La contrapposizione fra la donna moderna e la donna tradizionale nelle novelle “Donna Mimma” e “La balia” di Luigi Pirandello - Lettura ed analisi di Giovanni Teresi

Donna Mimma è una novella di Luigi Pirandello pubblicata nel 1917 e dà il titolo alla nona raccolta pubblicata nel 1925 delle Novelle per un anno.

 

Donna Mimma è molto conosciuta nel suo piccolo paese siciliano; di natura possente, sicura di sé, austera, da tanti anni aiuta le altre donne a partorire. Un giorno però arriva dal nord una levatrice diplomata, giovane e avvenente. Donna Mimma di colpo viene spiazzata, ignorata, quasi dimenticata dalle compaesane. La nuova arrivata, scoperto che Donna Mimma non è diplomata, ne ottiene l'interdizione dall'esercizio della professione da parte delle autorità. L'anziana donna, dopo un iniziale momento di scoramento, incoraggiata dai concittadini si reca allora a Palermo per iscriversi all'università. Data la sua età, qui viene derisa dalle altre studentesse e perfino dal professore, ma riesce a superare le tante difficoltà e, conseguito il titolo di studio, torna subito dopo al paese pronta a riprendere il suo vecchio lavoro. Tuttavia Donna Mimma non mette in conto la lunga inattività e l'età ormai avanzata: alla prima chiamata rischia infatti di causare una tragedia, sventata solo dal pronto intervento della levatrice settentrionale. Così termina l'autorevolezza di cui godeva Donna Mimma.

 

 

Nella novella Donna Mimma emerge chiaramente la contrapposizione fra donna moderna e donna tradizionale. La protagonista, Donna Mimma, è una donna appartenente al mondo della tradizione. Viene descritta come una donna sicura di sé e gode di un‟ottima fama all’interno del suo paese dove aiuta le donne a partorire. I bambini la adorano perché ai loro occhi appare come un personaggio delle fiabe. Quando Donna Mimma, col fazzoletto di sete celeste annodato largo sotto il mento passa per le vie del paesello assolate, si può credere benissimo che la sua persona linda, ancora dritta e vivace, sebbene modestamente raccolta nel lungo “manto” nero frangiato, non proietti ombra su l’acciottolato di queste viuzze qua, né sul lastricato della piazza grande di là.

Si può credere benissimo, perché agli occhi di tutti i bimbi e anche dei grandi, che vedendola passare, si sentono pur essi diventare bimbi a un tratto, donna Mimma reca un’aria con sé, per cui subito, sopra e attorno a lei, tutto diventa come finto: di carta il cielo; il sole, una spera di porporina, come la stella del presepio. Tutto il paesello […] diventa subito tutt’intorno come un grosso giocattolo di Befana, di quelli che a pezzo a pezzo si cavano dalla scatolona ovale che odora di colla deliziosamente.

 La sua felicità viene però turbata dall’arrivo di una nuova levatrice, una ragazza giovane e fresca, di vent’anni, neolaureata, di nome Elvira Mosti.

 Il contrasto con il ritratto appena proposto di Donna Mimma è schiacciante:

“Ora è venuta dal continente una smorfiosetta di vent’anni, Piemontesa, gonna corta, gialla, giacchetto verde; come un maschiotto, le mani in tasca: sorella ancora nubile d’un impiegato di dogana. Diplomata dalla R. Università di Torino”.

 Il sindaco del paese le comunica che non può più esercitare la sua professione, perché non è in possesso del diploma, che invece Elvira Mosti detiene. Proprio la nuova arrivata infatti ha fatto reclamo alla Prefettura per segnalare l’ingiustizia che una donna svolgesse la mansione di levatrice senza un titolo di studio adeguato. Donna Mimma è però decisa a non arrendersi.

Non vuole infatti gettare via trentacinque anni di duro lavoro e di sacrificio. Decide di recarsi a Palermo per ottenere questa diploma, ma non vuole ammettere che più che per sé stessa, lo fa per uno spirito di rivalsa verso la nuova arrivata. Qui incontra tutte ragazze dall’aspetto simile a quello di Elvira, sfrontate, con gonne corte, che la prendono in giro per il suo modo di vestire tradizionale: Alla scuola, quarantadue diavole, tutte con l’aria sfrontata di giovanotti in gonnella, su per giù, come quella ragazzaccia piombata dal Continente nel suo paesello, le si fanno addosso, il primo giorno ch’ella comparisce tra loro col fazzoletto di seta celeste e il lungo scialle nero, frangiato e a pizzo, stretto modestamente intorno alla persona. Uh, ecco la nonna! Ecco la vecchia mammana delle favole, piovuta dalla luna. (L. Pirandello, Donna Mimma, in Novelle per un anno, vol. II, cit., p. 11. 109 Ibidem, p. 14.)

 

 Il contatto con un mondo completamente diverso dal suo, è per Donna Mimma devastante. Abituata alla mentalità tradizionalista del suo paese, dove la pratica è sempre stata sufficiente per potere esercitare il suo mestiere, viene di colpo catapultata nella nuova moderna concezione dell’università, per la quale le nozioni e lo studio sono basilari. Il primo duro scontro avviene con il professor Torresi, docente di Ostetricia teorica, che interroga la donna, fra la derisione delle altre studentesse presenti e pretende la sua conoscenza di termini scientifici, dei quali lei però si dimostra completamente ignorante. Il passo seguente illustra in maniera chiara la differenza tra i due modi di concepire lo studio:

Le domanda come farà, venuta così tardi a raccapezzarsi nelle sue lezioni. Egli ha già parlato a lungo del fenomeno della gestazione, dall’inizio del parto; ha già parlato a lungo della legge della correlazione organica. […] Che ne capirà lei? Va bene la pratica. Ecco attente […] conoscenza implicita, la pratica. E può bastare? No, che non può bastare. La conoscenza, perché basti, bisogna che da implicita divenga esplicita, cioè venga fuori, venga fuori, così che si possa a parte a parte vedere chiara e in ogni parte distinguere, definire […] Senza il nome non si ha concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non definita, non distinta.

 Emerge chiaramente la critica di Pirandello nei confronti della scienza, che con i suoi concetti e nomi cristallizza in una forma definita la realtà circostante, impedendo il divenire naturale della vita: “Il professore ha dato a Donna Mimma gli occhiali della scienza, ma le ha fatto perdere irrimediabilmente, la vista naturale”.

Donna Mimma si rende conto di non sapere nulla di tutte quelle nozioni e di quei termini che il professore le continua a richiedere. Tuttavia, sebbene si renda conto dell’assurdità di dovere imparare tutti quei nomi difficili e per lei impronunciabili, decide di non demordere e per non darla vinta alla sua avversaria si impegna moltissimo fino a raggiungere il tanto ambito diploma.

 Quando torna al suo paese però ogni cosa è cambiata. La giovane levatrice si è guadagnata nel frattempo tutta la stima delle mamme e dei bambini, abbandonando il suo abbigliamento abituale e le arie da bella ragazza per indossare anche lei un fazzoletto in testa e uno scialle come la rivale, mentre Donna Mimma invece è oggetto di scherno da parte di tutto il paese:

 Invece, donna Mimma … che? col cappello? ma sì, correte, correte a vederla! è arrivata or ora da Palermo, col cappello, con un cappellone grosso così, Madonna santa, che pare una bertuccia, di quelle che ballano sugli organetti della fiera! Tutta la gente è scasata per vederla; tutti i ragazzi di strada l‟hanno accompagnata a casa battendo i cocci, come dietro alla nonna di carnevale.

È soprattutto Donna Mimma infatti a non essere più la stessa. Gli anni di studio l’hanno invecchiata e imbruttita soprattutto nell’animo e ormai non è più serena per poter esercitare la sua professione. Quando le è concessa la possibilità di riscattarsi con la nascita di un nuovo bambino, è piena di desiderio di rivalsa perché vuole dimostrare a tutti i costi ora di sapere i precetti che gli sono stati insegnati. Fallisce miseramente e la famiglia del nascituro è costretta di nuovo a fare ricorso ad Elvira e al medico per evitare la morte del bimbo. Donna Mimma quindi alla fine si ritrova sola, frustrata e abbandonata da tutti, nonostante i suoi sforzi per dimostrarsi degna della rivale: Invelenita contro tutto il paese, col cappellaccio in capo, ogni giorno ella scende in piazza, ora, a fare una scenata davanti la farmacia, dando dell’asino al dottore e della sgualdrinella a quella ladra Piemontesa, che è venuta a rubarle il pane. C’è chi dice che si sia data al vino, perché, dopo queste scenate, ritornando a casa, donna Mimma piange, piange inconsolabilmente; e questo come si sa, è un certo effetto che il vino suol fare.

 

 

Anche nella novella La balia si può osservare la presenza di due donne appartenenti a mondi diversi. Annicchia, la balia, è la classica donna tradizionale, fertile e in salute, mente Ersilia, la padrona della casa dove la protagonista è stata mandata per svolgere la sua professione e allattare il figlio, è il personaggio femminile che rispecchia il mondo borghese moderno.

È viziata e capricciosa ma sebbene sia invalida rivendica fermamente il diritto di indipendenza dall’uomo, e non è disposta per nulla al mondo a sottomettersi alla sua autorità.

Ecco la sua obiezione alla constatazione di Annicchia riguardante il fatto che le donne sono nate per patire: -Un corno! - protestò Ersilia. - Che stupide, le donne … Tutte così! Ci provate gusto, è vero? a ripetere che noi donne siamo fatte per patire. E a furia di ripeterlo, eccoli qua, i signori uomini, credono davvero adesso, che noialtre dobbiamo stare al loro servizio, per il loro comodo e per il loro piacere. Noi le schiave, è vero? e loro i padroni. Un corno!

 La risposta di Annicchia rivela subito l’indole più docile e sottomessa della ragazza: “- Anche loro poveretti, hanno tanti guai …116”. Ersilia esercita tranquillamente la sua autorità nell‟ambito famigliare. Sarà lei infatti che farà licenziare e allontanare la ragazza, non nascondendo un sentimento di invidia profonda per quella. donna che era riuscita a conquistare la simpatia del marito e si era affezionata al figlioletto proprio come fosse suo.

Anche nel personaggio di Annicchia comunque si può cogliere una donna che si sta facendo strada per guadagnare la sua indipendenza. Decide di partire per Roma nonostante la suocera sia contraria e il marito si trovi in galera, dopo essere stato cacciato dal posto di lavoro a causa delle sue idee rivoluzionarie. Ma questa autonomia passa inosservata agli occhi degli altri, che la considerano solo una ragazzina e la valutano esclusivamente per la sua bellezza esteriore.

Uno di questi è il signor Felicissimo Ramicelli , che desidera approfittarsi dell’ingenuità della ragazza: Che vittoria! che vittoria! Per poco non si fregava le mani, lì, sotto gli occhi dell’avvocato, il signor Ramicelli. La bella balietta siciliana, scacciata or ora dalla padrona, quella sera stessa sarebbe venuta a dormire in casa sua. Eh, ma già, le balie - lui lo sapeva bene- tutte ragazze andate a male, roba da … da guerra, là! Questa qui faceva ancora l‟ingenua: mostrava di credere d‟aver compreso che lui la volesse soltanto per serva. Eh sì, per serva … perché no?

La donna nell’universo pirandelliano è impossibilitata ad emanciparsi e a vedere riconosciuta la propria autonomia. Quasi sempre soggetta all’autorità e alla gelosia dell’uomo, non riesce a esprimere a pieno la sua personalità all’interno del matrimonio.

Molti personaggi femminili sono costretti a sposarsi pur non amando il loro marito, schiavi di una tradizione che vede nel matrimonio l’unica possibilità per la donna di essere felice. Spesso la donna è vista dall’uomo come ostacolo all’intimità del rapporto di coppia. Come è emerso in precedenza, infatti, il personaggio femminile ha paura di esprimere fino in fondo la sua sessualità poiché deve sempre essere portatrice dei valori di castità e purezza. Anche quando inizia debolmente ad affermare la propria indipendenza, deve fare i conti con il mondo maschile che il più delle volte la riduce a semplice oggetto sessuale.

 

 

 

 

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