Pubblichiamo la prefazione di Pasquale Hamel a "Libersingolarità - Trenta aforismi antigreppia" di Tommaso Romano (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo)

Il dizionario Treccani definisce l’aforisma, termine che deriva dal greco ἀϕορισμός, una “proposizione che riassume in brevi e sentenziose parole il risultato di precedenti osservazioni o che, più genericamente, afferma una verità, una regola o una massima di vita pratica”.

Credo, con buona pace del grande dizionario citato, che la definizione più azzeccata l’abbia data uno degli intellettuali più lucidi e tormentati del primo novecento, parlo di Giovanni Papini il quale, a questo proposito, individua nell’aforisma “una verità detta in poche parole - epperò detta in modo da stupire più di una menzogna.”

Dunque, un contenuto di verità che, per la sua evidenza, non ha bisogno di lunghi discorsi, di parole alate, ma di poche ed incisive battute. Un’evidenza che, paradossalmente - per la sua quasi banale chiarezza - anche se sotto gli occhi di tutti, non viene colta dai più, e proprio per questo stesso motivo stupisce il lettore che, con un po’ più di riflessione o applicazione ci sarebbe potuto arrivare da solo. Il fatto è che la sintesi, l’uso della parola da collocare al posto giusto e, si potrebbe anche dire, al momento giusto, non è una dote che appartiene a tutti anzi, è dote rara, propria di chi ha la capacità di intuire e di tradurre la stessa intuizione in un messaggio, stringato ma, pur sempre esaustivo.

Sicuramente si può dire tale dote appartiene a chi possiede la più importante di quelle che Aristotele definiva virtù dianoetiche, mi riferisco alla saggezza, che si traduce in un farsi guidare dal buonsenso e, allo stesso tempo, di godere del privilegio della libertà.

Essere saggi oggi - in un mondo in cui le sollecitazioni materiali, che sono tante e manifestano capacità seduttive non indifferenti e perfino difficili da arginare, e troppo spesso distolgono dalla “verità” - è molto difficile e problematico e richiede un impegno costante che unisce il sapere, l’esperienza e un perfetto equilibrio interiore. In poche parole, un cammino che solo poche menti elette riescono a percorrere fino in fondo per poi, raggiunta l’agognata meta, goderne i naturali benefici.

Tommaso Romano, l’autore di questi aforismi, lo conosco ormai da decenni, da quando un comune e compianto amico, parlo del filosofo Giovanni d’Espinosa, ebbe la felice idea di farci conoscere ma la nostra conoscenza (e con essa la stima) - alimentata da frequenti e significativi scambi di esperienze culturali - è soprattutto cresciuta in questi ultimi decenni che ci hanno visti anche accomunati da un certo disincanto rispetto ad una realtà che – purtroppo per noi tutti - appare appagata da superficialità e da luoghi comuni che certe narrazioni, mai contraddette, hanno imposto nell’immaginario collettivo. Infatti, insieme, con gli strumenti di cui disponiamo, ma con la determinazione di chi ha forti riferimenti valoriali e pratica un’intransigenza tanto ostile al conformismo quanto attenta all’autonomia del pensiero, combattiamo una difficile battaglia contro quella moda, lanciata dalla sinistra americana, che viene sintetizzata nella definizione politically correct. 

Dare il nome agli uomini e alle cose, nel senso biblico, significa conoscerle e riconoscerle, il politically correct, che è una forma di dogmatismo, sempre più distruttivo del pensiero liberale, sconvolge i nomi, ne corrompe il senso per tradirne il significato intimo mortificandone la conoscenza.

Una battaglia, quella di Tommaso e mia, condotta da piccoli Davide contro quello che è diventato, un talora brutale talora fraudolentemente accattivante, gigante Golia.

In questa battaglia, gli aforismi, come perle di sapienza e saggezza, diventano un’arma raffinata ma decisiva per diradare i vapori mefitici che rendono nebulosa la nostra conoscenza o che inducono, per non essere emarginati, comportamenti meramente perbenisti.

E degli aforismi, Romano ne sa fare un uso adeguato, costringendo il lettore a riflettere, a porsi quelle domande sull’uomo e il suo destino, sul valore della cultura, sul mondo che ci circonda, sulla libertà e i suoi limiti, sulle strutture che ci governano, che troppo spesso per pigrizia mentale o per l’imbonimento massmediale, lo stesso non si pone.

Non si tratta quindi di un’esercitazione sofisticata ed infarcita di preziosismi culturali, magari proposti con la supponenza di chi immagina di possedere non una verità ma la verità stessa, ma di stimoli pedagogici utili anche ad aprire la mente e realizzare spazi di discussione sempre più ampi e oggi, più di ieri, necessari.

Si tratta di piccoli segnali che compongono una guida in questo “tragitto della vita” in cui, come scriveva Pirandello, si incontrano “tante maschere e pochi volti”.

 

 

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