“La Patente”: Novella di Luigi Pirandello – Lettura e commento di Giovanni Teresi

La novella “La patente“, pubblicata nel 1915, come molte altre opere di  Pirandello rappresenta il dramma dell’uomo costretto in un’immagine nella quale gli altri lo hanno calato.

Sei anni dopo Pirandello riadattò la novella nella commedia a un atto in dialetto siciliano dal titolo ’A patenti. Nel 1954, insieme a La giaraIl ventaglino e Marsina strettaLa patente ebbe una trasposizione cinematografica, interpretata da Totò, all’interno del film a episodi Questa è la vita.
Tema costante e fondamentale per l’autore è infatti quello dell’impossibilità dell’individuo di avere un’identità; l’uomo non è uno, ma è tanti quante sono le sue relazioni con gli altri, costretto in una  “forma” o “maschera” che gli altri gli attribuiscono.

La storia del povero Rosario Chiàrchiaro, padre di famiglia allontanato dalla società per la maschera che gli era stata creta per la sua fama di jettatore, perde il lavoro e vive di stenti. Il personaggio, che chiama in tribunale i suoi diffamatori non per ottenerne la condanna, ma per vedersi ufficialmente riconosciuta la qualifica di jettatore, appare decisamente grottesca e bizzarra; in realtà in questa novella Pirandello esprime il suo pessimismo e rivela grande comprensione e partecipazione al triste destino degli uomini.

La patente si apre con la descrizione di uno dei suoi due protagonisti: il giudice D’Andrea. È un uomo magro, un “ragnetto smarrito”, sconvolto dalla vita, pronto a perdersi la notte in riflessioni; integerrimo sul lavoro, sempre puntuale.
Proprio questa sua nota e inscalfibile puntualità sul lavoro viene messa a rischio da un caso particolare, quello di Rosario Chiàrchiaro. L’uomo, ex impiegato al banco dei pegni licenziato perché ritenuto portar iella, ha denunciato per diffamazione due ragazzi che al suo passaggio hanno fatto le corna.

D’Andrea è preoccupato: come aiutare l’uomo a vincere il processo se persino tutti gli avvocati e tutti i giudici sono convinti del suo essere uno iettatore? Lui certo non crede all’esistenza della sfortuna e vorrebbe a tutti i costi aiutare il suo cliente, che non solo ha perso il lavoro, ma deve mantenere una moglie paralitica e due figlie ormai condannate al nubilato.
La soluzione migliore gli sembra parlare con Chiàrchiaro e fargli ritirare la denuncia: dal processo non potrebbe venire nulla di buono, se non una conferma esibita della sua condanna a portatore di iella.

Il caso, però, si rivela presto paradossale: Chiàrchiaro, raggiunto l’uomo nel suo studio, spiega che non ha citato in giudizio i due ragazzi per scrollarsi finalmente di dosso la stigma di iettatore, ma per poterla rivendicare legalmente con un riconoscimento ufficiale, una patente (il titolo della novella deriva proprio da questo).
Rosario Chiàrchiaro ha infatti capito che non c’è modo di disfarsi del ruolo che ormai gli ha imposto la società. Tutto ciò che può fare, piuttosto, è fare in modo di far fruttare quel ruolo, iniziando a esercitare ufficialmente la professione di iettatore.
D’Andrea, spaesato, non può che promettere di aiutarlo.

A questo primo finale la commedia del 1917 ne aggiunge un secondo, ancor più incisivo: non appena finito il dialogo tra i due, la finestra dell’ufficio si apre, urtando la gabbia con il cardellino e uccidendo il povero animale e l’episodio, subito attribuito alla presenza del Chiàrchiaro, spinge i giudici presenti a firmare ancora più in fretta la tanto attesa patente.

“Ma perché io voglio, signor giudice, un riconoscimento ufficiale della mia potenza, non capisce ancora? Voglio che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza spaventosa, che è ormai l’unico mio capitale!”

In questo l’uomo rivela uno spirito d’adattamento spietato, spinto da una sofferenza e da un odio indicibili.

“Perché, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo d’avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta una intera città!”

La patente ruota attorno ad alcuni elementi fondamentali della poetica pirandelliana. In primo luogo, il tema cardine è la riflessione sul rapporto tra identità personale e maschera imposta dalla società, sul contrasto tra vita e forma. Anziché rendersi conto all’improvviso di essere stato costretto in una forma e di non aver mai vissuto realmente (come accade per esempio al protagonista della novella  La carriola ), però, Rosario Chiarchiaro sceglie di accettare la propria forma, impostagli dall’esterno, e di farla fruttare economicamente.

Entra in gioco un secondo elemento fondamentale della novella: l’umorismo pirandelliano nella Patente si manifesta nel suo aspetto più sofferente e pessimistico. 

 

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