Mosaicosmo/2 - di Francesca Luzzio

Le sette tessiture dal mosaicosmo di T. Romano si offrono al lettore come proposizione tematica del contenuto dei volumi pubblicati nella collezione del Mosaicosmo (ISSPE). Il quaderno è stato scritto dall’autore nell’arco di un’ora: dalle 5,10 alle 6,10, tempo mattutino in cui in una sorta di allucinazione espone in forma paratattica e senten­ziosa i valori che vorrebbe ispirassero l’agire umano.
 Sette tessere tratte dal cosmo ideologico di Tommaso Romano, sette, quanti i giorni della Creazione e non a caso, infatti quest’ultima e, in particolare quella dell’uomo, è il tema-chiave da cui si irradiano progressivamente le riflessioni-tesi (antropologia, gnoseologia, morale, etc...) che nel loro insieme costituiscono un campo semantico in cui l’ultima tesi si riconduce al tema-chiave non per derivazione, ma per affinità, visto che riflette sulla creatività umana, ossia sull’arte; insomma dalla divina creazione all’umana creazione, attraverso una struttura formale del quaderno e sostanziale dei contenuti che possiamo definire circolare e che proprio per questo si pone a sigillo garante del divino che è presente in ognuno di noi. “l’Essere cosmico (Dio) ha creato dall’increato, - assegnando ad ogni ente una propria realtà autonoma -, tessera di un immenso - mosaico” che si con­segnerà nuovamente al”Seme di tutti i semi”, dove la luce che emanerà sarà proporzionale al bene che ha costruito ed emanato in vita.
Una visione dantesca quindi, in cui i meriti acquisiti in questa vita sono la condicio sine qua non per godere di maggiore o minore visione della divinità nell’altra. Dal generale al particolare, dalla creazione dell’universo a quella dell’uomo che, secondo l’autore, possiede la scintil­la divina nel DNA, nel quale sono scritti sia la costituzione genetica del corpo, sia il “deposito divino” che da Adamo è giunto sino a noi. In tal modo viene meno l’evoluzionismo e la storia dell’universo viene proposta come applicazione nel tempo e nello spazio della” tradizione” divina che si per­petua in noi, perciò il pensiero dell’uomo, in quanto porta­tore di tale tradizione, quando si elabora compiutamente, diviene organico, armonico all’essenza, a Dio e il suo agire un fare bellezza.
Le religioni, rispec­chiando con simboli e miti l’eterno, si pongono come lega­me tra l’eterno che è in noi e l’essere cosmico e, in quanto tali, sono tutte da rispettare, anche nella pretesa di ricerca di verità assoluta. Acquisita la saggezza derivante dalla consapevolezza del legame che unisce la vita del singolo all’eterno (concetto già di stoica ascendenza), l’uomo non dovrebbe sottrarsi al compito del sacro, trovando in esso la realizzazione della libertà.
Come l’acqua del fiume scorre verso il mare, per unirsi alla totalità della sua essenza, così l’agire dell’uomo dovrebbe trovare l’esplicazione della sua libertà nel realizzare condizioni di “ben-essere” per sé e gli altri; in tal modo corre libero verso il mare dell’essere (Dio) ed evita il male, ossia il nichilismo che lo potrebbe portare alla distruzione di sé e dell’altro.
Dannazione eterna per­tanto è il rifiuto volontario, è “il non volere essere” tessera del mosaico nella totalità dell’essere cosmico, la vita di contro è compito e libertà che trova la piena realizzazione nell’assoluto rispetto dell’integrità dell’altro. In tale visione la legge “codice necessario della conviven­za”, non è che un mezzo mutabile, essendo il fine la libera realizzazione della vita “che permane appunto o nel DNA trasmesso o nelle opere compiute concrete o in quelle morali.” E proprio per questo gli istituti che l’uomo si dà devono servire al ben-essere, perciò bisogna promuovere la vita e dire no all’aborto, all’eutanasia (tranne che non sia autonoma scelta), tutelare l’ambiente e la natura.
La vita pertanto se vissuta nella saggezza derivante dalla consapevolezza dell’Eterno che è in noi, acquista un valo­re estetico e l’arte non è solo copiare e rifare il bello, ma diventa etica “è fare partendo dal concetto e dal dono”. È ammirevole la capacità di proporre in poche essenziali pagine, tematiche filosofiche che hanno richiesto volumi e volumi per essere trattati: Tommaso Romano, quasi colto da un invasamento divino propone concetti che sembrano epifanie, rivelazioni improvvise ricevute dall’alto in un’o­ra allucinata.
In effetti esse sono il risultato di una lunga riflessione storico-fiosofica, teologica che trova i suoi capisaldi nella filosofia patristica(Agostino) e scolastica (T. D’Aquino), oltreché nella filosofia greca e, in particola­re, nello Stoicismo, la cui morale converge con non pochi punti della morale e dell’etica cristiana, condivise anche dall’autore delle tessiture. Sicuramente l’anima è la “scin­tilla divina” che è in noi, ma che essa risieda nel DNA , è difficile da accettare; il principio che il DNA possieda la specificità di tutti gli esseri viventi per cui ogni specie e, nell’ambito della specie , ogni individuò è quello che è e non un altro, è ormai scientificamente provato e filosofi­camente accettato anche da chi, come noi, rifiuta l’evolu­zionismo, ma, come si è già detto, nel DNA sono scritti i caratteri fisici della specie e quelli più direttamente eredi­tati dai genitori, ma non l’anima. Pur partendo da posizioni scettiche, dubitando quindi di tutto, non possiamo non accorgerci, come Agostino, che il fatto stesso di dubitare è consapevolezza di esistere, quin­di di conoscere (poiché avvertire di esistere è già cono­scenza) e di volere. Queste consapevolezze: esse, nosse e velie, che distinguono e caratterizzano l’essere umano, sono elementi fondamentali dell’anima, della scintilla divina che è in noi.   L’anima è poliedrica facoltà divina elargita all’uomo non ubicabile in nessuna parte della nostra fisicità.  
L’anima, adoperando ancora una frase di Agostino, ma dando ad essa una valenza semantica diver­sa, possiamo dire che è la veritas quae habitat in interio­re homine, ma insieme ad Agostino possiamo anche dire che in interiore homine habitat veritas, considerando che è facoltà dell’anima ripiegarsi su se stessa e acquisire conoscenza e coscienza del suo esserci e del suo volere.
 
 
da: “Le Muse” , Reggio Calabria, anno VIII,  Ottobre 2009
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