La disaffezione degli italiani verso la politica – di Domenico Bonvegna

Giovanni Orsina

Attenzione l’unico dato certo delle prossime elezioni è quello che aumenta l’astensionismo degli italiani, lo sostiene il professore Giovanni Orsina in una intervista al quotidiano Libero del 23 agosto scorso. “Non è un buon momento per la nostra democrazia afferma il professore Orsina, ordinario di Storia Contemporanea e direttore della School of Government della Luiss. Gli italiani sono sempre più distanti dalla politica, è dal 2011 che questo Paese non ha un premier scelto dagli elettori, il vincolo esterno rappresentato dal debito pubblico e dagli obblighi internazionali riduce l'autonomia nazionale, la campagna elettorale gira attorno all'eterno tema del fascismo risorgente. Per alcuni di questi mali il presidenzialismo può essere la cura (e altre medicine, comunque, non se ne vedono)”. Che la democrazia non se la passa bene lo ha scritto un altro professore in un libro che recensito tempo fa, “Come la democrazia fallisce”, di Raffaele Simone, Garzanti (2015).  “Nella premessa rivolgendosi all’istituzione democratica, - Simone - si chiede se riusciremo a salvarla, ma soprattutto se dobbiamo ancora crederci. Il libro di Simone individua le varie finzioni democratiche e pertanto “la democrazia perde inesorabilmente credito, mordente e prestigio; i cittadini, che hanno preso a ‘curiosare attorno’ alle fondazioni di quell’edificio, cominciano a scoprire che qualcosa non va”. La democrazia esce “sfigurata”, sostanzialmente sembra che il “ciclo democratico” sia arrivato al suo termine. E’ già tanto che è durato quasi due secoli”.

Ritornando a Orsina, il giornalista Fausto Carioti che lo intervista chiede quanta astensione si aspetta? «Tanta. Nel 2018 votò il 73% circa degli aventi diritto, con un calo di più di due punti rispetto al 2013, che a loro volta segnavano un calo di più di cinque punti rispetto al 2008. Se prosegue questo trend, e considerando sia il voto autunnale, sia una campagna elettorale finora mediocre, possiamo aspettarci che la partecipazione scenda al di sotto del 70%. Non troppo al di sotto, spero». Per il professore l’astensione è allarmante, proprio perché siamo in Italia, “in un Paese tradizionalmente assai "politico", l'astensione è il segno di una fuga dalla vita pubblica alimentata dal disprezzo e dalla delusione, quando non dalla disperazione. Un segnale pessimo”. Intanto Orsina sostiene quello che altri sostengono: “L'Italia è un Paese a sovranità limitata. Lo spazio per le politiche pubbliche nazionali resta compresso dal "vincolo esterno", e anche il ceto di governo deve essere, almeno in una certa misura, "validato" dal di fuori. La pressione del vincolo esterno ha contribuito (contribuito: ci abbiamo messo anche molto del nostro) a fare a pezzi il sistema politico italiano. E l'esplosione del sistema politico, come in un circolo vizioso, ha esposto ancora di più la Penisola al vincolo esterno».

Quindi ha ragione chi dice che votare è inutile? «Quel che vogliono gli italiani negli ultimi dieci anni qualcosa ha contato, ma mica troppo. E gli elettori, che non sono affatto scemi, se ne sono accorti. Del resto, se nel 2018 dai la maggioranza a Lega e Cinque stelle, e poi ti ritrovi con Mario Draghi, forse qualche piccolo problemino di democrazia ce l'hai...». Carioti chiede se e come si può ricucire il rapporto tra il "popolo" e il "palazzo". Quale riforma istituzionale bisogna fare. Risponde Orsina: «Mi fanno un po' ridere quelli che vedono nel rafforzamento del potere di scelta degli italiani un pericolo populista, la deriva verso una democrazia illiberale alla Orbán. Perché il nostro problema oggi non è la democrazia illiberale, ma il liberalismo antidemocratico: troppi contropoteri, interni ed esterni, e gli elettori non contano più niente. Sia chiaro: i contropoteri liberali sono assolutamente imprescindibili. Ma oggi lo squilibrio non è certo a favore del povero popolo votante. L'emergenza è ridare un po' di centralità e di capacità decisionale agli italiani”. Orsina non si meraviglia che la Sinistra utilizza ancora una volta l’antifascismo contro la Meloni.

Intanto la campagna elettorale del centrosinistra è polarizzata su Giorgia Meloni e il tema dominante è l'antifascismo. Stupito?La cultura di parte progressista è in pezzi, non riesce a capire più il mondo nel quale viviamo, non tira più fuori un'idea da anni. Di conseguenza è in pezzi la politica di parte progressista. Come avrebbero mai potuto resistere a rivolgere l'antifascismo contro Meloni? Troppo facile. E soprattutto: se non dicevano quello, avevano altro da dire?”. E poi secondo il professore, “L'antifascismo non funziona, anche perché è un'arma della quale si è enormemente abusato in passato e gli italiani non ci credono più”. Ormai la sinistra postcomunista è dal 1994 che riesce solo, a parlare al proprio elettorato "interno". Con l'aggravante che questo si restringe sempre di più. Orsina risponde a quelli che dicono che l’elezione diretta del Capo dello Stato non si addice agli italiani. Falso, “L'elezione diretta del capo dello Stato si addice benissimo agli italiani, deve solo essere costruita nel modo migliore”.

Infine Orsina lancia qualche idea per risolvere la disaffezione degli italiani alla politica, per farli tornare a votare. Bisogna cercare qualche forma di scelta elettorale diretta del vertice dell'esecutivo. “Possiamo immaginare un modo per far designare al corpo elettorale il presidente del consiglio, imitando il sistema britannico, o puntare all'elezione diretta del presidente della repubblica, alla francese. Mi andrebbero bene entrambe le soluzioni, purché ben disegnate”.

 

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