Pasquale Hamel, "E la chiamarono Vigata, la Sicilia nel cuore" (Spazio cultura ed.) - di Gaetano Celauro

Con questo piacevole volume Pasquale Hamel , storico di livello , conosciuto e apprezzato con numerosi saggi sul suo curriculum personale, compie adesso un escursione in campo letterario con un ritratto ironico e nostalgico insieme della sua terra di affezione.

Siamo a Porto Empedocle che nel tempo è stata nominata anche Marina e poi Vigata in omaggio al grande suo concittadino, “Nenè” Camilleri che qui visse la sua giovinezza per poi trasferirsi a Roma e divenire poi il celebre scrittore, tradotto in molteplici lingue e conosciuto in tutto il mondo

Pasquale Hamel è scrittore ecclettico, storico “provocatore” come ama definirsi, con visioni critiche verso letture stereotipate di fatti e personaggi storici sovente frettolosamente e superficialmente classificati senza i dovuti e corretti approfondimenti.

“È la chiamarono Vigata”, è un libro che tratta di una città, un modo di essere, ma anche di un mondo, animato da personaggi eccentrici, pirandelliani che hanno destato la sua curiosità e il suo interesse che lo scrittore non ha voluto che cadessero nell’oblio, rappresentando un passato che è sempre presente nei suoi ricordi, nel suo vissuto e ora nella sua scrittura.

Si cita Pirandello allorché così si esprime:

“Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.”

Vi è una raccolta di racconti accattivanti, gustosi ed ironici ad un tempo, in cui si descrivono, non risparmiando gradite e colorite espressioni dialettali, luoghi, persone da lui conosciuti e ambienti vissuti personalmente. Sono divertenti e coloriti aneddoti dove non manca l’espressione dialettale, il “fiorito dialetto giurgintanu” che arricchisce il testo facendo ancor più immergere il lettore nel vissuto di questo piccolo centro.  Porto Empedocle è un posto di mare, che per antonomasia è sempre quello più aperto al nuovo, a conoscenze diverse e ampie e nello specifico dei suoi abitanti caratterizzata da un forte dinamismo e con una borghesia alquanto operosa. Un centro che difetta di quella aristocrazia siciliana, improduttiva, legata al latifondo che ha invece appesantito e rallentato lo sviluppo culturale e sociale di altri centri e di gran parte dell’Isola.

Nell’agile volume vi è una carrellata di figure che vivevano a Porto Empedocle quanto l’autore vi dimorava tra cui si ricorda in particolare il barbiere, il cui salone come in tutti i piccoli centri dell’Isola, era il luogo di socialità di riunioni estemporanee. Ma altre figure sono particolari come quella del pazzo del paese, da intendere come persona svagata con comportanti inconsueti ma del tutto innocenti. Ed ancora tra gli altri, il maestro di numerose generazioni di giovani empedoclini, un personaggio che sembra uscito dalle pagine del libro Cuore di De Amicis, carico, com’era, di quei valori umani che oggi, purtroppo, sembrano perduti.

La terra di Pirandello non poteva peraltro non contemplare personalità, strane, diverse eccentriche, come per un certo verso lo sono stati i suoi più celebri, geniali e rinomati scrittori e intellettuali. Una “diversità” che si qualifica anche come eccellenza per personalità, tempra e forza espressiva dei suoi più grandi e rinomati scrittori quali Sciascia, Bufalino, Tomasi di Lampedusa, De Roberto e tanti altri ancora tutti di rilievo.

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