“LA BOTTEGA DELL’ANTIQUARIO” DI CHARLES DICKENS – LETTURA E COMMENTO DI GIOVANNI TERESI

 

La bottega dell'antiquario - Charles Dickens - copertina

La bottega dell’antiquario, titolo originale (The Old Curiosity Shop), è il quarto romanzo scritto e pubblicato da Charles Dickens, uscito per la prima volta a puntate su rivista tra il 1840-41 e subito dopo in volume. La storia tratta della giovane Nell, che vive sola col nonno materno – il cui nome non viene mai rivelato – in una vecchia casa di Londra chiamata The Old Curiosity Shop perché al piano terra ha un negozio pieno d’oggetti d’antiquariato. A seguito di tutta una serie di debiti contratti al gioco, il vecchio è costretto nottetempo a fuggire accompagnato dalla piccola orfana Nell.

A Londra, nell’impolverata e stracolma bottega dell’antiquario, dove ninnoli si ammucchiano ovunque e oggetti e libri di sparpagliano in giro, dove il tempo è sospeso e immobile, il vecchio e folle Trent vive assieme a Nell la sua devota e candida nipotina. Il vecchio è sommerso dai debiti e tiranneggiato da un nano, Quilp, malvagio strozzino che non lascia loro scampo. Nonno e nipote, perché Trent sfugga al vizio del gioco che lo sta logorando –  la cui logica conseguenza è la loro miseria ed i pesanti incalzi di Quilp – decidono di organizzare una fuga rocambolesca fuori città. Abbandonata la bottega al suo destino, i due si trovano a girovagare quasi senza meta per le città della provincia londinese alla ricerca di una nuova verginità, imbattendosi in una miriade di personaggi di tutte le fogge e di tutte le razze, gente che vive per strada e che alla strada appartiene.

La bottega dell’antiquario ci ammalia per il suo essere ricettacolo di antichi oggetti affastellati in un vecchio negozio della Londra del XIX secolo.
Questo bugigattolo scuro, colmo di ninnoli e chincaglierie varie, acquista ancor di più fascino romanzesco nel momento in cui veniamo a conoscere i due protagonisti che la abitano da sempre: il vecchio Trent, schiacciato dal fardello dei debiti, e la sua eterea e spirituale nipotina Nell, entrambi perseguitati dalla malvagità di un nano strozzino di nome Quilp, il cui scopo meschino sarà quello di rovinare le vite di questi due innocenti.

Questa è la trama di fondo – a tratti gotica e decisamente romanzesca – di un racconto che a poco a poco si fa avventura rocambolesca grazie alla fuga di nonno e nipotina al di fuori della grande città, nel vano tentativo di liberarsi dalle catene dello strozzino Quilp, nonché dalla schiavitù e dalle dipendenze di un vizio (quello del gioco) che, giorno dopo giorno, finirà col logorare la debole mente e il fisico già debilitato del vecchio Trent, nonché causa diretta della loro caduta in disgrazia.
E se i due saranno costretti ad abbandonare la vecchia bottega per vagabondare tra i luoghi della provincia inglese allo scopo di ritrovare un’innocenza perduta, i tanti personaggi incontrati dai due fuggiaschi lungo l’incessante peregrinare, finiranno col divenire simbolo vivente di una bottega di antiche curiosità trasformata in carne ed ossa, tra saltimbanchi, burattinai, allestitori di mostre di statue di cera, poeti di strada ecc.

Un universo poliedrico e caleidoscopico di saltimbanchi, poeti e burattinai che finirà per personificare quella bottega collettanea di stranezze polverosa e statica di cui si sono chiusi la porta alle spalle in una bottega collettanea di stranezze.
Gli antichi oggetti della bottega sembrano così incarnarsi nelle stranezze e nelle stramberie della variegata realtà umana messa in scena dallo scrittore allo scopo di darci un assaggio di quell’umanità che Dickens si diverte tanto a mettere scena per osservarla con occhio ironico e arguto.

Sicuramente i personaggi capaci di suscitare più viva simpatia sono quelli meno moralmente definiti, come Riccardo Swiveller, giovane fannullone dedito ai piaceri della vita nonché perennemente squattrinato, in grado, però, nei momenti più inaspettati, di mostrare il suo gran cuore, oscillando così, nella sua imperfezione, tra i poli opposti di bontà e cattiveria.
A personaggi di questo tipo si contrappongono quelli più spiccatamente simbolici, come Quilp il nano, totalmente immerso in una malvagità senza riscatto, priva di luce o dubbi morali di alcun tipo. E come non ricordare la piccola Nell, chiaro simbolo di un bene incorrotto e di una purezza d’animo che ci fa comprendere come questa fanciulla non sia semplicemente il ritratto realistico di una bambina ordinaria.
Il destino a cui va incontro la piccola Nell è appunto l’unico espediente letterario possibile per preservare e mantenerne intatta la valenza simbolica, preservandola dalla caducità e corruzione del mondo. C’è poi da ricordare anche Kit, il fedele amico di Nell, anch’esso personaggio connotato per la sua onestà e fedeltà al vecchio Trent e alla sua nipotina. La sua bontà, però, appare più storicizzata e umana di quella di Nell.

Ad aprirci uno squarcio di riflessione sulla tragica e nascente realtà industriale è l’intensa e affascinante figura dell’uomo del fuoco, cresciuto tra i clangori di una fabbrica industriale, ignaro che possa esservi un’esistenza concepibile al di fuori dell’alienazione industriale, in quanto divenuto oramai tragicamente un tutt’uno con essa.

Significativa è l’immagine finale del libro, quando – passati oramai tanti anni – Kit adulto ripensa alla vecchia bottega dell’antiquario, oramai abbattuta per far posto a nuove strade più ampie e moderne nel cuore di Londra. E nel riandare con i ricordi a quel luogo curioso e misterioso di un tempo, si ha quasi l’impressione che questa stessa non fosse realmente esistita, quasi avesse assunto, nel passare degli anni, la consistenza tipica dei sogni e del mito, impossibile anche solo da ricollocare – grazie alla sforzo della memoria- nello spazio e nel tempo che un tempo l’accolse.

La bottega dell’antiquario è un esercizio esaltante ed allo stesso tempo complicato di concentrazione e di attenzione. I personaggi secondari sono tali solo a parole, perché quando sbucano si prendono la scena, la occupano, la monopolizzano con le loro storie e con le loro vite. Trent e Nell a volte finiscono relegati sullo sfondo, ma ci forniscono allo stesso tempo quella lente di ingrandimento che ci permette di vedere tutta questa processione di soggetti fantastici.

C’è tanta e tale varietà umana dentro questo romanzo da rimanerne tramortiti: siamo davanti ad un romanzo lungo, impegnativo, col quale si deve ingaggiare una vera e propria lotta non tanto sul piano della comprensione, quanto su quello della struttura. Una carpenteria complessa all’interno della quale muoversi con slancio acrobatico: esattamente quello che fanno nonno e nipote, alla ricerca di se stessi e di una forma di riabilitazione che li mondi da una sorta di peccato originale. Tanto ci insegna, la bottega: il coraggio delle decisioni cruciali, la forza dei legami profondi, l’esercizio torbido della cattiveria e della malignità che si annida nelle pieghe più recondite dell’animo umano, la bellezza policroma del mondo.

Giovanni Teresi

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