Dalla “Buchmesse” 2024 in poi. La sfida del pluralismo – di Mario Bozzi Sentieri

Che cosa ci lascia in eredità la 76° edizione della Buchmesse di Francoforte  (16-20 Ottobre 2024),   la prima, da 36 anni,  con l’Italia ospite d’onore ? Tra le tante,  sterili  polemiche della  vigilia (tutte giocate su assenze/discriminazioni inventate),  al di là delle stanche, ripetitive dichiarazioni di chi ha paventato  – per l’Italia – derive antidemocratiche (in testa i presentissimi Antonio Scurati e Roberto Saviano),  accantonati  gli appelli  di chi aveva visto  una presenza italiana “isolana” e  sostanzialmente provinciale (fino a parlare di “fiera della salamella”) , a rimarcare la partecipazione italiana alla Fiera del libro di Francoforte rimangono le vendite di diritti e attenzioni record nei confronti della nostra editoria  (rappresentata da oltre 230 tra editori e agenti letterari), nuovi e significativi contatti a livello internazionale,  un programma culturalmente ricco, segnato dal titolo guida “Radici del futuro”, ovviamente contestato dai soliti noti, espressione del senso del tempo nelle sue tre dimensioni: quello del passato come memoria, del presente come intuizione e scintilla creativa, in grado di proiettare memorie e cultura verso il futuro.

A fissare questa idea dinamica ed insieme tradizionale di cultura il video di presentazione, realizzato da Stand by me di Simona Ercolani, con la voce di Roberto Pedicini , nel quale si vede una bambina che entra in una biblioteca con i genitori, i dorsi dei libri di Pavese, Prezzolini, Dante, Manzoni, uno spezzone dell'intervista di Pasolini a Pound nel 1967. E poi la pagina di un libro che vola sull'Italia e un collage di frasi,  suggellato dal  motto  “Eppur si muove”.

Regista della presenza italiana Mauro Mazza, nominato, poco più di un anno fa,  commissario straordinario per l’Italia alla Buchmesse, il quale ha saputo costruire nella “piazza”, simbolo del padiglione italiano,   circondata da portici a colonne nei vari stili della nostra storia architettonica, il luogo ideale della presenza culturale italiana, tra gli stand delle nostre eccellenze, la mostra su Machiavelli in cui  sono stati anticipati  i 500 anni dalla composizione de Il Principe,  e sponsor, come la Treccani o Gorizia, che nel 2025 insieme alla slovena Nova Gorica, sarà capitale europea della Cultura.

“La rappresentazione che ho cercato di dare grazie all'architetto Boeri – ha specificato Mazza -  è quella della cultura alta della nostra storia che incontra la tradizione popolare. La musica che intervallava con eleganza tra un dibattito e l'altro con le musiche di Morricone e quelle di Battisti era un filo conduttore che legava alto e basso. Questo è stato apprezzatissimo".
Ben oltre lo stile, tutto italiano e  l’efficacia comunicativa del Padiglione Italia, ad emergere, quale linea di fondo della nostra presenza c’è una indicazione “strategica” – passateci il termine – che va ben oltre l’appuntamento di Francoforte e che può segnare i futuri impegni culturali del nostro Paese. Al centro la complessa questione della cosiddetta “egemonia culturale italiana”, rispetto alla quale lo stesso Mazza così si è espresso: “Il nostro obiettivo non è imporre un’egemonia, ma offrire una vetrina all’Italia. È l’unica cosa giusta che un governo liberale può fare. La nostra presenza qui mostra un’Italia libera, dove ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, come ha sottolineato anche Carlo Rovelli, che ha ribadito che l’Italia è un Paese in cui il pluralismo è vivo e dove il passato non deve oscurare il presente”.

 Di questo “pluralismo”– proprio in sede di Buchmesse – sono stati un esempio significativo, tra gli altri,   i faccia-a-faccia tra Alessandro Campi e Andrea Romano, che hanno parlato di patria, destra e sinistra; Giacomo Marramao, Francesco Borgonovo e Marco Tarchi che hanno dibattuto sull’impegno politico degli intellettuali; Luciano Mecacci e Luca Beatrice sulla cultura che unisce occidente e Russia; il confronto su “La religione e le radici” tra il rabbino Rav Scialom Bahbout e monsignor Francesco Moraglia.

Questo per dire come ci sia  necessità di confronti “aperti” e non ideologicamente faziosi, in grado finalmente di dare – usiamo le parole di Mazza – “un’idea polifonica della nostra nazione”, uscendo fuori – aggiungiamo noi – dal tunnel dell’egemonia culturale, di taglio gramsciano, che ha segnato per più di un cinquantennio la nostra vita nazionale.

Sul campo della cultura la sfida deve essere necessariamente polifonica, garantendo a tutti non tanto una generica libertà d’espressione, quanto uguali spazi di dibattito, paritarie tribune d’accesso, autentiche palestre di confronto. Evitando di conseguenza chiusure preconcette (su cui certa sinistra, avvezza alla “guerra delle parole”, è maestra) nel nome di oscuri rischi per la tenuta democratica. Confrontarsi sul piano delle idee e della cultura non è mai un rischio. A  questo, nel tempo del governo di centrodestra, bisogna lavorare. Non certo per rincorrere progetti egemonici, ma per garantire un confronto culturale paritario, in grado di superare vecchie rendite di posizione e attivare produttive “contaminazioni culturali”, un po’ come avvenne, per certa sinistra, nei primi anni Ottanta, allorquando “scoprì” gli  autori della Rivoluzione Conservatrice, il pensiero di Nietzsche, Heidegger,  il “maledetto” Céline, la poesia di Pound, il Tramonto dell’Occidente  di Spengler e la lista potrebbe continuare.

Alla destra, culturale e politica, l’invito di essere finalmente consapevole – anche qui la Buchmesse 2024 ci può aiutare – delle “Radici del futuro”, radici profonde e ramificate, che vanno spiritualmente “riconquistate”.   

Essenziale è  rompere con l’omologazione culturale (quella secondo cui la cultura è monopolio della sinistra) spingendo quanti  a certi autori dovrebbero  guardare ed ispirarsi ad essere consapevoli di un’eredità importante, la quale non può solamente essere conservata e contemplata, ma va valorizzata, divulgata, fatta oggetto di dibattiti, di approfondimenti, fino ad trasformarsi in un elemento  dinamico e creativo nella contemporaneità. Senza ambizioni egemoniche dunque, ma anche senza frustranti complessi d’inferiorità e “diserzioni”. Oggi come ieri il pluralismo culturale non sta certamente a sinistra. Anche l’esperienza della  Buchmesse 2024 lo ha insegnato.

 

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