie, ma anche per mezzo di ricordi, rimembranze e vissuti che accarezzano lo spirito.
    Un mosaico, questo libro, che tra nostalgie e attese, delusioni e speranze, sconforti e sogni ci ricorda che “c’è uno spettacolo più grandioso del mare ed è il cielo, c’è uno spettacolo più grandioso del cielo ed è l’interno di un’anima” e che “quando l’età raffredda il sangue e i piaceri sono una cosa del passato, il ricordo più caro resta sempre l’ultimo. E la nostra memoria più dolce, quella del primo bacio”.
      Tutto questo Giovanni Taibi lo sa… e lo racconta, magistralmente.     
 
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