Pubblichiamo la prefazione di Ignazio E. Buttitta a “Io… Rosalia e altri cunti” (Ed. Thule) di Serena Lao

Sugnu la cantastorie siciliana.

Una nota sulla poetica di Serena Lao

 

I sette poemetti ora raccolti in volume da Serena Lao, donna di cui ancor prima delle indiscusse doti artistiche vanno riconosciute e ammirate le qualità umane (la sincerità, la generosità, il coraggio, la determinazione), costituiscono insieme una affermazione e una testimonianza, un segno dell’esserci oggi e del voler essere domani, un regalo a se stessa e un dono per la sua comunità, per noi tutti che ne abbiamo seguito il talora tribolato percorso e per coloro che vorranno conoscerne la storia e le opere, o meglio, la storia attraverso le opere.

Serena, infatti, è autenticamente nei personaggi e nei paesaggi che canta o racconta, nelle sue poesie e narrazioni dove autobiografia e autoanalisi si compenetrano inestricabilmente, dove l’io si fa l’altro (santo o ladruncolo, uomo o pupo) senza mai diluire la sua cosciente identità. Può dirsi, pertanto, che Serena Lao rifugga consapevolmente da ogni astratta spersonalizzazione e richiami, piuttosto, temi, figure e scenari concreti che rispondono al suo essere e al suo voler essere. Ed è questa sofferta opzione poetica, che risponde alla sua irrinunciabile tensione all’impegno civile, a rendere la Lao la cantrice più autentica e appassionata di una Città complessa e ossimorica, dove bene e male, bellezze e orrori, purezza e sozzura convivono fianco a fianco.

A ragione, dunque, l’Autrice, aprendo le sue composizioni, si definisce Cantastorie, perché di questa figura senza tempo interpreta pienamente lo spirito, la schiettezza, l’audacia, la varietà dei temi e dei linguaggi, il frammischiarsi di toni cupi e colori accesi che mai turbano la nettezza del tratto. Ed è cantastorie del presente e del passato, del sacro (il Cristo, santa Rosalia, san Francesco d’Assisi) e del profano (il mercato di Ballarò brulicante di vita, i tormentati tipi umani di Casa Professa,  un Pinocchio rivisitato), delle passioni e delle tragedie, delle gioie e dei dolori, della lingua di oggi e di ieri, ora proponendo espressioni tutt’oggi in uso ora sapientemente recuperando, senza veruna ricerca filologica piuttosto attingendo alla memoria e restituendocelo come cosa viva, un lessico ormai desueto (così i sostantivi: ciùsciu, mattana, nurrizza, negghi, antìcchia, fadali, addabbanna, vacchignarìa, firnicìa; così gli aggettivi: sbirticchiatu, alluccutu, ’nguttumatu, mutriatu, astutatu, ammunziddatu,’ngrasciatu, arrascagnusu, stillinchiusu, jimmurutu;  così i verbi: vurricari, catamiari, pipitiari, taliari, firriari, allappari, ammalucchiri, abbanniari, ’ncucchiari, annagghiari, picchiuliari, accattari, stinnicchiari, ammuinari, allianari). E con le antiche parole tornano e vengono attualizzati scenari, temi e motivi folklorici - il miracolo, il contrasto, il garofano rosso che annunzia l’arrivo del tonno, “il santo vendicativo”, “il lupo mannaro”, “il sogno rivelatore” - raccolti dal ricordo e dall’osservazione diretta. Ora etnografa ora agiografa, Serena Lao racconta così nel suo incalzante verseggiare la viva umanità della sua Città e insieme ad essa, sulla scorta degli Orbi e dei Triunfi, il sacro totem identitario che la riunisce nel culto: ciascuno per sé, tutti per Santa Rosalia!

Se Ignazio Buttitta, il poeta di Bagheria, avvertì l’urgenza di affermare “nun sugna poeta” per dire della necessità di una poesia impegnata e attenta ai drammi del singolo e della società e, dinanzi al naufragio delle parlate siciliane (che non importa se si voglion definire “lingua” o “dialetto”) che “un populu è persu pi sempri quannu ci arrubbanu a lingua addutata di patri”, per certo, grazie a Serena Lao e a pochi altri sinceri interpreti, possiamo dire che da un lato questa urgenza si è efficacemente rinnovata, dall’altro che il pericolo della perdita della “lingua dei padri”, cioè della loro cultura, pare, almeno per ora, scongiurato.

A Serena Lao va, dunque, insieme alla mia gratitudine per avermi donato il piacere di presentare il suo nuovo lavoro, il nostro riconoscimento per il diuturno impegno nel rinnovare, attualizzare e trasmettere le parole e le storie che ci fanno comunità e nel denunziare, per risolverle, le miserie e le storture della nostra quotidianità. Tutto questo a vantaggio tanto nostro quanto, fatto assai più rilevante, delle più giovani generazioni.

 

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