Iolanda Virzì, “Giù la maschera maestro ai tempi della pandemia" (Ed. Antipodes) - di Giusy Miceli

L'autrice Iolanda Virzì nasce a Palermo dove svolge la professione di insegnante nelle scuole primarie. Ho avuto l’onore di conoscerla personalmente poiché entrambe membri della Pastorale della Scuola nella parrocchia “Sacra Famiglia di Palermo”, accomunate dal desiderio di lavorare per la Scuola scambiando, con altre colleghe, momenti di preghiera, esperienze, cercando possibili soluzioni per migliorarla. Leggendo il saggio Giù la maschera maestro ai tempi della pandemia, già il titolo, aiuta a cogliere il significato intrinseco del suo libro che ci riporta a qualcosa di molto attuale: la maschera in tempo di pandemia, la maschera capace di nascondere quell’ “Io” che non si vuole far conoscere agli altri e il ruolo e la figura del maestro educatore spesso screditato in un contesto alquanto complicato. Tantissimi gli argomenti sociali affrontati da Iolanda Virzì, ma mi soffermerò su alcuni punti in particolare, per portare il lettore a momenti di riflessione.

     L’autrice attingendo dal passato, affrontando con lucidità il presente e proiettandosi nel futuro, fa un’attenta analisi delle dinamiche sociali e personali che ci hanno caratterizzato in tempo di Covid-19, dei dubbi e delle speranze che qualcosa nel mondo possa cambiare e migliorare. Animata da una profonda fede e da una spiccata sensibilità, prende coscienza di una società malata, di una Scuola sempre più denigrata, di un progresso che diventa regresso. La tecnologia che porta l’uomo e, soprattutto, i giovani all’incomunicabilità, alla dipendenza, all’isolamento, alla mancanza della relazione con gli altri e ciò, dal punto di vista educativo risulta deleterio. L’autrice nota con amarezza di come i giovani stiano vivendo in un mondo virtuale, avulso dalla realtà, senza regole precise e spesso privo di sani valori. Da qui il fondamentale ruolo dei genitori, principali e diretti educatori. La stretta collaborazione tra genitori e Scuola, costituirà secondo l’autrice, un connubio inscindibile e vincente per la formazione dei ragazzi che saranno ben guidati ed avranno davanti a loro la strada giusta da percorrere. Quindi Famiglia e Scuola luoghi sicuri e solidi punti di riferimento per i giovani che dalla società odierna ricevono spesso stimoli negativi e fuorvianti. I ragazzi, disorientati da un futuro incerto, impauriti da possibilità di guerre nucleari, disastri metereologici e virus mortali, senza alcuna certezza del loro futuro, soffrono di seri malesseri interiori quali depressioni, sfiducia in sé stessi e nel mondo che li circonda. Quindi l’importanza di seguirli, educarli, aiutarli psicologicamente, con genitori attenti e accorti ed insegnanti, che non si limiteranno solo ad impartire lezioni ma che forniranno le competenze necessarie per affrontare il mondo serenamente in una società disumanizzata e materializzata. L’autrice nota purtroppo nella società odierna, genitori che spesso sconoscono il loro ruolo genitoriale ed insegnanti denigrati, non apprezzati, che perdono sempre più autorevolezza in una società molto distratta.  Purtroppo i dati degli ultimi anni dimostrano che in Italia le condizioni della Scuola e dei docenti, non hanno subito alcun miglioramento e che la spesa per l’Istruzione è all’ultimo posto. In tutto questo la pandemia è stata deleteria e il periodo di chiusura per l’emergenza anti-Covid ha fatto si che la Scuola mettesse in atto la cosiddetta Dad (didattica a distanza) che si è rivelata un vero fallimento soprattutto nell’età evolutiva, per la mancanza del rapporto diretto con gli insegnanti e la socializzazione con i compagni. La pandemia ha profondamente segnato il mondo intero, ristretto gli orizzonti annullato progetti. É in quel momento che l’uomo, ha buttato via la maschera, si è analizzato profondamente e ha capito il vero senso della sua vita. Solo, con sé stesso, ha cominciato a guardarsi dentro come davanti ad uno “specchio” che dice la verità, che riflette senza ingannare. Uno specchio che smaschera, che mette davanti alla dignità umana che deve sempre emergere senza scendere ai compromessi della società. Ed è forse allora che l’uomo ha trovato il coraggio di ricominciare lasciandoci dietro le scorie, i detriti e le sovrastrutture imposte dalla società come fa un fiume lungo il suo percorso.

     L’autrice però, da buona cristiana, comprende come spesso gli ostacoli posti dal buon Dio possano servire a far riflettere l’uomo, facendolo ponderare sul suo operato riportandolo alla semplicità di un tempo. Il fatidico slogan, “Io resto a casa”, ha fatto sicuramente capire il vero senso del Natale che è rinascita e amore, essenzialità, contrizione del cuore. Dalle letture della liturgia ascoltate in quel periodo in televisione, come nel libro II di Samuele, l’autrice scopre una parola chiave “CASA”, casa in cui scorge un vero e proprio messaggio evangelico: casa come nido, rifugio, luogo stabile dove abitare, luogo di procreazione, nucleo familiare. I riferimenti all’annunzio del matrimonio tra Maria e Giuseppe e quello dell’arcangelo Gabriele alla Madonna, rimandano alla famiglia di Nazareth, vista da Iolanda Virzì come modello cristiano ideale da imitare, basato sui valori e gli insegnamenti di Gesù Cristo quali il rispetto, l’obbedienza, la comprensione, l’amore verso l’altro, il senso del dovere, il rispetto per la natura. Gesù quindi, visto come maestro pedagogo anche oggi che pone le solide basi di amore, di amore, di fratellanza e di solidarietà tra fratelli e sorelle senza distinzione alcuna. Se un bambino sarà abituato a rispettare le regole in famiglia, accetterà quelle della società a cominciare dalla scuola.  E la parola Casa la ritroviamo nel luogo effettivo dove nacque Gesù, Betlemme che in ebraico significa “Casa del Pane”, pane alimento principale per sopravvivere, simbolo della vita frutto di sudore e di pazienza, pane come corpo di Cristo nell’Eucarestia, come nutrimento dell’anima nel Padre Nostro. Ritornando alla casa del pane, Betlemme dove Gesù è nato, lontano dagli sfarzi e dal lusso, ci riporta alla nostra casa in tempo di pandemia e per chi ha fede riesce a scorgervi un piano di salvezza. In effetti, nell’essenzialità e nella semplicità, nell’esempio della famiglia di Nazareth e nel rispetto sacrosanto della natura, si potrebbero porre le basi per un futuro migliore Ma l’autrice nota amaramente come l’uomo, che vuole far dipendere la Natura da sé stesso, facendone spesso scempio, stia commettendo un errore madornale. Schiavo del progresso, bypassando ogni regola etica, inglobato nell’illusione di poter programmare tutto tecnologicamente, facendosi il Dio di sé stesso, si sta avviando a diventare vittima di sé stesso. Allora la “Casa del pane” deve rappresentare per l’uomo la presa di coscienza degli eventi e del mondo per correre immediatamente ai ripari, prima che sia troppo tardi. L’autrice vede il lockdown come un deserto che ha accomunato l’uomo a Dio anch’Egli nel deserto per 40 giorni, alla Quaresima, i 40 giorni prima della resurrezione di Cristo a Pasqua, ai 40 anni nel deserto del popolo d’Israele prima di arrivare alla “terra promessa” e alla quarantena a causa del Covid-19. Quindi lockdown come dura prova che può però portare a qualcosa di positivo, ad una terra dove scorre latte e miele, alla riscoperta delle cose più umili e genuine capaci di migliorare un mondo ormai troppo sfruttato ed annichilito. Quindi, alla luce della fede, vediamo come gli ostacoli che Dio ci pone davanti, devono servire all’uomo per riflettere, per ritornare sui suoi passi per progettare con fiducia un mondo migliore.

   E per finire, la frase di Comenio che dice: “A questo fine la vita è sufficientemente lunga se ne sappiamo fare buon uso”, assume un profondo significato.

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