Introduzione alla narrazione in versi “Bir el Gobi!” di Alfonso Indelicato (Ed. Tabula Fati)

 

 

Inizialmente il mio Bir el Gobi voleva essere una rivisitazione del poema epico-cavalleresco, naturalmente in dimensione molto ridotta  rispetto agli illustri originali (mega biblìon, mega kakòn) e con alcune licenze, rispetto ai canoni quintilianei, quanto ai contenuti e allo stile. A tale impresa mi aveva indirizzato una certa congenialità con il genere narrativo nonché l’interesse per la materia storica in questione, cioè la battaglia combattutasi nel dicembre del ’41, nel deserto libico,  tra due battaglioni di volontari denominati “Giovani Fascisti” e un intero corpo d’armata britannico. I ragazzi-soldati, addestrati in Italia in tutta fretta e  osteggiati da buona parte degli alti ufficiali dell’esercito che non credevano nella loro efficienza bellica, arrestarono gli inglesi di fronte all’oasi di Bir el Gobi per alcuni giorni, fino all’arrivo dei carri armati di Rommel. Questa resistenza a oltranza impedì che il nemico sorprendesse alle spalle le truppe italo-tedesche impegnate più a nord nell’assedio di Tobruk, e così preservò l’intero fronte del nord Africa dalla disfatta. La condotta dei giovanissimi volontari in quella vicenda, come in tutta la successiva campagna militare, fu densa di episodi di  ardimento, che solo la damnatio memoriae esercitata sull’intera guerra fascista ha potuto cancellare dalla storia “ufficiale”, relegandoli nella consapevolezza di pochi.

Ciò detto, man mano andavo scribacchiando è sopravvenuta una differente esigenza: quella di andare al di là dei meri fatti, cercando di comprendere ed esprimere cosa avesse convinto quei giovani e giovanissimi a vivere l’avventura. Di seguito poi, di passo in passo, mi sono posto una ancora diversa e più generale questione: quale Italia fosse quella che esprimeva giovani che avevano fatto tale scelta, così diversi – non dico necessariamente migliori ma diversi  –  da quelli che conosciamo oggi dal vivo e dalle cronache.

La battaglia di Bir el Gobi è così diventata, per me, simile a un esperimento di sociologia storica, senza però dimenticare che essa fu prima di tutto un evento fatto di carne, sangue, sogni, avventura, sacrificio, cameratismo, disciplina, ardimento. Ho cercato dunque di soddisfare entrambe le esigenze: quella di raccontare ciò che accadde e quella di spiegare perché accadde. Naturalmente non nelle modalità del saggio, ma in quelle della poesia che, quando riesce nel suo intento, offre al lettore, più che spunti di riflessione,  immagini e stati d’animo da condividere.

 

 

 

 

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