"L’Intellettuale Artificiale contro la Melonarchia" di Marcello Veneziani
- Dettagli
- Category: Scritture
- Creato: 07 Novembre 2025
- Scritto da Redazione Culturelite
- Hits: 21

Ho incontrato per caso un intellettuale progressista famoso, di cui non dirò il nome e ho avuto con lui un memorabile dialogo. Memorabile non per la profondità o l’acutezza delle riflessioni ma al contrario per la prevedibilità, la banalità e la conformità esatta delle sue opinioni a quelle del residuo Intellettuale Collettivo, questo pachiderma stanco, accasciato tra la letteratura, il cinema, le arti, il pensiero e la tv. Ometto il suo nome non solo per discrezione e buon gusto (era un colloquio privato) ma anche perché a me sembrava più che una persona un prototipo, un megafono, un prestampato, insomma il portavoce di una setta. Il sullodato Intellettuale ha riassunto come se leggesse un comunicato del Collettivo tutti i luoghi comuni che si sentono ripetere ogni giorno a proposito del governo Meloni e della cultura. Si è partiti dall’anniversario di Pasolini, rimpianto in apparenza e rinnegato in sostanza, poi si è toccato il caso di Beatrice Venezi, bacchettata perché fuori dal coro, per approdare infine alla solita Meloni liberticida e ammazzagiudici che starebbe mortificando la democrazia, il diritto, la cultura e i suoi rappresentanti, cercando d’imporre un’egemonia culturale barbarica. Infine la sentenza finale: come si è ridotta la cultura sotto il regime melonicratico.
Mentre lo ascoltavo mi ricordavo di André Malraux che diceva: “Anche in ogni minoranza intelligente c’è una maggioranza di imbecilli”. E Malraux lo diceva da indigeno di quella minoranza. Non entrerò nel merito degli argomenti dell’Intellettuale Indignato e Avvilito ma mi soffermerò sul quadro che ne traeva e sul rapporto tra il governo in carica e la brutta stagione della cultura.
Pur non avendo nulla a che spartire con questo governo, pur non aspettandomi nulla sul piano culturale dal presente governo e pur distando da molte posizioni assunte dal medesimo, mi sembra onesto esprimere opinioni diverse. Dunque per cominciare, gli scrittori, i pensatori, gli artisti, i cineasti, gli attori sono grandi, mediocri o meschini indipendentemente dai governi in carica e perfino dai regimi. Fior di artisti sono sbocciati in epoche politiche infami, perfino sotto dittatori e tiranni. Cercare un alibi alla mediocrità corrente incolpando l’inclemenza del tempo politico e del governo ladro, come faceva il mio interlocutore, è una pietosa bugia. E a chi dice, come il sullodato esponente, che questo governo “non ha nulla da spartire con la cultura” ho chiesto: ma quale tra i governi precedenti aveva qualcosa da spartire con la cultura e poi ho osservato che tutto sommato è un bene per la cultura medesima non avere nulla a che spartire col potere.
Stabilire poi un nesso tra il governo in carica e la presente aridità culturale è come stabilire un nesso tra il peccato e la malattia. Se il cinema, la satira o la letteratura oggi sono malati, la colpa non è della Meloni e di chi l’ha votata. La tesi del nesso tra peccato e malattia segna una regressione teologica; ricordo anni fa una polemica dei progressisti contro il cardinale Paul Josef Cordes che sosteneva un rapporto di causalità tra il peccare e l’ammalarsi. Il peccato di avere la Meloni al governo genera la malattia della cultura presente (che sta messa male oggi come tre anni fa, quando la Meloni non era ancora arrivata al governo). Non c’è un nesso logico, ma è solo un atto di fede o peggio di superstizione credere a una contaminazione magica, ambientale.
Se la Melonarchia, ovvero la presenza della Meloni al governo dovesse risultare sulla sensibile epidermide dell’artista o dell’intellettuale come uno scudiscio o un contatto urticante dovremmo esserle grati per aver suscitato qualche reazione vitale e qualche risveglio in un corpo morto, fossilizzato, privo di reazioni e di sensibilità da diverso tempo. La sindrome del complotto e la mania di persecuzione producono di solito pessimi comportamenti nella vita ma almeno possono suscitare grandi opere artistiche. La paranoia è creativa quando investe i talenti. La perdita del senso della realtà nelle menti ipersensibili può generare magnifiche narrazioni. Chi immagina di vivere nel regno del Male gode delle condizioni favorevoli per generare capolavori. E invece…
La marcia di questi battaglioni del Genio Civile e Intellettuale dovrebbe far nascere nei migliori tra i liberi pensatori e artisti la voglia matta di uscire dalle gabbie e dai gruppi; il sottile piacere di disertare, anzi di marinare la scuola dell’obbligo ideologico e godersi l’effetto che fa. Di incrociare percorsi diversi, di coltivare eresie e amicizie pericolose. Ma non sentite un formicolìo di libertà, un’ansia di libertà dopo aver vissuto in queste fabbriche uniformi del collettivo? Non sentite la voglia di spazi liberi, gioiosamente soli, dopo questi pianti corali? E’ una sana reazione, coltivatela. Gli intellettuali non sono una razza o una setta. Sono o dovrebbero essere – come diceva Flaiano degli italiani – “uno diverso dall’altro. Non è una razza, è una collezione”. E invece…
La convinzione che la suburra plebea sia meloniana, che il volgo viva volgarmente, che sia una turba di telebestioni che segue telemeloni, dovrebbe spingere i migliori tra gli intellettuali a salire sdegnosi nella torre d’avorio e produrre opere al di là del nostro tempo infame. Se questo tempo, queste masse, questa fetente umanità non meritano i vostri delicati pensieri, le vostre raffinate opere, i vostri testi incompresi, perché non voltate le spalle al mercato, alla tv e alle cattedre e vi chiudete a produrre le opere destinate ai posteri nei monasteri della vostra Ascesi? Perché invece, siete ancora presenzialisti, non volete uscire dal mainstream, volete apparire, vi date al narcisismo intellettuale? Se vi fa schifo confondervi col popolo di bestie meloniane e con le loro rozze georgiche perché ostinarvi a cercare fama, pubblico e consenso? Altro che radical chic, sappiate essere aristocratici fino in fondo.
Il travaglio di vivere sotto un governo truce, rozzo e barbaro dovrebbe suscitare un miracolo a lungo atteso: la voglia di liberare l’intelligenza dal partito preso, dalla cultura dalla militanza e del circolino, dovrebbe sprigionare la creatività dall’organizzazione e magari suscitare la voglia di non rinchiudersi nello status di intellettuale. Perché intellettuale non vuol dir niente, non è un mestiere, non è uno stato civile e non è una virtù né una malattia: ognuno si chiami per quel che fa davvero – scrittore, comico, giornalista, professore, regista, acrobata, arrampicatore. L’intellettuale è una camicia di forza per l’intelligenza, la rende poco duttile, prevedibile e coatta. L’Intellettuale è il primo caso di intelligenza artificiale; al pensiero autonomo preferisce la risposta automatica.
Ognuno sia giudicato per quel che crea e produce e non per quel che lamenta e depreca o per la sua appartenenza a un ceto, o peggio a una setta. Indignarsi può essere un buon esercizio digestivo, una dieta preliminare ma non è prova della propria superiorità. Poi ci vogliono i frutti. Morale della favola, in stile Karl Kraus: la Meloni è un’ottimista se crede davvero di poter peggiorare la cultura italiana.
La Verità – 5 novembre 2025




