Profili da Medaglia/7 - "Sergio Boschiero" di Tommaso Romano

Avrei voluto essere al Pantheon di Roma, quel 5 Giugno 2015, per salutare per l’ultima volta Sergio Boschiero (Breganze, 1936 – Colleferro, 2015) avvolto nella sua bandiera di sempre, con al centro la bianca e millenaria croce dei Savoia. Esserci, per rendere profondo tributo all’Uomo, all’Amico, a colui che ha, per più di mezzo secolo, dedicato ogni giorno della sua vita operosa all’ideale della Regalità, alla tenace speranza di una Restaurazione del principio di autorità e di autorevolezza dello Stato, così dissoltisi in settanta anni di Repubblica.

Nenni, il leader socialista, pronunciò nel 1946 la famosa e allarmistica invettiva «O la Repubblica o il caos». Nel 2014, davanti a centinaia di buoni italiani di Sicilia accorsi all’Addaura di Palermo per ascoltare le voci fedeli di Enzo Trantino, Guido Lo Porto, Franco D’Appolito, Michele Pivetti Gagliardi e di colui che ha, con grande fermezza e intelligenza politica, preso con forza e determinazione il testimone di Sergio, Alessandro Sacchi, io volli rispondere che la Repubblica è stata il caos. Anzitutto morale, per il disfacimento dell’identità, per la perdita costante di orgoglio, di sovranità, di missione e di faro civile che l’Italia (anche quando divisa) ha sempre rappresentato, finché le monarchie o le aristocrazie (come a Venezia o a Genova) hanno governato, pur con tutte le umanissime e naturali cadute e inciampi che si possono ascrivere a ogni reggimento politico. Bene! Su questi archetipi ideali si fondò sempre lealmente e liberamente il mio quarantacinquennale rapporto di amicizia con Boschiero. Leale perché, pur sostenendo la portata e la necessità dell’unione italiana nel rispetto delle specificità e diversità, sono stato sempre avverso all’oleografia acritica risorgimentalista. L’Italia poteva – ma questo è il senno di poi, mi rendo ben conto diventare una confederazione o una federazione anche in virtù dell’essere Vicari del Sacro Romano Impero gli stessi Savoia.

Chi parla solo male dei Savoia non conosce nulla della storia e delle figure che l’hanno modellata dinastia tradizionale: da Umberto Biancamano a Eugenio di Savoia, da Vittorio Amedeo II – Re di Sicilia dal 1713 al 1719 – ai tanti Beati, fra cui rifulge la figura di Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie, sposa di Re Ferdinando e madre di Francesco II, ultimo Re delle Due Sicilie (che aveva pertanto sangue e DNA per metà sabaudi!), fino all’ultimo Re cristianissimo Umberto II, che si volle lasciar morire lontano dalla Patria tanto amata, dopo quasi quarant’anni di esilio ingiusto, a fronte sia di un referendum, quello del 1946, che negò ai prigionieri italiani lontani e reclusi in mezzo mondo, ai triestini, istriani e dalmati il diritto di esprimersi, sia di tante ombre sul reale risultato uscito – e sovvertito in una notte – dalle urne. Questo Risorgimento italiano ebbe tante figure di autentici idealisti e altrettante di rivoluzionari sovversivi, che puntarono a usare l’arma dell’unità per distruggere poi – com’è avvenuto – la monarchia stessa, la religione, la patria e la stessa Famiglia. Perché le rivoluzioni ribaltano l’ordine tradizionale per imporre le utopie che grondano sangue. Di questo ho parlato in tante occasioni e in molti miei libri, affermando sempre, peraltro, che la legittimità del Regno d’Italia si cementò umanamente sul fronte della prima guerra mondiale e, metapoliticamente e spiritualmente, nel 1929, con i Patti Lateranensi. Tutto ciò fu oggetto – fin dalla prima volta che incontrai personalmente Boschiero e con lui francamente conversai a Roma, nella sede dell’Unione Monarchica Italiana a Palazzo Tittoni in via Rasella (dove conobbi pure il Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero) – del mio essere uomo della tradizione e, quindi, cattolico non clericale, monarchico e militante del fronte identitario e dei valori perenni di tutta la storia italiana, senza ipocrite cesure e parentesi, da Roma ai nostri giorni, insomma. E su questi ideali e prassi di attivo impegno – con tanti errori, ma sempre in coscienza, in buona e sicura fede – mi sono misurato nella mia esistenza.

Boschiero, di acume non comune, capiva e, in non pochi casi, condivise tante tesi controrivoluzionarie e tradizionali. Anzi, fu fra i più fattivi e conseguenti – fra tanti belatori di un certo mondo, senza alcun seguito né credibilità – ad organizzare nel 1988-’89 il Comitato per le Controcelebrazioni della Rivoluzione Francese, da tanti sostenuto e con una grande manifestazione pure a Palermo (e qui vanno ricordati vecchi amici, alcuni scomparsi, come Paolino Di Stefano, Giovanni D’Espinosa, Gioacchino Arcuri, Giuseppe Sunseri, Nino Montemagno Grifeo, Lucia Artale di Collalto, Lidia Buccellato, Giuliano Ruggieri, Andrea Ingrassia, Giovanna Trigona di S. Elia Albanese, Giuseppe Tricoli, Franco Arcudi, insieme ai felicemente viventi Francesco Notarbartolo di Sciara e Castelreale, Francesco Aronadio, Alberto Maira, Francesco Muscolino Emanuele di Belforte, Giulio Tramontana, Fabio Scannapieco Capece di Collereale).

Boschiero, ancora una volta, fu il protagonista assoluto di quell’anno, passato a girare senza posa l’Italia intera, per smascherare le menzogne storiche sui Re e l’Ancien Régime, per dimostrare che a una civiltà si era sostituita la barbarie dell’odio, della ghigliottina, del terrore, che avevano funzionato anche per gli stessi rivoluzionari, per dimostrare che la “presa” della Bastiglia (quasi vuota, ma lo ricordano in pochi) non fu un moto di popolo e che, invece, in Vandea si rivendicò in armi l’onore perduto.

Boschiero era un grande retore, ma non un sofista.

Le sue scelte più importanti, oltre quella ricordata, riguardarono altri momenti qualificanti del monarchismo italiano e valgono come memoria imperitura. Infatti, lucidamente, Boschiero fu ideatore e splendido realizzatore delle più significative azioni, simboliche e politiche insieme, della divergenza monarchica dopo il 1946. Doverosamente e con affetto, preliminarmente ricorderò, in tale frangente, quanto Gianfranco Alliata di Montereale fece altrettanto nel primo dopoguerra, compiendo un atto rilevante: il non giurare, nella neonata Assemblea Regionale Siciliana di cui per largo mandato elettivo fece parte, fedeltà alla Repubblica quanto piuttosto alla Nazione e, ancora, con lo strappare la scheda, platealmente, a Camere riunite per l’elezione del Presidente della Repubblica, dicendo che un monarchico non poteva votare un repubblicano.

Boschiero, come si accennava, oltre al quotidiano impegno (lo conobbi quando era ancora funzionario nella Direzione Centrale del Banco di S. Spirito), ideò alcune eclatanti proteste di disobbedienza civile (in questo fu poi seguito, nel metodo, dal suo vecchio amico Pannella, che era stato monarchico in gioventù e che sempre e comunque se ne ricordò, anche intervenendo nei congressi dell’UMI), come il volo su Napoli del principe Vittorio Emanuele, con strepitoso concorso di folla, e le manifestazioni giovanili per l’italianità di Trieste, Venezia Giulia, Dalmazia, Istria. E poi ancora, il pubblico sostegno, con un grande comizio – di cui personalmente ricordo l’entusiasmo per avervi attivamente partecipato – alla storica rivolta di Reggio Calabria, autenticamente antisistema, assieme a Ciccio Franco e Natino Aloi. Lo si ricorda anche per i molti suoi richiami sui brogli al Referendum e le conseguenti e persistenti dichiarazioni sull’illegittimità – non solo giuridica ma anche morale – della Repubblica, fin quasi al vilipendio, nonché per le costanti battaglie contro l’articolo 139 della Costituzione, che proclama – in spregio ad ogni elementare diritto umano di scelta – l’eternità della Repubblica e l’assoluta non modificabilità dell’assetto istituzionale della stessa, neppure mediante referendum. Battaglia ora ampiamente ripresa da Alessandro Sacchi. E, infine, per: la campagna – anche attraverso parlamentari coraggiosi iscritti all’UMI (quasi tutti di destra e/o provenienti dal PLI, dalla DC e dai Partiti Monarchici) – volta all’abrogazione dell’esilio perpetuo per i maschi di Casa Savoia; la lunga, non ancora risolta, rivendicazione per il diritto di sepoltura al Pantheon dei Reali; e per mille altre imprese, che attendono non solo fiori o necrologi, ma storie sul monarchismo in tempo di repubblica e biografie organiche anche su di lui e sulla sua azione, contestualizzate, libere, imparziali e documentate.

Coraggioso, Boschiero, lo fu anche in altre occasioni, poco ricordate da chi è abituato a commemorare solo i morti e non solo le idee: il sostegno dato ai giovani del Fronte Monarchico Giovanile impegnati a rilanciare, da Monteombraro, nel 1971-73, le tesi della tradizione e della Controrivoluzione (chi scrive partecipò a uno di questi Convegni nel 1973) e animati da un infervorato e determinato drappello, poi in parte confluito in Alleanza Cattolica di Giovanni Cantoni, riunitosi intorno alla rivistina “Monarchia”, con direttore Francesco Perfetti, oggi fra i massimi storici italiani, e che ebbe come esponenti: Paride Casini, Renato Cirelli, Giulio Guerra, Mario Gallotta, Francesco Maurizio Di Giovine, Ermanno Pavesi, capaci di rivendicare la Monarchia sacrale, organica, rappresentativa, tradizionale e cristiana, negli anni Settanta del XX secolo. Alcune di quelle classiche tesi (frutto della scuola di de Maistre, Donoso Cortes, Clemente Solaro della Margarita, Maurras, Thibon, Ousset, Correa de Oliveira) furono da me rielaborate nel mio Manifesto Tradizional Monarchico, del 1979, che Sergio condivise. Altro gran merito di Boschiero fu, appunto, quello di aver saputo coltivare e far prosperare una classe dirigente monarchica, soprattutto giovanile da cui, specie a Roma, si formarono e vado solo a memoria Antonio Tajani (oggi Presidente del Parlamento Europeo), Fabio Torriero, Antonio Maulu, Antonio Parisi, Massimo de Leonardis, Giulio Tarò, Berardo Tassoni, Domenico De Napoli (storico del movimento monarchico, troppo presto scomparso), Luigi Marucci, Ugo d’Atri, Marco Clarke, Antonio Ratti, Alessandro Mella, Franco Sausa, Salvatore Sfrecola, Fernando Crociani Baglioni, Maurizio Ceccotti, Marco D’Innocenzo, Antonio Galano, Costantino Lucatelli, Marco Fabrizio, Gianluigi Chiaserotti, Gaetano Festa, Camillo Zuccoli, Ettore Laugeni, Matteo Cornelius Sullivan e tanti altri, su cui il benemerito Giovanni Semerano, che è stato Segretario Generale dell’UMI, ha scritto e ricordato nei suoi inconfondibili libri, l’ultimo dei quali è proprio dedicato all’UMI e alla sua lunga storia.

Questa classe dirigente e parecchi di questi giovani intellettuali si ritrovarono in seguito a collaborare, con la guida di Boschiero, nelle sue più importanti realizzazioni editoriali, l’Agenzia FERT (fondata da Mario Pucci, pure sodale di Silvano Panunzio) e “Monarchica Oggi”, le quali così ripresero, ampliandone le prospettive nel più articolato dibattito socio-politico, lo spirito di altre storiche testate dell’ambiente monarchico – a cominciare da “Monarchia”, rivista degli anni cinquanta diretta da Guido Cavallucci e a cui pure collaborò Evola, “La Mole” di Torino, “Il Regno d’Italia”, “Tribuna Monarchica” di Orio Valdonio a Milano, “Voce Nuova” di Teramo, “Tribuna Politica” a Napoli con Carlo Antonio del Papa e, a Palermo, con Franco Sausa – e di tanti altri fogli associativi e di opinione. Due testate concepite e realizzate senza grandi mezzi, ma agili, leggibili, efficaci nelle analisi, nella polemica e nella necessità della rivendicazione della memoria storica; anch’esse tramiti indispensabili per grandi battaglie come quelle che sempre Boschiero condusse contro il comunismo reale, appoggiando i dissidenti sovietici (quali Sinjavskij e Vagin), e a sostegno dell’Europa delle Patrie e della Paneuropa di Otto d’Asburgo (a proposito del quale pubblicai la prima biografia italiana a firma di Bruno Zoratto, esponente dell’emigrazione italiana a Stoccarda e, insieme a Mirko Tremaglia, padre del conquistato diritto di voto degl’italiani all’estero, dopo decenni di conflitti).

Boschiero diede vita, con i monarchici di mezza Europa, all’Internazionale Monarchica che, specie con l’instaurazione in Spagna, voluta da Francisco Franco, e per merito di Juan Carlos I, che molto tempo prima si era autoproclamato Reggente, registrò momenti pubblici di successo (a Palermo, grazie a Sausa insieme a tutta la classe dirigente siciliana, da Di Stefano ad Hardouin di Belmonte, fu proiettato al cinema “Smeraldo” il filmato dell’incoronazione del nuovo Sovrano, conclusosi con un vibrante intervento di Sergio. Ebbi onore e modo d’incontrare il Re Juan Carlos per un’intera mattinata monrealese, in veste istituzionale quale Assessore Provinciale della Cultura, nel 1998). Boschiero – senza essere un imparruccato cortigiano, come poi dimostrò sul difficile terreno del problema dinastico – fu vicino a Re Umberto quanto lo fu Lucifero, dimostrando, con i fatti, che il monarchismo non poteva essere un semplice nostalgismo.

Intendiamoci: chi scrive sostiene la necessità e il valore della memoria e pure della nostalgia (sulla mia giovinezza e formazione, così come sulla militanza giovanile monarchica e di destra, ho scritto il lungo racconto Tempo dorato, edito da Qanat, dal titolo Raccontare è raccontarsi), ma da labari e sepolture si deve cogliere alimento e spirito, non un celebralismo sterile e incapacitante. Fra le tante prove di Boschiero di fedeltà al Re e per un’attualizzazione della Monarchia (un famoso manifesto dell’UMI, voluto da Sergio, così efficacemente riassumeva: «Guardati intorno, la Monarchia è migliore») vi fu certamente il grande raduno al confine francese a due passi dall’Italia, a Balieu sur Mer, il 4 giugno 1978. Manifestazione di popolo e di giovani, veramente indimenticabile, scritta a caratteri d’oro anche per chi, come me, vi partecipò. grande regista e sempre splendido oratore fu Sergio Boschiero, oltre alle nobili parole pronunciate dal Re. Aveva al suo fianco, come le fotografie dell’epoca dimostrano, Mario Attilio Levi il grande storico dell’antichità, l’Ammiraglio Antonino Cocco e Antonio Maulu.

Venne la morte del Re, il quale aveva incarnato, come pochi Sovrani, il senso mistico della regalità. Imponenti i funerali organizzati ad Hautcombe, in Francia, dall’Italia di Boschiero e dall’UMI.

Si aprì, da lì a poco, la questione della continuità dinastica e, per Boschiero e per molti di noi, furono anni difficili, per riconoscere appieno l’incarnazione del principio di legittimità espresso nella legge salica e nelle leggi della famiglia Reale, mai abrogate o abrogabili se non da un Re.

Avevo deciso, con i miei Amici del Raggruppamento Cattolico Tradizional Monarchico, a cominciare da Oxilia, Lessona, Renzo dè Vidovich i Trieste, Cucentrentoli, Colabella, Luigi Cartei e Filippo Ortenzi – il quale, per la verità, fu l’unico a votare contro – di confluire nell’UMI di Boschiero, per serrare le fila, in un momento di decisioni non facili e che, onestamente, vide l’indecisione di tanti, Boschiero e me compresi.

Devo, per onestà, aggiungere che io ritengo la Corona come simbolo e il valore della Regalità al di sopra dei singoli Principi, perché la Monarchia è un sistema piramidale, di mistica dello Stato e di architettura virtuosa di valori, non il contrario. Per molto tempo fui volutamente quasi agnostico intorno alla questione legittimista sabauda, legata ai pretendenti di un trono che mi appariva così lontano da riconquistare. E, poi, la mia formazione tradizionalista molto risentiva e risente del concetto fondante tratto dalla dottrina carlista, cioè a dire, che alla legittimità d’origine bisogna sempre valutare quella d’esercizio.

Dicevo delle difficoltà e tentennamenti attraversati dallo stesso Boschiero: fra il diritto vantato per eredità dal ramo Savoia e quello per le leggi di casa Savoia per discendenza dei Savoia-Aosta.

Anch’io, del resto, nutrivo i medesimi dubbi ed ebbi pure modo d’incontrare personalmente, a Palermo, Vittorio Emanuele e suo figlio, in particolare a una manifestazione presso la sede di Corso Calatafimi, voluta da Sausa, che peraltro ha non pochi meriti che volentieri gli riconosco, malgrado le scelte diverse e dirimenti, basate sull’assunto secondo cui, per lui, è automatico il passaggio da padre in figlio nella titolarità dinastica. Le norme, invece, ricordate sempre dallo stesso Re, sono più forti e cogenti – sul piano del Diritto e della Tradizione – dei legami di sangue.

Boschiero si separò temporaneamente dall’UMI e fondò il Movimento Monarchico FERT, con rinnovato slancio e attivismo, e mi volle al suo fianco come vicesegretario nazionale. Nacquero pure i Club Reali.

In quel periodo Boschiero, dopo il congresso del MSI-DN di Sorrento del 1987, si avvicinò alla Destra partitica e vi aderì. Fu pure esponente della CISNAL Credito. Non si comprende il motivo perché tale avvenimento della storia personale e politica di Boschiero viene dimenticato, obliato, quasi come una macchia, da chi lo ricorda.

Anch’io e il mio gruppo nazionale, proprio con una Dichiarazione-Manifesto sul “Secolo d’Italia”, allora nel 1987, denominata “Tradizionalismo popolare” (che segnò il mio ritorno alla politica attiva), salutai e appoggiai questa decisione di Sergio, che era stata sostenuta e attuata da quel tessitore abilissimo e astuto che fu il mio Amico Pinuccio Tatarella, il Vicepresidente del Consiglio nel 1994, detto “dell’Armonia”, anch’egli presto scomparso. Boschiero entrò nel Comitato Centrale e fu nominato Vicepresidente del Consiglio Nazionale del Lavoro, un organismo del MSI. Partecipò inoltre alle elezioni comunali romane (n. 15 di lista) e gli organizzai, nella capitale, una pubblica manifestazione di sostegno, ripresa da Radio Radicale, con il fondamentale apporto di Fabio Torriero, scrittore e giornalista, autore di un bel saggio sui monarchici francesi della NAR, da me edito. Non ebbe però il successo sperato quella candidatura. Boschiero rimase qualche altro anno nel MSI-DN, partecipò a Sibari al Convegno Nazionale di Tradizionalismo Popolare e fu da noi insignito con il Premio Carlo Alianello; ma poi si distaccò dall’attività di partito. Mai comunque con il FERT aveva lasciato, ovviamente, quella più squisitamente monarchica.

Più volte fui accanto a Boschiero e, in seguito, anche più doverosamente, da Assessore e Vicepresidente della Provincia, ricevendo in via ufficiale Sergio di Jugoslavia e i Principi Amedeo e Silvia di Savoia-Aosta.

Gli esiti della controversia fra i due rami Savoia (contrasti che non risparmiano altre dinastie senza trono, come i Borbone Due Sicilie, i Borbone e gli Orléans di Francia, gli stessi spagnoli con i Carlisti) si sono risolti senza mediazioni con due pretendenti, appunto: Vittorio Emanuele ed Amedeo, con propri e rispettivi ordinamenti e Case, due Consulte del Senato del Regno, Ordini cavallereschi diversificati, organizzazioni politiche e lealiste differenti e spesso antagoniste.

Anche questo è un segno dei tempi.

Boschiero tornò al timone dell’UMI nel 2000 come Segretario Generale (Gian Nicola Amoretti, da poco scomparso, era allora il Presidente, che riconosceva il Principe Amedeo quale legittimo successore e pretendente) e concluse la sua fervida esperienza quale Presidente onorario, acclamato dal Congresso. Per il 70° dell’UMI venne premiato a Roma con la Medaglia d’Oro della Fedeltà, prima soltanto concessa agli eroici martiri napoletani del 1946 di via Medina, uccisi per fedeltà al Re. Fu l’ultima occasione d’incontro che ebbi con lui e l’indimenticabile possibilità di lunghe chiacchierate e rievocazioni delle comuni esperienze e battaglie, con un velo di poetico sentimentalismo da parte di entrambi.

Ero, infatti, rientrato anch’io alla Casa Madre dell’UMI, come da tempo mi aveva sollecitato amichevolmente Sergio, e ora vi appartengo, un po’ da padre nobile, sostenendo la generosità non rassegnata degli Amici palermitani, specie D’Appolito e Pivetti Gagliardi, ed essendo stato chiamato dalla Consulta dei Senatori del Regno presieduta dal grande storico Aldo A. Mola, con segretario Gianni Stefano Cuttica , di cui sono onorato di far parte e per cui presiedo la Commissione Cultura Politica e Istituzionale. Con realismo e con pochi sogni e illusioni. Forse, molti di più ne nutrì, fino alla fine terrena (assistito già da anni da Davide Colombo), il mio amico indimenticabile Sergio Boschiero.

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