“Professione medico¬: Vocazione o una opportunità calcolata?” di Maria Pia Iovino

“Il medico può seppellire i propri errori, ma un architetto
può soltanto suggerire ai propri clienti di piantare dei rampicanti”.
Frank Lloyd Wright
 
 

 

Gli errori di diagnosi sulla patologia del paziente, (con la debita eccezione di salvifici interventi in extremis,  da parte di bravi medici), numerosi casi di malasanità che si verificano in diverse occasioni, come quella di accesso ad un Pronto Soccorso sono innumerevoli e molto frequenti, in tutte le circostanze in cui, malauguratamente, la propria salute viene attaccata da eventi interni del proprio organismo o da sinistri imputabili a fattori esterni.

Ma, sono proprio questi incontri fortuiti che possono determinare la salvezza della propria vita o conseguenze devastanti e senza rimedio, a carico del paziente e dei suoi congiunti!

Quanto appena esposto solleva numerosi interrogativi sulle cause che possono generare effetti domino sulla vita degli assistiti dal sistema sanitario nazionale, per i quali è dato riscontrare diversi step di errori. Sembra, infatti, trattarsi di errori che affondano le proprie radici in vulnus riconducibili in diversi casi, alla figura del medico professionista, altri invece imputabili a fattori di natura organizzativa e di disponibilità di mezzi e risorse, umane in particolare, il tutto sguarnito da una seria attività di controllo e prevenzione di tali fenomeni, responsabili del circuito fatale.

Interrogando la Costituzione italiana, la principale fonte del diritto dello Stato, all’art. 32, co. 1, si trova che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (…)”.

Ricordando che tale previsione normativa si colloca nell’ambito della Parte Prima della Costituzione (Diritti e Doveri dei cittadini), precisamente nel Titolo II dei Rapporti Etico-sociali, è esplicito il riferimento del legislatore costituzionale ad un diritto del cittadino alla salute da un lato ma, al dovere di agire con etica, cioè con  un comportamento dell’uomo (nella fattispecie del medico) e con i mezzi di cui si avvale per conseguire il vero bene del prossimo (il proprio assistito), facendo leva sulla propria morale, sulla sfera quindi, più intima, in cui subentra la coscienza, matura, preparata.

In particolare, chi ci accinge a volere intraprendere gli studi di medicina, si interroghi fino in fondo quali sono le reali motivazioni che spingono un giovane, una giovane a scegliere tale percorso di studi: se di natura baronale, sostenuto da piccoli o grandi intestini appoggi di potere,  a detrimento dei meritevoli senza protettori che li raccomandino, oppure perché rappresenta una professione per la quale sussiste una forte domanda nel mercato del lavoro, o perché magari il mio amico/a ha scelto questa facoltà….

A ridosso di un percorso di studi di scuola secondaria superiore, tanti e tante giovani, infatti, nel tentativo di evitare di cadere in un infinito anno sabatico individuano, complici le innumerevoli iniziative promosse di orientamento scolastico post-diploma, ad indicare la propria preferenza, con le motivazioni più variopinte, sulla facoltà di medicina.

 Sicuri che si tratta della scelta migliore, quella pertinente alle proprie interiori convinzioni, inclinazioni naturali, quelle per le quali si richiede una spiccata capacità di careeing, di ascolto attivo, di pazienza, di amore incondizionato per il paziente, di solida preparazione e competenza?

 

 

Consultando il dizionario, il termine Vocazione, questa espressione deriva dal latino vocatio-onis, indicando una “chiamata, un invito”, quindi, una inclinazione naturale ad adottare e seguire un modo o una condizione di vita, ad esercitare un’arte, una professione, a intraprendere lo studio di una data disciplina (1). Se la vera vocazione è quella del medico, allora è quella di riprodurre, fedelmente, il profilo del medico ideale in cui all’anamnesi deve corrispondere un ascolto attento del proprio assistito, il possesso della scienza (preparazione universalmente riconosciuta non soltanto dai titoli di studio, ma che include competenza, esperienza, conferma dei casi trattati con la letteratura scientifica; assenza di pregiudizi e privilegi, azione, un attento e scrupoloso lavoro di squadra, insieme agli operatori sanitari – infermieri, OSS).

Quanto appena esposto sopra rappresenta il profilo di un medico ideale e personale sanitario che ciascuno di noi vorrebbe incontrare nel percorso della sua vita e di cui, tra l’altro, interviene la legge, con le sue garanzie (vedi art. 32 sopra citato), e il famoso giuramento di Ippocrate a corroborare le nostre legittime aspettative.

Appare opportuno riesumare delle tracce sull’autorevole figura di Ippocrate, per scoprire qualcosa di più sul suo conto per i non addetti ai lavori.  Chi fu Ippocrate? Un medico? Si fu più che un medico. Fu il padre della medicina, filosofo, maestro e pratico, natìo dell’isola di Coo, in Grecia, nell’anno 460.A.C., autore di diverse opere vertenti sul campo medico e fondatore di una scuola,  il quale ebbe il merito di sperimentare la medicina come la si intende oggi, cioè una professione, che pertanto, si staccava dalla concezione pre-cristiana e politeista, allora conosciuta della medicina intesa come dottrina esoterica, avvolta da mistero e in parte riservata, il cui accesso veniva concesso agli adepti che venivano iniziati  al rispettivo studio. Figlio di famiglia aristocratica, il cui padre fu anch’egli medico, Ippocrate volle e riuscì a confutare anche la concezione teurgica della medicina, intesa come pratica religiosa esercitata nella cultura greco-romana, che apportava benefici prodigiosi (2), e diretta ad ottenere miracoli, identificando il suo autore come un essere destinato all’immortalità. (3)

 

 
Forte delle conquiste realizzate, tra cui quella della sconfitta la peste che imperversava in tutto il Paese, Ippocrate dispose che i suoi alunni prestassero un giuramento avanti ad Apollo, allora considerato dio della medicina, assumendo l’impegno di: rispettare i maestri, insegnare la medicina solo a coloro che pronunciavano lo stesso giuramento, senza richiedere compenso economico, visitare i malati e prescrivere le terapie orientate alla loro guarigione, senza che i pazienti fossero sottoposti a violenza, non prescrivere farmaci di fine vita o abortivi, anche se su sollecitazione dagli infermi interessati, a conservare il segreto di quanto appreso, per ragioni di professione.
Il privilegio di questo giuramento, alquanto risalente è quello di vedere confluire alcuni dei suoi principi in codici internazionali odierni di norme etiche per l’esercizio della professione medica. (4) Il giuramento, inteso in chiave moderna, applicata nel nostro ordinamento è stato deliberato dal comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri il 13 giugno 2014 (5).
Dirimente la dichiarazione resa dal giovane medico che viene chiesta prima dell’inizio della sua professione, con la quale egli attesta:
“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:!”
Tra le formule di giuramento e quindi, di dichiarazione ufficiale di impegno deontologico del medico, balzano all’occhio quelle che prevedono l’impegno di perseguire la difesa della vita, di tutelare la salute fisica e psichica del paziente, di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati  ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato; di prestare, in scienza e coscienza, la propria opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione. (6)
 
 

 
 

Magistrale dichiarazione di impegno e traccia di un profilo professionale ineccepibile, neppure da parte delle frange più estreme di valutazione degli Ordini professionali, se non fosse che “vitae docet scribere”.

 Rispetto alle dichiarazioni di principio elevate a corona della vita professionale, non sempre si coglie la massima, “Nulla dies sine linea”, cioè una reale e costante coerenza pratica, a partire dall’aspetto anamnestico personale, a volte approssimativo, con ripercussioni nella diagnosi definitiva e nella conseguente omissione o errori di terapia.

Consideriamo i vulnus che si riscontrano correntemente nei nosocomi in cui affluisce quotidianamente una massa sconfinata di utenti e dalle condizioni psico-fisiche più eterogenee, per le quali entrano in azione una serie di elementi omnicomprensivi per i quali la vita e la sua salvezza si impattano con delle variabili indipendenti rappresentate da: carenza di organico, inesperienza di organico, non sempre affiancato da un numero adeguato di esperti, altissimo turnover dei medici, i quali appunto, si succedono durante il giorno, sopraffatti da nuove e continue emergenze di sinistri stradali, o da pazienti con parametri vitali improvvisamente compromessi, che magari non sono in condizione di collaborare per descrivere accuratamente le proprie condizioni e malesseri fisici, ma per i quali, effettuare, anche nelle ipotesi di sottoposizione a osservazione breve,  o nelle sale operatorie, il passaggio di consegne perché è scaduto il proprio turno,  e con  carteggi che vengono trasmessi al collega del turno successivo, che realmente può compromettere l’esatta diagnosi del povero malcapitato, se questi non fa notare la necessità d ulteriori esami che sconfessano le prime diagnosi elaborate erroneamente da altri medici, con conseguenze le più imprevedibili. Le conclusioni più ovvie e inconfutabili sono quelle di un generale senso di smarrimento e confusione che: per il popolo cristiano conducono ad aggrapparsi  con ardore alle vie della preghiera, della fede e della speranza Viva che non delude e che illumina, mediante e le sacre scritture, lo Spirito Santo e le testimonianze dei veri fedeli. Così al vangelo di Giovanni, in cui si legge:  “Quando verrà lo Spirito Santo, vi guiderà a tutta la Verità” (Gv 16,13); “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Giov. 6,69); “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Vangelo Giov. 13.35);  per gli aspiranti medici e operatori sanitari in generale invece, una revisione del proprio sé e dei propri obiettivi professionali, alla scoperta della vera vocazione stile di vita, considerato che l’esercizio di tale professione non deve essere tradotta in una esclusiva fonte di guadagno posto che investe invece, inesorabilmente la vita altrui, in cui ciascun paziente racchiude un presente, un’identità irripetibile, un passato, una storia, un futuro ancora da scrivere e da  vivere al meglio insieme ai propri cari e che un errore umano, imputabile a negligenza e imprudenza e imperizia professionale non devono determinare il prematuro fine vita o danni  irreparabili (Art. 2043 codice ciivile.c.; Art. 575 codice penale (d’ora in poi, c.p.), art. 583 -ter c.p.; art. 583 –quater c.p.).

 

 

 

  1. Fonte: Treccani
  2. Aa. Pagani e Cristiani. Forme e attestazioni di religiosità del mondo antico, a cura di Paolo Bacchi e Carla Corti, Firenze, all’insegna del Giglio, Firenze 2013
  3. Mouni Sadhu, Magia Teumaturgica: Arte e Scienza dell’Alta Magia, trad. italiana di Marisa Barbieri, Roma, Mediterranee 1992
  4. Fonte. Focus
  5. ^ OMCeO ME - Il codice deontologico
  6. Ordine dei medici di Palermo

 

 

 
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