Intervista a Vitaldo Conte

Lei è accademico ma anche irregolare nelle teorie estetiche e nelle codificazioni pluridisciplinari. Può definire in sintesi la sua vocazione, il percorso e le prospettive del suo lavoro?

Essere nel contempo accademico e irregolare può costituire una naturale possibilità per salvaguardare i due campi: il primo dalla stagnazione dei ruoli e del sapere; il secondo dalla pulsione non consapevole e dall’innamoramento dell’essere necessariamente “contro” ogni sistema normativo. Tutto ciò vale per le teorie estetiche ma ancora di più per le possibili codificazioni pluridisciplinari dell’espressione. La mia vocazione è naturalmente protesa a ricercare le estreme possibilità visibili della creazione, fino al loro “oltre”: di pensiero e ricerca interiore, di evaporizzazione e incontro virtuale, di realtà “altra”. Per compiere questo percorso di ascolto bisogna abbandonarsi al fluire delle sensazioni, ma anche essere accompagnati dal rigore dell’analisi. I significati che ritornano mi aiutano a comprendere il segreto del viaggio umano, attraversando la creazione che può divenire così la mia prospettiva.

Lei parla di narrazione come arte critica. In che senso?

Dopo secoli di immagini, segnali e corpi creativi, la narrazione stessa può diventare arte e la sua possibile critica, espressa attraverso le lateralità della scrittura. Come scrive Roland Barthes: “Non c’è più critico, e neppure scrittore che parla di pittura; c’è il grammatografo, colui che scrive la scrittura del quadro”. Raccontare l’arte come vita può essere oggi più coinvolgente che vedere una opera d’arte, magari “dispersa” in una parete.

Mi sono domandato più volte come possa un linguaggio di scrittura verbale essere considerato, fino in fondo, rivelatore dell’essenza di una espressione d’arte: dalla più comprensibile alla più concettuale. Può divenire, viceversa, la sua possibile narrazione. Un ulteriore sconfinamento della teoria, negli spazi della creazione, può essere (lo è stato per me) quello della “curatela”: ideando mostre d’arte come racconti del desiderio, talvolta attraverso frammenti e lavori di autori segreti. Prosa, lettera, poesia, saggistica possono costituire un unico testo, che vuole esprimere una narrazione d’arte: le parole diventano maschere di scene, immagini, corpi. Come accade agli autori del bianco.

Il bianco è più di un riferimento simbolico e cromatico. Può spiegarci le motivazioni e i riferimenti anche in rapporto con il mito?

“Nulla piace di più agli dei che il bianco” scrive G. B. Alberti. Nella pittura classica la luce, il cielo, la nuvola erano le possibili “maschere” che celavano o evidenziavano l’enormità che sovrastava l’umano. Queste istanze, azzerate da ogni trascrizione simbolica, vivono oggi nell’espressione, estrema e interiore, dell’arte bianca. Vivono come mito velato degli dei, la cui indicibile essenza può essere svelata dall’artista sciamano. L’oltre del bianco coincide con quello della creazione stessa. Le poetiche leucofile sono un esempio e percorso di Arte Ultima, in cui s’incontrano i confini della letteratura, dell’arte e degli altri linguaggi. Soprattutto in questo ultimi squarci di storia dell’arte, in cui i corpi e le materie, le scritture e i suoni sono diventati anoressici nell’offrire ancora esteriori suggestioni alle voracità dei sistemi dell’arte. Dal bianco dell’indistinzione originaria nascono i colori e i rumori della nostra esistenza.

Si può parlare dell’attualità dell’antimoderno?

L’attualità dell’antimodernità è stato il titolo di un convegno all’Università di Catania (2006) a cui ho partecipato. Era stato per me occasione per esprimere su questo tema considerazioni sull’arte italiana e in generale.

Gli archetipi dell’essere vivono ancora nelle memorie e storie della cultura, soprattutto quella mediterranea, incarnandosi talvolta in corpi e soggetti creativi. I loro richiami dell’origine possono riecheggiare oggi anche per illuminare le ombre dell’arte: dalla dimenticanza e dall’occultamento ideologico. Come barbari sognanti si può ricercare l’arcaico come Tradizione e il contemporaneo come Avanguardia, fondendoli nell’unicum alchemico dell’opera. Questa arte-vita può divenire così una proposta di Antico Futuro.

Lei si è molto occupato di avanguardie dal Futurismo al Dadaismo con Julius Evola fino ai contemporanei. Non nota una ripetitività esasperata e nichilista nell’arte contemporanea e perché?

Il Futurismo e il Dada sono state avanguardie storiche radicali: protese a recidere, con innocente crudeltà, i miti dell’arte (passata e presente), confrontandosi con la sua crisi, i suoi sistemi e la società. Julius Evola, il principale artista del Dada in Italia, considerava questo movimento come l’approdo estremo dell’arte modernissima, non intravedendo nell’ambito della forma una possibilità di sviluppo. Le neo-avanguardie e quelle successive hanno amplificato le aperture, soprattutto nei loro rapporti con l’esistenza. Nella pluralità delle espressioni dominanti nell’arte di oggi non esiste però l’urgenza di definirsi avanguardia, in quanto questo concetto esigerebbe l’individuazione di una tradizione con cui confrontarsi, che non risulta più un referente.

L’arte nell’attuale comunità globalizzata tende a essere tendenzialmente economica, senza soverchi ascolti interiori. La ricerca forzosa del nuovo tende a divenire un imperativo, dovendo una merce sostituire un’altra al momento opportuno. Nel mondo attuale il branding sostituisce il giudizio critico. L’arte, divenendo una protesi dell’economia, cade nel paradosso di essere di moda proprio quando diviene più costosa, essendo business art.

La creazione contemporanea dovrebbe ritrovare la capacità d'inventare e narrare storie “altre”, recuperando il proprio sogno originario: come lo è stata la sfida futurista alle stelle.

Scrittura e pittura hanno un futuro o sono destinate al solo utilitarismo narcisistico che ha in Instagram la sua apoteosi debole come, a mio avviso è la condizione del pensiero dominante?

Scrittura e immagine hanno un possibile futuro di interazione sempre più complesso e sincronico. Oggi l’uso della scrittura, in un messaggio virtuale, ricerca spesso l’immagine di qualche emoticon, smile o simbolismo per poter esprimere compiutamente il proprio significato. Lo sviluppo di Instagram certamente oggi tende a una diffusione di immagini senza profondità. Da questo utilitarismo narcisistico emergono però, e non a caso, quelle che narrano o costruiscono una scrittura metaforica del pensiero: dominante o di realtà “acide”. La contaminazione e la dialettica fra scrittura e immagine (anche pittorica) ha il tempo dell’uomo. Forse anche questo rapporto, che oggi vive nella virtualità, può o potrà riconnettersi con i richiami dell’origine.   

Può regalare un suo aforisma inedito ai lettori?

Antico Futuro è un richiamo dell’origine per ritrovare la bellezza della vita come Arte Ultima.


Vitaldo Conte

Romano. Teorico, storico dell’arte e scrittore. Artista e performer. Docente di Storia dell’Arte Cont. all’Accademia di Belle Arti di Roma (in precedenza Foggia, Lecce, Catania). È stato docente a contratto di Storia dell’Arte Cont. all’Università di Catania.

Principali testi teorico-critici: Nuovi Segnali (Ant. sulle poetiche verbo-visuali italiane negli anni ’70-’80), Maggioli Ed., Rimini 1984; Dispersione, Ed. Pendragon, Bologna 2000; Anomalie e Malie come Arte, Il Raggio Verde Ed., Lecce 2006; SottoMissione d’Amore, Il Raggio Verde Ed., Lecce 2007; Pulsional Gender Art, Avanguardia 21 Ed., Roma 2011; Arte Ultima, Avanguardia 21 Ed., Roma 2017; Antico Futuro – con Dalmazio Frau, Emanuele Ricucci –, Ed. Solfanelli, Chieti 2018.

Fra i testi sull’arte in cataloghi, taccuini, pubblicazioni collettive: Julius Evola, Iiriti Ed., Reggio Calabria 2005; Mistiche bianche, Iiriti Ed., Reggio Calabria 2006; DonnaArte, Il Raggio Verde Ed., Lecce 2007; AA.VV., L’attualità dell’antimodernità, Lumieres Internationales, Lugano 2008; Pulsional Ritual – con Giovanni Sessa –, Gepas, Avola 2012; Ritual Rose, Gepas, Avola 2013; AA.VV., Marinetti 70, Armando Ed., Roma 2014; AA.VV., Julius Evola e la sua eredità culturale, Mediterranee, Roma 2017.

Curatore di mostre pubbliche, tra cui: Dispersione, Foggia 2000; Malie plastiche, Museo Civico, Foggia - Castello Carlo V, Lecce, 2002; XIV Quadriennale - Anteprima (commissario), Palazzo Reale, Napoli 2003-2004; Julius Evola, Reggio Calabria 2005-2006; Mistiche bianche, Reggio Calabria 2006; DonnaArte, Trepuzzi (LE) 2007; Body Writer, Catania 2009; Rosa Lussuria / Ultime riviste futuriste, Lecce 2010;  Eros Parola d’Arte, Lecce 2010.

 

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