“Don Licciu Papa” novella di Giovanni Verga – Lettura e commento di Giovanni Teresi

Nella novella torna il tema della giustizia, estremamente legato a quello della roba: la giustizia “è fatta per quelli che hanno da spendere”. La trama si struttura seguendo tre vicende giuridiche: quella di zia Santa, salvata dalla protezione di un barone; quella di compare Vito, brutalmente zittito e privato della sua mula; e quella di Arcangelo Curatoro, cacciato di casa dal Reverendo del primo racconto.

Le galline stavano correndo davanti alle case quando arrivò zio Masi, incaricato dal sindaco di catturare le galline e i maiali che erano in contravvenzione. Come zio masi vide la porcellina di comare Stesa davanti alla porta di casa le mise al collo una fune e la catturò. Comare santa, disperata, tentò di fermarlo ma non ci riuscì; allora, per salvare la sua porcellina diede un calcio a zio Masi che cadde a terra. Le altre donne volevano far la festa a zio Masi per tutte le galline che aveva sulla coscienza, ma, in quel momento, arrivò don Licciu Papa. Don Licciu Papa chiarì subito la situazione: Comare Santa si prese la multa ma non andò in carcere perché il barone aveva visto che zio Masi non portava il cappello con lo stemma del municipio.
Don Licciu Papa si era interessato anche del pignoramento della mula di mastro Vito assieme all’usciere. Quando mastro Vito era stato citato da mastro Venerando per un debito non aveva potuto rispondere, perché non aveva un avvocato. La mula venne venduta e mastro Vito disperato disse che non poteva più lavorare e quindi non avrebbe mai potuto estinguere il debito. Mastro Vito disse male parole verso mastro venerando e se non fosse stato per don Licciu Papa sarebbe andata per il peggio. Un giorno curatolo Arcangelo si mise in causa con il reverendo, consapevole di ciò a cui andava incontro perché il reverendo aveva i migliori avvocati. Il prete, arricchitosi, aveva allargato la casa paterna e voleva costruire la cucina sopra la casa di curatolo Arcangelo; perciò, voleva costringerlo a vendere. Curatolo Arcangelo si rifiutò e il reverendo, per dispetto, gli buttava sul tetto dell’acqua sporca, dicendo che era acqua che serviva per innaffiare i fiori. Curatolo Arcangelo fece venire il giudice e don Licciu Papa ma il reverendo eliminò ogni prova. A furia di spese giudiziarie arcangelo rimase senza un soldo vendette metà casa al reverendo e metà al barone che voleva allargare la dispensa. La figlia di Arcangelo non voleva andarsene ma solo le vicine sapevano il perché. Nina, infatti era solita incontrarsi con un signorino che le abitava di fronte ma non ne voleva sapere di sposarsi; il signorino l’avrebbe mantenuta. Come lo seppe, arcangelo, chiamò don Licciu Papa per convincere la figlia a partire; ma, il giudice, disse che Nina aveva l’età per decidere. Quando Arcangelo vide il signorino gli diede una randellata in testa, ma, dopo che i passanti lo avevano legato accorse don Licciu Papa dicendo: "Largo alla Giustizia". Ad arcangelo venne dato un avvocato che riuscì a farlo condannare a soli 5 anni.
Tutte le storie che si intrecciano in questa novella si ricollegano tutte al problema comune del rapporto tra gli "umili" e la "giustizia": nel caso della zia Santa, quest'ultima vede sottrarsi il suo maialino per il semplice fatto che sostava in mezzo alla strada; nel caso di massaro Vito che si era visto pignorare la sua mula da don Licciu Papa; nel caso poi di curatolo Arcangelo, quest'ultimo doveva subire "l'innaffiamento dei fiori" da parte del Reverendo.

 

Giovanni Verga ci trasporta dentro a un corte siciliana di fine '800, con i contadini che litigano per galline, maiali e asini da pignorare. Don Licciu Papa, una sorta di giudice popolare, interviene nelle liti di paese per risolvere problemi e contrasti. Ma anche lui dovrà fare un passo indietro quando a entrare in campo saranno i ricchi e potenti del paese...
In questa splendida novella Verga ci mostra la complessità della condizione di chi subisce la giustizia come imposizione dall'alto in una società in cui la forza legata al prestigio e alla ricchezza contano più della legge.

 

 

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