LA DIMENSIONE MORALE DELL’INSEGNAMENTO NELLA VITA SCOLASTICA MEDIEVALE – RICERCA LETTERARIA DI GIOVANNI TERESI

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                                                                           Filosofia medievale 

 

 Il nesso tra insegnamento e formazione morale e religiosa è ormai un dato acquisito negli studi sulla vita scolastica medievale, non soltanto perché gli enti monastici e le istituzioni religiose ebbero un ruolo fondamentale nella creazione di scuole (rivolte a ecclesiastici e secolari), ma anche perché l’istruzione nella pedagogia medievale è ricondotta alla crescita morale dell’individuo e all’acquisizione dei principi cristiani. Questo connubio tra sapere ed etica permea ogni aspetto dell’insegnamento, determinando innanzitutto l’atteggiamento e la fisionomia ideale del maestro e dello scolaro. Il primo era infatti visto come depositario del sapere, ma anche come guida spirituale, incaricato di favorire l’incontro tra il discepolo e Cristo, vero maestro. Il rapporto tra sapienza e dimensione morale contraddistingue la cultura e la pedagogia medievale e, come si vedrà, non verrà meno neanche nella scuola umanistica. Una concezione educativa di questo genere si riflette naturalmente nei contenuti, ma anche negli strumenti, cioè nei testi usati nella didattica scolastica o nell’apprendimento personale. È noto come uno dei «libri di scuola» più diffusi nel Medioevo fossero i Disticha Catonis, nelle varie versioni latine e volgari che circolavano in tutta Europa. Su questa raccolta di sentenze morali (e su altri testi di auctores minores) in distici avveniva normalmente l’acquisizione dei primi rudimenti del latino: probabilmente l’opera era destinata a esercitare la lettura e la comprensione di brevi frasi latine, che tra l’altro potevano essere anche facilmente memorizzate. Nei manoscritti i Disticha Catonis potevano comparire insieme agli Ianua, la versione più diffusa della grammatica di Donato (noti anche con il nome di donati o donadelli): tale consuetudine perdura ancora nelle opere a stampa. Considerata la diffusa attività di traduzione dei Disticha Catonis, possiamo immaginare che queste breve sentenze, una volta tradotte, potessero anche servire da primo libro di lettura per l’apprendimento del volgare e aver fornito un modello per la redazione di altri best-seller scolastici composti in latino e in volgare o interamente in volgare.

Una grande fortuna in ambito scolastico ebbe anche la Consolatio Philosophiae di Boezio. Il domenicano Giovanni Dominici ci fornisce una testimonianza al proposito:

  • 13 Citato da R. Black e G. Pomaro, La consolazione della Filosofia nel Medioevo e nel Rinascimento ita 

La prima cosa insegnavano era il salterio e dottrina sacra; e se gli mandavano più oltre, avevano moralità di Catone, fizioni di Esopo, dottrina di Boezio, buona scienza di Prospero.

  • 14 Pseudo-Boèce, De disciplina scolarium, ed. Weijers, Leiden-Köln, Brill, 1976. Sulla fortuna di B …

In effetti l’opera di Boezio costituiva nel curriculum grammaticale un testo di transizione dagli auctores minores ai maiores: le glosse latine e volgari che molto spesso si trovano nei manoscritti evidenziano una fitta attività di interpretazione, che permette di leggere lungo le pagine dei vari testimoni annotazioni di carattere lessicale, storico, mitologico, metrico, geografico. La celebrità e la diffusione della Consolatio Philosophiae sono indicate inoltre dal fatto che proprio a Boezio era spesso attribuito il De disciplina scolarium.

  • 15 Non mancano però esemplari duecenteschi, come i 240 proverbi di Garzo dall’Incisa, ordinati in gruppo …

In altri casi determinare la natura didattica e la destinazione scolastica della vasta produzione moraleggiante medievale non è un’operazione semplice: si tratta infatti di capire fino a che punto la lingua di questi testi sia stata un modello per gli apprendenti del volgare. Consideriamo ad esempio la poesia abecedaria e in particolare gli alfabeti esposti, di cui ci recano testimonianza molti manoscritti. Questi componimenti moraleggianti formati da versi e strofe che iniziano con le varie lettere dell’alfabeto disposte in sequenza rientrano in un filone poetico molto antico (si pensi ai carmina abbecedari in latino o ancora all’importanza dell’ordinamento alfabetico nella letteratura biblica): l’alfabeto vi potrebbe giocare un ruolo strutturante e per così dire limitato all’aspetto formale; in questo caso dovremmo considerare tale produzione estranea al processo di alfabetizzazione. Tuttavia, la messe di alfabeti in versi che si diffondono tra XIV e XV secolo potrebbe aver avuto tra i suoi destinatari privilegiati fanciulli e adulti impegnati nell’acquisizione della lettura e della scrittura. Si vedano alcuni distici del componimento che va sotto il nome di Abicì disposto, attribuito a maestro Guidotto e tràdito da vari manoscritti quattrocenteschi:

A Chi’n questo mondo bene adoperà
i’ paradiso sempre abiterà.
B Cristo veracie è’n cielo e anchora qui
e questo è ver, come tu sé costì.
C Nel chamin piglia l’albergo di dì
servi a ciaschuno e non guardare a chi.
D Per noi richonperar Cristo finì
e ’l terzo giorno poi resuresì.
E Pensa che morte de’venir per te
perché Gesù nolla schifò per sé.
[…]
H Tristo a colui che assay peccati insaccha
de, chome be’gli sta se’l chollo fiaccha.
[…]
M Cristo sepolto fu in Gierusalemme:
la sua virtù è sopra l’altre gemme.
[…]
R Disfannosi i paesi per le ghuerre
chastella e ville, chasamenti e terre.

  • 16 Novati, «Le serie alfabetiche proverbiali e gli alfabeti disposti nella letteratura italiana de’

Come ha evidenziato il Novati, che dedicò vari lavori alle serie alfabetiche proverbiali, il progetto originario di maestro Guidotto doveva essere quello di disporre i versi in modo tale che la rima del distico coincidesse con il nome della lettera dell’alfabeto. Il tentativo non riesce sempre: se nei distici contrassegnati dalle lettere lmnr l’operazione va a buon fine, negli altri casi il poeta deve accontentarsi di creare un’assonanza fra la lettera e la rima (si vedano i distici relativi alle lettere bc e d). Evidentemente Guidotto non aveva velleità tecniche in fatto di rima, gli bastava che il componimento assolvesse la sua finalità, che potremmo definire, ante litteram, ludolinguistica: i proverbi messi in versi consentivano al lettore di memorizzare la forma delle lettere e il loro nome mediante l’ausilio di sentenze moraleggianti e proverbiali. Lo stesso scopo accomuna anche altri componimenti proverbiali alfabetici in volgare, i quali, come ha evidenziato Novati

  • 17 Novati, «Le serie alfabetiche», I, p. 397.

mirano pur sempre a far opera di edificazione e di ammaestramento, a preparare dei componimenti che gli scolari potevano leggere, imparare a memoria, recitare e cantare.

È probabile dunque che anche altre compilazioni moraleggianti e raccolte di sentenze fossero impiegate come strumenti per l’insegnamento del volgare, come del resto indica chiaramente la loro collocazione in manoscritti miscellanei che per contenuti e origine possiamo ritenere particolarmente vicini agli ambienti scolastici.

Giovanni Teresi

 

 Bibliografia: Cahers de Recherches Médiévale set Humanistes   

 (Jourmal of Medieval and Humanistic Studies)

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