IX Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Avvocato Natale La Ferla

Quando cessò la guerra, nel Meridione, Guatieri Sicaminò sparì ,per noi, tornammo in  città, a Messina. Gualtieri Sicaminò non soltanto sparì ma ci apparve o mi apparve  luogo ritretto, paesano, imprigionante, ed anche litigioso, rischioso. Nella famiglia materna, vasta,  due sorelle di mia madre la inimicavano. Certo, ricordavo le campagne, i manderineti, i limoneti, l'oscurità della cattedrale, la piazzetta dove si ergeva il palazzetto sberciato  eppure gentilizio della nostra “dinastia” materna, i Bruno, vi era un pontcello  curvo sopra il ruscelletto, di una qualche antichità, e mi restava impresso, ma era il temp della “città, il tempo ell'esodo dalle campsgne, il tempo dei contadini che divenivano operai. Soprattutto l'animosità familisre offuscava la sressa Gualtieri, l'inimiciza tra i genitori anziani, tra i loro figli, tra figli e genitori. Abitavamo una casetta  salendo stradine nel mezzo di cstruzioni  calcinose,  spesso stavamo nel palazzetto dei Bruno, nella famiglia della rivalità, e crescevamo. Mia sorella Ermanna gia appariva nel dubbio del continuare a vivere, silenziosa, i lsrghi  occhi di un marrone  addolcito di mestizia, finissim capelli lievi scesi  sulle guance pallide, ed una minima incurvatura delle labbra ,timda amarezza che non osava manifestarsi, mai che parlasse, mai che le insorgesse un moto, diversamente la sorella maggiore, sorgeva alta, snella, nerissima di capelli addensati, sopracciglia segnate, cantava, Caterina(Katia)  le sarebbe piaciuta, in seguito, una vita come la conquisterà mio fratello, ma non erano tempi di libertà per le donne, c tuttavia cambiamenti iniziavano, balli, serate, e corruzione, anche,, io me ne restavo accanto a mia madre, ero il figlio in regola. Sembrava.. Diccvo, quando tornammo in Città,, Gualtiri svanì, non per mia madre che lo recava in sé con la stessa devozione che sntiva per il padre e la madre.  Dopo la sosta nell'abitazione dei parenti di mio padre, a Messina, essendo la nostra abitazione in rovina, accomodata che fu, questi parenti li abbandnammo,, inesistenti,la morte di mio padre cagionò la morte anche della sua famiglia, per noi, non so  perché.  L'abitazione dove fummo ospiti era grande, in anni successivi ebbi occasione di rivederli o di conoscerli, questi parenti, mi diedero impressione di modestia, ma dopo conobbi dei Saccà con attività professionale di qualità. In ogni caso, svanirono, li ignoro , come ignoro su mio padre,  ritrovare una sepoltura a suo nome, ancora . Vorrei saprlo, devo saperlo. All'opposto, la famiglia di mia madre fu consistente di numero e di  presenze. Ho scritto , mi pare, di  una sorella di mia madre a mia madre ostile, piccola, anzi corta,  occhi verdastri,  voce stridente, il coniuge altissimo, grande ,vivevano nel benessere, le poche volte che mi recai da loro, vi era una cuginetta, Edy, percepivo odore di cioccolato,  esposto in coppe di cristallo sulla tavola massiccia,  mobili antichi, respiravo anche  l'odore dei mobili antichi, oltre la vista, l'odore di un passato radicato, qualcsa di robusto, saldo, persisrente, ornamenti trinati, larghi divani, sedie bombate.Questa zia odiatrice si chiamava Rosina, l'omone coniuge ,non ricordlilil nome, era forse responsabile di  uffici per la navigazione, il luogo di attività vicino alla stazione accanto al porto, a Messina la stazione è  accanto al porto  per i traghetti dalla Sicilia al “Continente”, come si dice. Questo omone, rare le occasioni di incontro,ben disposto, di certo subiva,  sopportava la moglie, come si narra in cinema e teatro e romanzi di tali strambe unioni,  meno è alta la donna e  assai alto e gonfio l'uomo, la donna cresce in voglia di dominio. Avverrà similmente se piccolo è l'uomo , accresciuta la donna. Mia madre irrideva alle smanie di supremazia della  sorella, e la soprannominava la Regina di denari; la figlia di questa unione, Edy, fu (è?) notaio,  amichevole. Il loro cognome, Barbaccia. Più cordiali, più freguentati in quegli  anni successivi alla guerra i rapporti con una sorella di  mia madre, a mia madre somigliante,forti capelli , largo volto,  deciso  in mia madre,  sereno in questa zia, il suo nome . Ina, ignoro la provenienza, Concetta, Concettina, Ina,  da noi,  anche altrove, i nome si sformano e riformano, mia madre era di suo Nunzia, che diventava Nunziatina, che diventava Tina. Questa zia Ina , alta, vasta, fu sposa ad  un  signore, di proporzioni inferiori alla consorte,   aveva occupazione in un albergo centrale di Messina, nella Piazza Cairoli,  Piazza  delle riunioni di giovanissii, giovani, adulti, dei comizi, degli alberi, di uccelli perenni ,rumorosi più del vento, aveva piacere a vederci, vedermi, affettuoso, un vero zio.Io, che non ebbi padre, sentivo massimamente questo slancio o lo immaginavo, incredulo, disabituato, ed anche sfuggitivo, avvinto al fantasma di mio padre, alla onnipresenza di mia madre.. Chi sa com'è la mano di un padre che stringe la piccola mano del piccolo figlio! Tre i loro figli,, due femmine , di una rammento il nome, Grazella, dell'altra non lo rammento(Rina?),  il maschio Emanuele, Emanuele Costa,  compagno  di infanzia, il suo cortile non distante dal mio, attraversare il ponte del viale San Martino, il Ponte detto Americano, qualche palazzina, e giungevo nel suo cortile. Il gioco , ragione degli incontri, dell'amicizia, il cortile, non vi era la comuncazione con altri modi, né il gioco con strumenti. Il nostro corpo, la nostra esistenza. Il saltello, quadrati segnati in gesso, tre,uno dopo l'altro, al terzo si aggiungevano ad entrambi i lati due quadrati, uno solo successivamente. Mi pare tale la figurazione. Gettavamo in un qusdrato una pedina  che dovecamo raccogliere  raggiungendola  a mezzo di una sola ganba , due, una, di sicuro obbligo di  alternsre una gamba, due gambe,  a quale fine ,  l'ho smemorato. A meno che riusciva vincitore chi non cedeva a stare su una gamba e poggiava con entrambe. Il gioco denominato  “liberi tutti”, uno di noi ad occhi chiusi doveva scoprire, allsrgandoli,  dove gli altri si erano nascosti, uno sd uno,, e di corsa battere un luogo precisato avanti a chi era stato scoperto, e nn loprecedeva, tornava a cercre. “Mosca cieca”,:uno bendato doveva riconoscere al tatto  i non bendati. Se non riusciva continuava l'investicazione.Infine, lo  schiaffo( A moffa , Schiaffu o suddatu), uno di noi metteva  la mano sinistra sotto il braccio destro, aperta , non gusrdava chi gli stava diertro,coprendo l'occhio destro con la mano destra, veniva schisffeggiato sulla nan sinistra,, si voltava e doveva cogliere colui che schiaffeggiava, se sbagliava ancora a ricevere botte, sovente sforzate. Poi vi era il gioco delle biglie(u palogiu), ne ho detto. Gicavamo, ore, soprattutto nel mio cortile,giornate, le madri si affacciavano per scorgere se eravamo salvi. Ah, c'era ance la scuola! Con Emanuele(Neli, Neluccio) ci perdemmo, decenni, decenni, quando ci rivedemm, la felicità antica l'ottenebrò la sua morte, Un'altra zia era Marietta (Mariana), viveva a Milazzo, il coniuge Trimboli  massimo fotografo della Sicilia,esclusivo, moltissimi figli, alcuni  avventurosi nell'inetero pianeta,, Gianni a Hollywood , Sergio, con Emanuele Ciosta,amico di infanzia, Santino, bellissima villa  a Lipari, la zia Marietta, vivacemente spiritosa, animatissima, ci invitarono al matrimonio di una Trimboli. Anche con questa osrentela ci perdemmo, vidi qualcuna, Annamaria, credo, erano, sono   diffusi, in paesi stranieri, anche.Ignoriamo tutto di chi visse quotidianamente con noi. Ricordare , per convincersi che il passato è esistito. Zia Piera, zia Pierina, anche lei in rapporti tranquillizzati con mia madre. Ebbe per ccniuge un uomo che dava l'esemplarità del padre. Ferrovere, non so se conducente o fuochista, allora i treni ricorrevano al carbone, la fiamma , il viso annerito, questo zio , Francesco(Ciccio, Ciccino) mi svelava l'idea del Padre, laborioso, ben disposto, così lo rammento, l'ideale della famiglia, di quanto dovrebbe  fondare la ragion d'essere della famiglia, e lo è.  dico nel passato, l'uomo che lavorava, la donna in casa e madre  senza ritenersi sacrificata, nè lei, nè il coniuge, avendo a scopo i figli ed il loro amore nell'amore per i figli. Tale mi appariva la famiglia Sobbrio, questi miei zii ebbero due figli, il primo, Giuseppe,  minore dei miei anni , fu  per il tempo suo adolesenziale amico della mia giovinezza,  anche mentamente;il secndogenito, Salvatore(Toruccio), con disposizione al dipingere, cessò di vivere appena stava cominciando a vivere  creativamente. I miei zii, i maschi,zia Pina restavaa Gualtieri e non vi fu motivo né voglia di incontrarla, né lei ebbe voglia e motivo, i miei due zii  restarono nella nostra vita, per sempre o  almeno a lungo .Quando ero bambino consideravo lo zio chiamato Nunzio un gigante. Era stato militare in Grecia,recava uva passita. Grossa e dolcissima, smanioso di fare, di mostrarsi, di vantarsi, di essere erede di nobili e nobile, possidente ,anche se i nove figli eredi avevano squartato la estesa proprietà paterna di uno solo. Quando fui sopra l'infanzia, lo reputavo parolaio, e poiché di mio ero timidissimo, recluso, quel suo vociare, sbracciarsi, vagheggiare conquiste mi davano impressione di smania  non di realzzazione, addirittura lo zio Nunzio mi sembrò  vanesio, gonfio e tronfio, ciarlatanesco, alla sosanza parolaio e venditore di fumo al vento. Sbagliavo. Ignoravo chevchiunque si muove e appare fiducioso di sé, e suscita iniziative ottiene, al di là del ridicolo, seguito, poiché gli uomini chiedono di venire trascinati, “coinvolti”. Il suo vocione, la barba rossicci,la sua capigliatura ,gli occhi animosi, il gesticolare  branchiale, la certezza di mete,soprattutto  il fare incontrsre le persone e dare occsione di  parlare ad un pubblico, ecco il segreto associativo, avere ascoltatori..Ebbene, divenne, incredibilmente avvocato, ebbe studio” presso il Tribunale, suscitò un luogo culturale dove si recavano i signori e le più distinte signore  di Messina ,magistrati,  avvocati , medici , finendo con gli scrittori, e poichè il “mal di scrivere” è pesso che pandemico radunò piazze, e pervenne ad acquistare una sede in collina, ai bordi della Città, veduta sullo Stretto, credo che lo si denominasse Paradiso quel territrio, e la parola significava realmente il luogo, il nome dell'Associoneera “ Amici della Saoienza-Accademia degli Immortali”(!), ed esiste a tutt'oggi, in sede ridotta, ma esiste.DiStribuiva medagiee certificazioni, premiazioni, comprensibile l'affluenza. Non si placava, questo mio zio, tutt'altro, voleva acquistare dai parenti le terre spartite tra gli eredi, e procedeva con veemenza accaparratrice. Ma accadde  qualcosa. L'altro zio, Piero, Pierino era il prediletto di tutti noi, spigliato, divertente, elegante, con aria di attore, baffetti minimi,  voce piena rimbombante di festosità, magro in maniera ossea, niente  carne, soltanto pelle che velava lo scheletro, aveva una capacità di trarre le donne che mi resta memorabile, percepivano qualche richiamo schimmiesco, che soltanto loro fiutavano,  sguardo infossato, sopracciglia raddoppiate, zigomoni ,incavatura alle guance, una specie di teschio nudo con aggiunte pelose,, labbra sottili morbide finalmente umane in un insieme di gorilla  secco o primitivo., vtale, nemicissimo di  chi si lagnava, o non era favrevole alla vita. Aveva ideato una organizzazione  per diffondere la cultura, prestito di volumi,ammassati in quantità , l'impresa non durò che l'inizio.. I fratelli,  ho accennato, si oduavano, non si potevano vedere nel  senso reale, si sarebbero uccisi. Lo zio Nunzio suppongo che sprezzasse l'incapacità pratica dello zio Piero,  a sua volta lo zio Piero credo disprezzasse lo sgomitare, il mettersi in mostra ciarlatanesco dello zio Nunzio, egli, zio Piero, ambiva raffinatezze, ambienti superiori, non l'accozzaglia paesana, la vera cultura, insomma, la buna società, recitava dei versi inventati da lui: “il vento,pare un uomo che ricordi”,. Ma non andò oltre  o non lasciò atro. Vita raminga dal punto anche nel lavoro,possedeva qualche terra ed era amatissimo dalla madre e dalla sorella minore. Trovò impiego a Roma. Ma gli importavano esclusivamente l'amore per la madre e le avventure con le donne. Bisogna risalire ai grandi seduttori per assommare la quantità che questo mio parente raggiunse. A Messina veniva spesso da noi, goiosamente, a Roma, addirittura per qualche anno ci incontravamo ogni sera, al ristorante. Ma lascio il futuro al futuro.

Mia madre era affettuosa con tutti, escudendo Rsina e Pina. Zio Nunzio e zio Piero venivano, separatamente, spesso, da noi. Intanto un altro zio, non  zio, ma lo chiamammo con questa dicitura,, entrava  nella nostra abitazione,il secondo coniuge di mia madre, l'avvocato Natale La Ferla. Era figlio di un generale della finanza, e secondogenito di due fratelli, il primo, architetto, defunto, il terzo, notsio. Colui che divenne mio “zio”manteneva i figli, quattro, del fratello  deceduto, e sposa mia madre con tre figli. Un  impiego rilevante all'Istituto Autonomo Case Polopai(IACP), nell'epoca della distruzine e della ricostruzione i sui imopegni erano sostanziali. Il matrimonio avvenne nel 1947. Natale La Ferla era piuttosto alto, una lieve inclinazione curva delle spalle, occhiali spessi, capelli stesi sul capo, segni di nicotina alle labbra e nelle dita. Da quel momento ci fu una presenza di uomo adulto, per un decennio nostra madre  e noi  avevamo vissuto in una maniera che adesso non poteva continusre. O poteva continuare?Che  dovevamo dare al nuovo coniuge di mia madre, o esisreva soltanto mia(nosrra) madre? Ma accadde ben  altro a cambiare la nostra vita. Nel mese di marzo , il giorno 30, 1948, nasce  una sorella, Anna(Annuccia). E scppia la guerra con mio fratello. Chi deve accompagnare al sonno e ricevere le bave sul collo di quella nuova nata? E, fatto  più stravlgente, io e mio fratello torniamo bambini.

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