Nota di Tommaso Romano alla silloge "Sicilia Matri" di Maria Nivea Zagarella (Ed. Thule)

Parru cu tia è l’esortazione che ci richiamano le parole poetiche inconfondibili di Ignazio Buttitta, che aprono alla mia riflessione sull’universo lirico della parola-idioma di Maria Nivea Zagarella.

Fra innovazione e tradizione colta, la Zagarella ci riporta come per incanto al mondo piccolo di Guareschi, a Gozzano e a Pascoli, con un timbro della memoria sempre connotato di passione partecipante, di sensazioni che ritroviamo vive nel prodigio di un tempo sacro che si attualizza e rivive sgombro da retoriche di maniera.

Approccio che può apparire nella norma e che, invece, si staglia con autorevolezza di linguaggio e con la forza penetrativa e giammai solo descrittiva. Una data, un luogo, un oggetto del quotidiano, le stagioni, un giorno fausto o un periodo complesso dell’esistenza diventano nella poesia della Zagarella pretesto esistenziale, riflessione filosofica senza la necessità di un sistema ingabbiante e definito. Le immagini della memoria anche dei ricordi unici sullo sfondo identitario e talvolta contradditorio della Sicilia matri, della solarità ma anche della notte nura e niura tessono una sinfonia di cromaticità visionarie, di ironie accennate, di credenza fondata sulla fede propria e dei padri.

Come in un affresco o in un mosaico la Zagarella ricompone con la voce della terra, un arabescato ritorno all’uguale per usare le parole di Nietzsche, che nella fedeltà ai toni pur diversi, entra e vive in relazione allo Spirito, che della natura e delle cose si manifesta in essenza.

 Che il vero mirabilmente sublima.

 

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