La destra e la cultura" di Ferdinando Bergamaschi
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- Category: Scritture
- Creato: 29 Maggio 2025
- Scritto da Redazione Culturelite
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Spesso a destra si fa un gran parlare, con l’atteggiamento un po’ vittimistico di chi è in credito con il mondo ufficiale della cultura, del fatto che l’egemonia culturale della sinistra dal dopoguerra in poi abbia schiacciato la destra stessa in un angolo. Tutto ciò si presta ad alcune considerazioni. Intanto, il fatto che la vecchia sinistra abbia creato dal dopoguerra una egemonia culturale che spesso fungeva da cappa e creava un clima piuttosto pesante in ambito di cultura (e per conseguenza in ambito politico-ideologico) è in parte (ma solo in parte) vero, ma è vero anche che questo è un merito da parte della sinistra; merito il cui contenuto peraltro si è estinto da alcuni anni perché Gramsci è stato tragicamente sostituito (dalla caduta del Muro di Berlino ma più precisamente da una quindicina d’anni) dall’ideologia woke o comunque liberal-progressista. Che poi il mostruoso tentativo delle centrali della finanza globalista (dem e neo-con, insieme) di connettere gramscismo, wokismo e ipercapitalismo finanziario si sia (fortunatamente per Gramsci e per tutte le persone sane di mente e di cuore, gramsciane o non gramsciane) grottescamente frantumato contro il nuovo Mondo Multipolare (di cui, politicamente, Xi Jinping, Donald Trump, Vladimir Putin e Narendra Modi sono le colonne portanti) questa è un’altra storia ancora. Soros e Rotschild (e i loro principali burattini: Clinton, Bush, Obama, Biden), grazie a Dio, hanno perso.
Tanto più, quello della (parziale) egemonia culturale della sinistra, è (era stato) un merito della vecchia sinistra per il fatto che il gramscismo è stato portato avanti non solo dal mondo ufficiale della cultura ma anche e soprattutto da una vera e propria operazione politica che Togliatti sapientemente – e peraltro in modo (a modo suo) patriottico e nazional-popolare – riuscì a compiere (Togliatti aveva studiato molto bene il fascismo, di cui lo aveva affascinato soprattutto il sindacalismo nazionale).
Ma al di là di questo aspetto, vi è da dire che la destra, piuttosto che lamentarsi, dovrebbe affermare la sua cultura. Se non è in grado di farlo in modo organico come fece Togliatti, quantomeno dovrebbe affermare e veicolare le importantissime e numerosissime figure della sua cultura che poi sono anche tra le figure più importanti (anche se certamente non le uniche) della cultura del Novecento in generale. Naturalmente qui si sta parlando della Destra patriottica e sociale, che quindi in qualche modo, in Italia e in Europa, o è erede del fascismo o lo ha in qualche modo costeggiato. E’ vero che il fascismo di Mussolini accolse in sé correnti sia della Destra (quella aristocratica, quella nazionalista, quella cattolico-tradizionalista), sia della Sinistra (quella sindacalista rivoluzionaria, quella mazziniana-garibaldina, quella giacobino-democratico-radicale, quella socialista e socialdemocratica), ma per comodità useremo il termine ufficiale adottato dalla storiografia e cioè “Destra”, per semplificare lo sviluppo dei concetti.
Qui, ovviamente, si faranno solo dei brevi cenni. Intanto è molto curioso e interessante notare che, a fronte della minimizzazione degli uomini più importanti della cultura di Destra da parte della cultura ufficiale di Sinistra, su una figura si è da sempre sorprendentemente evitata questa operazione (forse perché era impossibile farlo). Si tratta di colui che è riconosciuto da quasi tutti, anche dal mondo accademico ufficiale della Sinistra, come il più grande e importante filosofo mondiale del Novecento e cioè Martin Heidegger. Il filosofo esistenzialista tedesco, come è noto, era nazista e per tutta la vita (anche dopo la fine della seconda guerra mondiale) non ritrattò mai la sua adesione al nazionalsocialismo (Heidegger peraltro prese anche, per sua libera convinzione politica, la tessera del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori poco dopo che Hitler vinse le elezioni). E’ vero che l’autore di Essere e Tempo è certamente più appannaggio del mondo accademico che di una cultura che può essere divulgata, dato il suo pensiero così alto, profondo, elitario, ma è anche vero che la sua più celebre allieva, la filosofa ebrea Hanna Arendt, viene citata e veicolata molto spesso persino nel circuito del mainstream mediatico. Dunque se ne può dedurre che anche divulgare Heidegger (benchè egli sia in odore di antisemitismo) e farlo uscire dai circoli accademici (per quanto egli ci stia, giustamente, ai più alti livelli) possa essere difficile ma non impossibile. Peraltro alla stessa corrente culturale della Konservative Revolution, una delle correnti culturali più importanti del Novecento, fecero parte altri giganti della cultura tra cui Ernst Junger, Carl Schmitt, Oswald Spengler, tutti aderenti o vicini al nazionalsocialismo.
Un discorso simile lo si può fare anche per colui che, insieme a Benedetto Croce, è stato riconosciuto (qui le resistenze del mondo accademico della sinistra sono più forti rispetto a quelle per Heidegger ma alla fine il riconoscimento è stato inevitabile) come il più importante filosofo italiano del Novecento e cioè Giovanni Gentile. L’autore della Teoria generale dello spirito come atto puro fu uomo di formazione e di militanza liberale, poi approdò al fascismo, fu letto e stimato da Lenin (il libro di Gentile La Filosofia di Marx è “una delle migliori opere su Marx che siano state scritte da una penna non marxista” dirà lo stesso Lenin il quale faceva notare come anche i più importanti hegeliani di sinistra non abbiano colto alcuni aspetti del pensiero di Marx, colti invece da Gentile); fu poi ministro dell’Istruzione Pubblica nel primo governo Mussolini, poi direttore dell’Enciclopedia Italiana dell’Istituto Treccani, direttore della Normale di Pisa, fondatore e presidente dell’Ismeo (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente), fondatore dell’Istituto mazziniano e direttore della Nuova Antologia (tutte attività nelle quali Gentile coinvolse molti intellettuali antifascisti, professori marxisti e anche intellettuali ebrei); infine aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu ucciso nell’aprile del 1944 da partigiani comunisti gappisti nonostante qualche mese prima fu proprio Gentile che nel suo famoso “Discorso agli italiani”, fra l’altro, invitava alla pacificazione nazionale e nel quale discorso peraltro pronunciò la celebre frase: “Chi parla oggi di comunismo in Italia è un corporativista impaziente delle more necessarie dello sviluppo di un’idea che è la correzione tempestiva dell’utopia comunista e l’affermazione più logica e perciò più vera di quello che si può attendere dal comunismo”; nel suo ultimo libro, Genesi e struttura della società, il filosofo siciliano teorizzò l’ “Umanesimo del Lavoro” che avrebbe avuto come approdo pratico la socializzazione fascista. Anche nel caso di Gentile la sua divulgazione non è facile poiché il suo pensiero è piuttosto complesso e alto.
Ma uscendo dalla filosofia e andando nel campo della letteratura, della poesia, delle scienze politiche, della storia delle religioni, della narrativa e dell’arte – quindi abbracciando campi più divulgativi – le personalità gigantesche della cultura della Destra sono tantissime e qui faremo solo alcuni nomi. A parte i più conosciuti che effettivamente sono da sempre stati anche nel circuito della cultura nazionalpopolare e sono universalmente riconosciuti come pilastri della cultura e dell’arte italiana, europea e mondiale e cioè Pirandello, Ungaretti, D’Annunzio, i futuristi; a parte l’immenso J.R.R. Tolkien che ha conquistato il mondo con le sue saghe che definire di fantascienza è altamente riduttivo; a parte Giovannino Guareschi che il mondo lo ha conquistato con la saga meravigliosa e universale di Don Camillo e Peppone; a parte tutti costoro la destra culturale e politica odierna dovrebbe incalzare la scena proponendo e incentivando figure fondamentali del pensiero del Novecento come Ernst Junger, l’autore dei fatidici e folgoranti Der Arbeiter (L’Operaio) e Tempeste d’acciaio e che poi nel suo ultimo periodo proporrà la via del “passaggio al bosco” - formulata nel Trattato del Ribelle - che ha così tanto affascinato il mondo post-fascista; Louis Ferdinand Cèline, che con il suo potentissimo “Viaggio al termine della notte” e altri notevoli romanzi ha incantato milioni di lettori in tutto il mondo; Mircea Eliade, il ricercatore e filosofo rumeno che è stato, nel Novecento, il più importante storico delle religioni, studioso ai più alti livelli dei miti dell’antichità, del simbolismo sacro, del cristianesimo, dell’induismo, del buddhismo, dell’ebraismo, dello yoga, dello sciamanesimo, della cosmologia, delle religioni del sud America e delle Oceanie, instancabile viaggiatore e poliglotta oltre che nazionalista rumeno e simpatizzante del movimento nazionalista di Codreanu, del fascismo di Mussolini e del nazionalismo portoghese di Salazar; Vilfredo Pareto, l’economista che diede un impulso estremamente innovativo alla sociologia e alle scienze economiche in particolare con la sua teoria delle élite; Carl Schmitt, considerato universalmente, sia da Destra che da Sinistra, uno dei massimi politologi e giuristi moderni (e di cui vogliamo segnalare il libro notevolissimo che il professor Massimo Cacciari gli ha dedicato, Il potere che frena, nel quale il filosofo veneziano sottolinea l’importanza del pensiero del politologo tedesco in particolare per il fatto di aver acutamente inaugurato per primo, in epoca contemporanea, la relazione tra teologia e politica soffermandosi in particolare sul fondamentale concetto di “katechon”); Robert Brasillach, poeta, giornalista e critico cinematografico nonché scrittore anticonformista che sognava quello che egli chiamò il “fascismo immenso e rosso”, cioè la confluenza, in un futuro radioso, di fascismo e comunismo; Yukio Mishima, l’ “ultimo samurai” che, già prima di darsi la morte col seppuku, si era imposto come uno dei più potenti e importanti saggisti, romanzieri e drammaturgi del Novecento, non solo del Giappone ma di tutto il mondo, e cultore - da omosessuale quale era - della virilità olimpica e del Giappone trtadizionale, e di cui il filosofo Marcello Veneziani ha potuto scrivere “era il nostro Che Guevara, e sposava in capitulo mortis la letteratura e l’assoluto, l’esteta e l’eroe, il superuomo e la tradizione. C’era in lui la stessa voluttà del morire di D’Annunzio, lo stesso culto della “bella morte” degli arditi e dei fascisti di Salò”; Ezra Pound, il poeta-economista americano che meglio di tutti ci ha raccontato gli orrori, la disumanità e il satanismo dell’usura da parte di una certa setta della finanza bancaria (al potere in occidente fino a pochi mesi fa, peraltro); Pierre Drieu La Rochelle, geniale saggista e poeta francese del cui pensiero Paul Serant ci ha riconsegnato come in una sintesi il suo “romanticismo fascista” che fondeva insieme aristocraticità, socialismo, ecologismo, nazionalismo, europeismo; Oswald Spengler, il filosofo tedesco di Sassonia che con il suo Tramonto dell’Occidente ha letteralmente segnato un’epoca della cultura moderna e aperto la via a filoni di pensiero di Destra e di Sinistra; Giuseppe Tucci, uno dei più importanti esploratori ed orientalisti al mondo di tutti i tempi e autore di centinaia di pubblicazioni al più alto livello su buddhismo, storia delle religioni, archeologia, tibetologia, oltre che protagonista di innumerevoli spedizioni in India, Tibet, Afghanistan, Iran, Pakistan, Nepal, territori himalayani, rendendo Asia ed Europa vicinissime ed amiche come dovrebbero essere, e non nemiche come avrebbero voluto i malvagi ex governanti occidentali fino a pochi mesi fa; Ugo Spirito, il filosofo allievo di Gentile di cui ha impugnato la corrente di sinistra facendosi principale sostenitore, nel fascismo, del “corporativismo integrale” ed essendo criticato da alcuni ambienti fascisti in quanto considerato da essi come un filo-comunista (ma d’altra parte essendo sempre protetto dal Duce che si prodigò in sua difesa anche con articoli su “Il popolo d’Italia”) e che nel dopoguerra, senza mai rinnegare il “suo” fascismo, si farà promotore di una lettura positiva del marxismo; Berto Ricci, lui sì, a differenza degli altri sopracitati, davvero poco conosciuto e considerato ma che invece ha proposto un pensiero forse di nicchia per l’epoca ma assolutamente moderno e universalista, pensiero che solitamente si designa con il nome di “sinistra fascista”.
Oltre ad essere stati fascisti, nazionalsocialisti, o vicini a questi due movimenti, quasi tutti costoro, è vero, sono in forte odore di antisemitismo (ma sarebbe meglio dire antigiudaismo o antisionismo, o al limite antiebraismo, poiché nessuno di loro era nemico del mondo arabo, anzi: usiamo qui la parola “antisemitismo” per il significato che gli è stato attribuito dal mainstream cioè unicamente come sinonimo di anti-ebraismo, appunto), ma in fondo questo non sminuisce affatto il loro valore poiché il bersaglio della loro veemente critica non era certo una razza o una etnia in quanto tale ma un principio (di cui peraltro solo una parte di quella etnia è portatore). Quel principio impugnato dai “progenitori” dei Soros, dei Rotschild e dalla lobby della finanza sionista globalista (sia dem che neocon) di New York e Londra; quella lobby che da un’ottantina d’anni e in modo ancor più virulento dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’Unione Sovietica fino a pochi mesi fa aveva in pugno il cosiddetto “mondo occidentale”. Chissà che la già avvenuta caduta definitiva di quel gruppo di potere possa ridonare ai grandi uomini del pensiero di cui si è parlato in questo articolo una nuova vita, togliendo dalla loro testa quella cappa pesante e immeritata, e circondandoli di aria nuova, fresca e pulita, come essi meritano. Speriamo.