"La ricerca del tempo perduto" di Ciro Lomonte

«Che cosa faceva Dio prima di creare il cielo e la Terra? Se era inoperoso e non faceva nulla, perché non rimase qual era? E se insorse in Dio un nuovo moto e una nuova volontà di dare vita a qualche cosa, a cui prima non aveva dato vita, come si può dire vera perfezione quella in cui nasce una volontà che prima non c’era?». Queste cose dicono quelli che ancora non T’intendono, o sapienza di Dio, luce delle menti. (S. Agostino, Confessioni)

Il tema del tempo occupa uno spazio notevole nell’opera di S. Agostino. In effetti, se Dio è perfetto per essenza, come può conoscere mutamento? Non può tendere ad alcunché di cui sia manchevole ed è quindi eternamente uguale a Sé stesso. Agostino ritiene che il tempo non esista oggettivamente. Esso si divide in tre parti: passato, presente e futuro. Il passato non esiste in quanto non è più; il futuro non esiste in quanto non è ancora; e il presente attimo dopo attimo diventa passato (se così non fosse sarebbe eternità e non presente). Quindi il tempo non esiste. Ma semplicemente il passato viene visto come memoria, il futuro come aspettativa e il presente come percezione.

L’uomo è imperfetto e la temporalità è il suo modo di avvertire la realtà, modo che scaturisce appunto dalla sua imperfezione. Se l’uomo fosse Dio, percepirebbe tutto l’essere nella sua interezza e perciò per lui il tempo non ci sarebbe, ma dato che egli è imperfetto e limitato, chiama presente l’attuale percezione che riesce ad avere, passato quella che non ha più e conserva nella memoria, e futuro quella percezione che si aspetta di avere.

Tutto ciò rischia di ridursi a puro esercizio intellettuale, soprattutto quando per l’essere umano il tempo è la misura dei cambiamenti nelle relazioni fra le persone, a maggior ragione se esse fanno parte della cerchia ristretta degli affetti famigliari. È quanto emerge dal sorprendente romanzo Mio padre, il Colonnello Sanders, opera prima di Silvia Nocera, una farmacista siciliana estremamente ricca di umanità. È stato appena pubblicato Portati dal vento, il suo secondo romanzo.

La vita dell’affermato ingegnere Pietro Rizzi viene sconvolta da due tragici eventi, a distanza di poche ore l’uno dall’altro: la morte della moglie in un incidente stradale e la scoperta dell’Alzheimer del padre. Una malattia straniante, per chi ne è colpito e per chi è chiamato ad assistere il malato, di cui è difficile parlare con lo stesso garbo e capacità di comprensione dell’autrice.

Il protagonista, voce narrante del romanzo, si troverà costretto in un battibaleno a fare i conti con le scelte intraprese nel corso degli anni ed il logorato rapporto con l’anziano padre, il Colonnello Sanders (soprannome evocativo, che fa riferimento esplicito ad Harland Sanders, il fondatore di KFC, una delle più note catene di fast food statunitensi). È un vissuto che lo tormenta ancora per le parole non dette, gli abbracci mancati e le sue domande di uomo, non più giovanissimo, rimaste sospese a mezz’aria tra le pareti della casa di famiglia.

Da Roma, la città in cui ormai risiede da anni, Pietro intraprenderà il suo viaggio d’andata alla volta di Palermo, la capitale della Sicilia dove il padre ancora vive, lungo quel percorso che molti, comunemente, descriviamo in discesa. E così Pietro “scende” in Sicilia, “scende” a trovare il padre, “scende” nel profondo della propria anima per ritrovare la propria dimensione di figlio in una lotta contro il tempo e una malattia che cancella i ricordi e con essi, la memoria e l’identità delle loro radici comuni.

Come in un arazzo fiammingo, vengono intrecciati i fili della storia del viaggiatore, l’itinerario e lo spirito dei luoghi, abitati da echi remoti. Così da un lato recuperiamo, attraverso Pietro, i frammenti di un passato che rischia di rimanere smembrato, dall’altro quegli stessi riferimenti li perdiamo attraverso il padre, un tempo medico stimato e rigoroso, ora paziente che si smarrisce in casa propria, che dimentica l’odore del tabacco, le mosse degli scacchi, il volto e il nome degli amici.

Tutto si scompone e si ricompone, continuamente, tra queste pagine, e il lettore, seguendo il protagonista, non può che venire trascinato nell’ardua ricerca di un Senso superiore, condividendo con Pietro dubbi esistenziali, ma anche sensazioni reali, tangibili fino alla fine, quando, durante un altro viaggio, quello del ritorno su un’Alfa Romeo Spider d’epoca rimessa a nuovo da Pietro, il viaggio rappresenterà la necessità di abdicare alle proprie sicurezze, imparando a rischiare, proprio quando non c’è più nulla da perdere, proprio quando, al cospetto di un passato che tende a svanire e di un futuro incerto, ciò che conta davvero è solo il presente e l’esser presenti l’uno all’altro.

Silvia Nocera ci ha fatto un dono prezioso. Sorprende quanto il flusso della coscienza, con lunghi brani introspettivi, possa contribuire a tenerti inchiodato ad una trama intrigante, con sapienti colpi di scena. La domanda di un Senso assoluto la si incontra sovente, in filigrana. C’è uno Spettatore che agisce nell’intimo dei protagonisti, in quel loro ossessivo desiderio di amore. La narrazione non può lasciarti per nulla indifferente, di fronte ai solchi scavati nell’anima dal tempo degli errori e dal tempo delle richieste di perdono. Quel tempo che forse non esiste oggettivamente, ma vallo a spiegare al tuo cuore che quel tempo non misura davvero gli eventi che hanno lasciato una traccia indelebile nella tua esistenza.

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