Rino Messina, “La rivolta di Palermo, 8 luglio 1960” (Ed. Istituto Poligrafico Europeo) - di Gaetano Celauro
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- Category: Scritture
- Creato: 10 Luglio 2024
- Scritto da Redazione Culturelite
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Della rivolta popolare che si scatenò a Palermo in quel mese di luglio del 1960, fu evidente da subito che si trattò di una repressione politica, condotta senza alcun criterio di legittimità giuridica.
Siamo nell’ambito di moti rivoltosi che svelano verità ancor oggi difficili da mostrare e catalogare con assoluta certezza ed esattezza sulle loro reali ed effettive motivazioni, cause e concause.
L’autore, già magistrato del Tribunale Militare di Palermo, autori di numerosi e valevoli saggi, ha indagato da par suo, su documenti processuali, alla ricerca di verità giudiziarie che sovente non sono assolute. Come testimoniano i suoi precedenti lavori, è di interesse prevalente di Rino Messina, un filone storico narrativo ben individuato nei suoi tratti e nella sua narrazione come quello di cui adesso ci si occupa riferito nella fattispecie ad una manifestazione sindacale che degenerò causando quattro morti e sessanta feriti nel pieno centro della città capoluogo della Sicilia.
Dalle deposizioni in giudizio si rappresenta e descrive un racconto di una grande sommossa popolare, con un preciso e meticoloso vaglio e successiva trascrizione del contenuto dei documenti. Ma quello che colpisce visivamente è la presenza di ragazzi con le magliette a strisce che diventano l’emblema caratterizzate di questa rivolta. Sono dei “picciotti” che vengono fuori da diversi quartieri e che esprimono un’inquietudine sempre latente e manifesta verso lo Stato visto come oppressore e mai garante.
Una “teppaglia” di gente, come venne definita, si rivoltò come viene raccontato dai documenti che l’autore riporta in maniera puntuale e da alcuni, si volle vedere un collegamento con quello che avvenne nel contempo nel resto d’Italia, con i morti di Reggio Emilia ed altri rilevanti disordini in altre città all’epoca del governo Tambroni, che aveva avuto i voti determinanti del MSI per ottenere la maggioranza.
Ma questa di Palermo, pare avere avuto dei connotati e caratteristiche diverse e diversificate. In tutta Italia vi è il benessere del boom economico degli anni Sessanta ma a Palermo vi sono ancora catoi fatiscenti con popolazioni che vive in condizioni malsane. E quello che serpeggia in questa atmosfera è sempre l’insidia, la prepotenza ed il malcostume mafioso nella società civile e nelle istituzioni. Siamo all’epoca del “Sacco di Palermo” ed il Partito Comunista con personaggi di rilievo quali Pio La Torre, Emanuele Macaluso, Colajanni che si esprimono con incisivi interventi. Il PCI aveva forti legami con la classe operaia e con la gente del sottoproletariato urbano ma forse non comprese esattamente quello che andava accadendo. Era qualcosa di diverso dalla rivolta , come quella di Reggio Emilia in quanto a Palermo si ebbe una vera e propria sommossa popolare con panchine divelte, arredo urbano sconvolto e negozi saccheggiati. Si era partito da uno sciopero indetto dalla CGIL ma si trasformò in qualcosa di molto diverso con uno smisurato e provocatorio schieramento di polizia con blindati, caroselli della “celere “, lanci di lacrimogeni e spari ad altezza uomo
Dall’opera di Messina, scavando negli atti giudiziari e nelle dichiarazioni rese emerge come la Storia non possa prestare fede solamente agli atti giudiziari. Pare difatti nelle dinamiche dell’evento rivoltoso, l’intento del Governo, di ostacolare l’azione e lo sviluppo dei Sindacati. Si lavorava per consolidare e irrobustire i diritti sociali nel solco del dettato costituzionale mentre il Governo e i Tribunali parevano operare contro.
La parola gentile più adoperata per definire i rivoltosi è “teppaglia” e Tutto diviene non sciopero economico, come era giusto che fosse, ma sciopero politico, argomentazione prevalente e fondamentale per il processo.
L’Autore rileva come in molti passi dell’istruttoria e nelle testimonianze, vi è il verificarsi un qualcosa che rompe l’equilibrio della tensione della manifestazione, che scaturisce dall’intervento della Polizia di Stato. Le Forze dell’ordine era tra quelle in campo, l’unica ad essere armata, e si iniziò a sparare. Non erano armati i ragazzi, non era armata la CGIL, e non era armato Pio La Torre né tantomeno i parlamentari presenti. Appare chiaro ed evidente come da quel momento tutto esce fuori dai cardini e non è più uno sciopero dichiarato.
Allora il Partito Comunista e Pio La Torre, ebbero delle difficoltà per calmare gli animi e tentare di bloccare il degenerare deli eventi ma tutto sfuggì loro dalle mani. Ed ecco così la “teppaglia” comincia a distruggere tutto quello che poteva con panchine divelte, arredo urbano devastato, negozi presi d’assalto
L’evento rivoltoso apparì come un assalto ed un sussulto alla democrazia, e questo anche se è pur vero che vi furono degli infiltrati, come ammesso da tutti, intesi come gruppi che potevano agire anche per fini politici diversi da quelli dichiarati.
Esplose una rabbia sociale solo apparentemente imprevedibile ed è una costante della storia cittadina l’insorgere di moti rivoltosi avverso sorprusi, ingiustizie e malgoverno, avendo Palermo avuto sempre un grande tensione democratica.