Lorenzo Spurio, "Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell'assenza per Federico García Lorca" (Poetikanten ed.) - di Isabella Michela Affinito

«[…] Lungo una strada va/ la morte incoronata/ di fiori d’arancio appassiti./ Canta e canta/ una canzone/ sulla chitarra bianca,/ e canta, canta, canta.// Sulle torri gialle/ tacciono le campane.// Il vento con la polvere/ compone prore d’argento.» (Dalla poesia Clamore di Federico García Lorca, tratta dal libro monografico n°5 Federico García Lorca – POESIE, Collana “La Grande Poesia – Corriere della Sera”, Edizione speciale per il Corriere della Sera, RCS Quotidiani S.p.A. di Milano, Anno 2004, pag.49).

L’omaggio poetico che il saggista scrittore critico letterario della provincia di Ancona, Lorenzo Spurio, ha voluto dedicare a uno dei più importanti personaggi della letteratura spagnola del primo Novecento, Federico García Lorca (1898-1936), assomiglia alla magistrale e temeraria entrata dell’abile surfista nella galleria d’acqua provvisoria dell’onda ‘perfetta’, fino a percorrerla tutta prima del suo rovescio sulla superficie marina.

Gli aranci sono in riferimento alle terre calde che li producono, terre assolate dove gli inverni sono miti come la nostra Italia del Sud, le regioni mediterranee, piuttosto che la Spagna dove sul finire dell’Ottocento nacque, nei pressi di Granada in Andalusia (zona della Spagna meridionale) colui che divenne il poeta e non solo, Federico García Lorca, della vita con tutte le sue inquietudini soprattutto imbevuta di pianto e di sangue, di paesaggi coi suoi fiori frutti e plurimi colori, di giustizia mancata e di surrealismo che s’andava affermando in quegli anni del secolo moderno – lo scrittore andaluso fu amico fraterno dell’artista catalano inquieto e stravagante surrealista, Salvador Dalì, a cui destinò la sua prosa poetica titolata Ode a Salvador Dalí.

La menta perché probabilmente in mezzo a tanta inclemente arsura di terre infuocate dai raggi solari, essa come erba aromatica rappresenta la freschezza dei luoghi umidi dove nasce e così la figura eroica-letteraria dello stesso Lorca si staglia dal gruppo dell’oltre la decina di liriche che il poeta Lorenzo Spurio ha composto per Egli, morto prematuramente all’età di trentotto anni e che fece parte della memorabile “Generazione del ‘27” all’indomani dell’instaurazione del regima franchista contro la Repubblica dando il via alla guerra civile durata fino all’aprile 1939; cosicché il 19 agosto 1936 venne crudelmente fucilato il poeta Lorca dai sostenitori del dittatore Generale Francisco Franco (solo dopo la morte di quest’ultimo nel 1975 finalmente la produzione letteraria di García Lorca ha potuto meritare la divulgazione e il mondiale riconoscimento) a qualche chilometro da Granada, allacciandosi idealmente al celebre dipinto del precedente artista spagnolo ritrattista della famiglia reale di Carlo V, Francisco Goya, del 1814 titolato Fucilazioni del 3 maggio.

Dicevamo della rassomiglianza con l’immagine del provetto surfista perché i versi di Lorenzo Spurio diffondono un equilibrio perfetto in sintonia con quelli di Federico García Lorca: nel versificare la territorialità, gli ambienti caldi andalusi di Lorca il poeta delle Marche s’è unito all’universale respiro letterario ardente lorchiano fatto di attimi stillanti musicalità, dramma, simbolismo, surrealismo, ermetismo, passione lacerante e lacerata da improvvisi colpi di scena tra cui, fra i tanti, la morte per ferimento alle cinque della sera durante l’esibizione tipica spagnola, la corrida, dell’altro suo carissimo amico torero Ignacio Sánchez Mejías, a cui dedicò una lunghissima struggente poesia (1935), divisa in quattro parti, carica di valori correlati alla vita stessa fatta di dolore e di lotte.

Così ha composto il poeta Spurio in relazione a quell’episodio: «[…] Nelle tribolazioni invereconde e nella polvere/ paraventi di luna che fugge alla notte/ incunaboli di dolore in tabernacoli di pianto/ il fluido rosso fondamento di sacrificio.// Nelle cuevas gitane l’umidore sembrò placarsi;/ quella sera la luna non si presentò/ talmente impaurita preferì nascondersi/ ma alle cinque, tu, dov’eri? » (Dalla poesia La luna si nasconde, pagg.18-19).

Per comprendere appieno i testi poetici della silloge in questione dell’autore iesino, bisogna prima conoscere la breve eppure complessa esistenza del poeta Federico García Lorca, che crebbe in una famiglia dove non c’erano problemi economici dato che il padre era un ricco possidente terriero e la madre, seconda moglie, era insegnante ma di salute cagionevole per cui il piccolo Federico venne allattato dalla moglie del responsabile di un’azienda agricola, che aveva il compito di controllare i subalterni, e forse soprattutto per questo il poeta da adulto divenne il propugnatore del concetto d’uguaglianza tra gli uomini: dai gitani ai negri, agli ebrei, alla gente più umile…

La madre lasciò l’insegnamento per dedicarsi con cura all’educazione del figlio, trasmettendogli l’amore per la musica (il pianoforte) e stimolandogli una grande sensibilità, anche perché Federico García Lorca nacque sotto il Segno zodiacale d’Aria dei Gemelli, il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros, votato alla parola, ai viaggi, alla curiosità, al protagonismo con già una platea interiore pronta ad applaudirlo, all’amicizia, alla novità sotto tutti i punti di vista.

La corrente surrealista, in ambito artistico e letterario, si fece largo dopo il primo decennio del Novecento in Francia, a proposito del poeta scrittore critico d’arte, Guillaume Apollinaire (1880-1918), che usò per primo il termine sur-réalisme e man mano entrarono a farne parte le teorie inerenti l’inconscio grazie specialmente alla psicoanalisi di Sigmund Freud, l’immaginazione liberata dalla ragione, la casualità, il sogno e in Spagna uno dei più importanti pittori surrealisti fu, appunto, Salvador Dalí, ammiratore sin dall’epoca universitaria di Lorca, il quale prima si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza poi passò a quella di Lettere, insieme al regista Luis Buñuel e un’altra importante amicizia di García Lorca fu quella col poeta cileno Pablo Neruda, più giovane di lui di sei anni e che visse fino al 1973, conosciuto a Buenos Aires e rivisto a Madrid nell’ultimo paio d’anni della sua breve esistenza.

Federico García Lorca fece anche molto teatro – andò in giro per i villaggi sperduti della Spagna con la compagnia teatrale ambulante La Barraca – scrivendo opere ispirate agli usi e costumi della sua Spagna fortemente legata alle tradizioni punzonate dalla condizione di subalternità della donna, le tragedie familiari dovute anche alla difesa dell’onore, le promesse da mantenere, l’amore contrastato e la morte sempre in agguato, che poi negli ultimi tempi evolse in una drammaturgia difficile da rappresentare perché assorbito dal mulinello surrealista.

«[…] La mia dimora è l’ambiente, l’anziano ulivo,/ l’oliva e la screpolata corteccia, la radice/ magnifica e atroce e la foglia a forma di lancia:/ cercatemi là, non lontano dal limoneto nauseante/ dove sosto ad abbeverarmi del nettare acido/ per tornare a vagare nei dintorni confusi/ e abitare smanioso ogni luogo del campo. » (Dalla poesia Non lontano dal limoneto, pagg.49-51).

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