Quanti “libri neri” servono per equiparare il socialcomunismo al nazismo? - di Domenico Bonvegna

Riprendere a scrivere dopo le vacanze estive è sempre una fatica, anche quest’anno lo è stato. Ho appena completato la lettura del “Libro Nero del comunismo europeo”, sottotitolo: “Crimini, terrore, repressione”, pubblicato da Mondadori, nel 2006, da non confondere con il precedente Libro Nero, pubblicato otto anni prima. Anche quest’opera collettiva come la precedente è curata da Stephane Courtois, approfondisce e completa l’indispensabile lavoro di bilancio e di analisi inaugurato nel 1997, prendendo in considerazione i crimini del comunismo in Europa.

In quest’opera hanno collaborato diversi storici, studiosi, che mettono in luce tragedie che troppo spesso sono state sottovalutate o deliberatamente ignorate. Il libro risponde a uno sconcertante interrogativo: nonostante i fallimenti e le tragedie che ha provocato e continua ancora oggi a provocare, come mai ancora il comunismo possa rappresentare per moltissime persone un ideale di giustizia e di progresso.

Il testo si divide in tre parti: 1. L’Europa dopo il Muro; 2. All’Est; 3. all’Ovest. L’opera fa riferimento ad una nutrita bibliografia di storici e studiosi importanti, tra i quali figurano: Francois Furet, Robert Conquest, Nicolas Werth, Annie Kriegel, Ernst Nolte, Alain de Benoist, Horst Moller, Jacque Rossi, Victor Zaslavsky, Hannah Arendt, Gheorghe Boldur-Latescu, Anne Appelbaum, Arrigo Petacco, Gianni Oliva.

Nei quattro capitoli della prima parte, inizia Courtois (Del passato facciam tabula rasa), affrontando l’implosione del sistema comunista, dopo settantaquattro anni di potere assoluto.

In pochi anni rapidamente il paesaggio del comunismo europeo è stato sconvolto, un “terremoto politico che ha radicalmente modificato le condizioni in cui gli specialisti e l’opinione pubblica percepivano il comunismo si sentirebbero sperduti e spaventati al tempo stesso”. Nel passato il clima in cui operavano i ricercatori, gli studiosi, del comunismo sovietico e del fenomeno rivoluzionario, non era facile. Lo hanno raccontato Francois Furet e Martin Malia. Nei Paesi dell’Europa occidentale, in particolare in Francia, i giornalisti, “i ricercatori indipendenti e quelli universitari vivevano in clima caratterizzato dalla pretesa superiorità ‘umanistica’ e morale del comunismo, dalla sua pretesa superiorità storica sul fascismo e sulla democrazia ‘colonialista e imperialista’, della sua pretesa superiorità economica e sociale sull’economia di mercato”. Sostanzialmente i comunisti detenevano il potere in molte istituzioni, università, ricerca, editoria, media. Questo avveniva soprattutto in Francia, in Italia. Per certi versi avviene ancora oggi. Pertanto, chi non era allineato con il potere, era bersaglio di ritorsioni spesso feroci. “Per vent’anni, Francois Furet è stato ostracizzato dai suoi colleghi comunisti che controllavano il nucleo degli studi sulla Rivoluzione francese, in quanto, per gli adulatori del mito della rivoluzione portatrice unicamente di diritti dell’uomo e del cittadino, l’analisi della sua duplice natura – democratica e protototalitaria – era scorretta”.

Tra i tanti aspetti interessanti dello studio di Courtois, segnalo la comparazione della Rivoluzione francese con quella bolscevica di Courtois. Inoltre, lo studioso francese, fa emergere come la Prima guerra mondiale ha generato due figli: il bolscevismo e il fascismo, in particolare quello radicale di Hitler. Nel testo viene introdotto la nozione di totalitarismo e di guerra civile europea, con riferimento allo storico tedesco Ernst Nolte. Infatti, lo storico tedesco presenta, “il conflitto tra comunismo e nazismo come la continuazione, sotto altra forma, della guerra civile scoppiata in Europa nel 1914”. Courtois, sempre citando Furet e il suo celebre libro, “Passato di un’illusione”, sottolinea la valutazione dell’antifascismo, presentato dai comunisti, “per decenni come un vasto movimento mondiale spontaneo, grandioso e meraviglioso, tanto da assurgere ad affascinante mito della sinistra. Un mito che ha permesso ai comunisti di rientrare nell’ordine democratico e di monopolizzare persino l’idea democratica, riuscendo a separare il liberalismo dalla democrazia; di diventare, cioè, un valore obbligatorio per i democratici, mentre l’anticomunismo veniva stigmatizzato”.

I ‘Urss con la vittoria della guerra insieme alle forze alleate, trasforma ipso facto l’immagine dittatoriale, di regime, ovvero totalitaria, che aveva prima, (si veda il patto Ribbentrop-Molotov del 1939) in immagine democratica e progressista. Pertanto, secondo Courtois, “l’antifascismo inizia così una seconda carriera, molto più intensa, brillante e duratura, che a tutt’oggi costituisce una delle principali argomentazioni politiche della sinistra e dell’estrema sinistra”.

Il crollo del comunismo ha provocato una rivoluzione documentale, contraddistinta dall’apertura degli archivi e al tempo stesso, il recupero della libertà di parola dei testimoni, che fino a quel momento si attenevano al “segreto di partito”.

Oggi gli studiosi possono avvalersi di molti contributi documentali per scrivere la storia del comunismo. Courtois fa diversi esempi, come il protocollo segreto aggiuntivo al patto tedesco-sovietico del 23 agosto 1939. È stata persino ritrovata la mappa nella quale gli alleati nazisti e sovietici avevano tracciato la linea di suddivisione dell’Europa dell’Est. E poi ancora l’ordine del 5 marzo 1940, che imponeva l’uccisione di 25.700 ufficiali e responsabili polacchi, firmato da tutti i membri del Politburo sovietico, è uscito nel 1992 dalla sua busta sigillata, trasmesso da Boris Eltsin a Lech Walesa.

A partire dal 1994 sono stati pubblicati molti lavori basati sugli archivi di Mosca, di Praga e altri Paesi ex comunisti. Adesso innumerevoli rapporti, direttive, resoconti e messaggi radio, sono stati resi accessibili alla luce del sole e soprattutto nella loro interezza. Ciò che era “segreto di partito”, ha cominciato a riemergere. Anche se non tutti gli archivi sono accessibili, naturalmente ancora rimangono off limits, quelli della Cina, Corea del Nord, Cuba, Vietnam.

Certamente una buona mano alla revisione storica e Courtois lo evidenzia, è stata indubbiamente la pubblicazione del Libro Nero del comunismo, il 7 novembre 1997. Tra le tante dimensioni il Libro ha inteso rilevare quella criminale del comunismo, in primo luogo gli omicidi diretti. A questo ha contribuito, Orlando Figes, con il suo libro La tragedia di un popolo: la rivoluzione russa” (Corbaccio, 1997). Figes ripercorre i giorni e le settimane che seguirono al colpo di stato bolscevico, durante i quali molti, delinquenti rimessi in libertà, soldati disertori, plebaglia, seguendo l’ordine di Lenin, “rubate ai ladri”, con una violenza selvaggia, hanno devastato, saccheggiato, rubato, uccidendo. Analizzando i cinque anni successivi, Figes, sostiene che i bolscevichi, praticarono il terrore di massa sistematico contro tutti i nemici, veri o presunti. Nel Libro Nero, poi Nicolas Wert ha ripercorso minuziosamente tutti i massacri dei bolscevichi, a cominciare dei cosiddetti, “bianchi”, dei Kulak, fino al genocidio di classe dei Cosacchi del Don.

Sono tanti i fenomeni di terrore esaminati da Courtois, a cominciare dai campi di concentramento aperti nell’estate del 1918 da Lenin e da Trockij, luoghi di sterminio per eliminare i nemici di classe. Successivamente trasformati in un sistema generalizzato di sfruttamento del lavoro forzato, il gulag. Ma non basta i comunisti hanno deliberatamente provocato le carestie, far morire di fame certe frange della popolazione come quella Ucraina. “[…] l’arma della fame da parte dei regimi comunisti rinvia alla visione di Lenin della società comunista, in cui produzione e distribuzione dovevano essere interamente nelle mani del potere, l’unico abilitato a fornire nutrimento, alloggio, riscaldamento e cure ai ‘compagni’ e a quella parte di popolazione considerata ‘ politicamente corretta’. Paradossalmente ad essere condannati alla fame sono proprio i contadini, quelli che producono il cibo.

L’utopia è una delle molle fondamentali dell’ideologia comunista che porta al crimine. Basta che l’utopia, assurta a programma di governo, non tenga conto della vita reale della società, perché compaia il terrore. Sia Malia che Furet, hanno insistito su questa idea.

Scriverà Furet, “In nome della lotta alla borghesia, Stalin farà sterminare milioni di persone; Hitler, in nome della purezza ariana, milioni di ebrei”. Della comparazione tra nazismo e comunismo si sono occupati anche Alain de Benoist, Hannah Arendt, Ernst Nolte. Nel testo Courtois dà conto degli attacchi ricevuto dalla cosiddetta intellighentia che non accetta questa equivalenza, spesso chi fa questo viene tacciato come un anticomunista militante. Il Libro cita il ridicolo attacco di Madeleine Reberioux, all’equivalenza delle due ideologie.

La dimensione criminale del comunismo ormai dopo i tanti studi, è difficile da nascondere. Certamente il Libro Nero con le sue ventisei edizioni e con un milione quasi di copie vendute, affrontando nella globalità la dimensione criminale del comunismo, ha segnato “una sorta di frattura, una presa di coscienza irreversibile”. Eppure, nonostante tutto questo sforzo di aver documentato quanto era accaduto nell’Europa dell’Est con una certa obiettività, sforzandosi di comprendere la portata dell’esperimento che il comunismo aveva tentato di fare sulla natura umana e gli orrori che aveva prodotto, ancora oggi, mi pare, che, molti non vogliono, non accettano di fare autocritica e di rinunciare alle sue “conquiste”. “Il comunismo – scriveva Marco Respinti – sembra, infatti, essere un bel giorno svanito nel nulla. Così, come se si fosse trattato di uno scherzo, per quanto di cattivo gusto. Come se fosse stata una burla fra ragazzi da dimenticare in fretta e furia”.

Furet punta la sua attenzione sui due principali fattori della disgregazione comunista: la velocità e l’imprevedibilità. Il comunismo è crollato con la stessa rapidità con la quale il Vesuvio sorprese gli abitanti di Pompei. Pertanto, secondo Furet, “non si può certo dire che il Muro di Berlino, caduto nel novembre 1989, sia stato universalmente abbattuto negli spiriti. A Est, ma soprattutto a Ovest, la fede è ancora viva e il lutto per il comunismo durerà a lungo, gravando sul lavoro degli storici”. Lo studio di Courtois dà grande importanza alla memoria storica, la storia del comunismo va ricordata tutta, non solo una parte. Per decenni siamo stati martellati da una propaganda faziosa sul ruolo dell’Armata rossa, unica vincitrice della Wehrmacht e sulla Resistenza francese, italiana, dove gli unici vincitori risultano i partigiani comunisti.

Avviandomi alla conclusione, nel testo si può leggere: “Sarebbe tuttavia disastroso che la non traumatica uscita di scena del comunismo si concludesse con la pura e semplice cancellazione della memoria della tragedia, con l'oblio delle sue innumerevoli vittime e con l'occultamento degli altrettanto numerosi carnefici che, giorno dopo giorno, per decenni, hanno assicurato la sopravvivenza di quei regimi totalitari. Ma amnesia organizzata e amnistia strisciante sono diventate per interi gruppi una strategia volta a garantire l'impunità e al tempo stesso a difendere le posizioni acquisite nel settore politico e in quello economico. Nei paesi della ‘restaurazione’ o della ‘riconversione’, il potere, che non è stato decomunistizzato, sembra infatti volere fare 'del passato -comunista- tabula rasa'. Non solo gli archivi non vengono aperti -o vengono richiusi- ma i latori della memoria della tragedia rischiano di essere oggetto di manovre intimidatorie, mentre i carnefici si godono il loro "buen retiro" nella più completa impunità”.

In pratica le élite occidentali “intellettualmente compromesse con il comunismo sono passate dal negazionismo militante al relativismo scettico e oggi ostentano un'amnesia di bassa lega che tende a fare tabula rasa del passato. Si capisce, quindi, che non abbiano alcun desiderio di vedere emergere la verità su questi regimi che hanno esse stesse contribuito a presentare per molto tempo come l'avvenire radioso dell'Umanità”. Sono tanti che devono fare uno sforzo, più o meno penoso, per liberarsi della memoria “gloriosa” del comunismo.

Comunque sia un grande cantiere storico è stato riaperto dal Libro Nero del comunismo, sta a noi il compito di dare risposte, che non siano esclusivamente storiche, ma civili ed etiche.

Per ora mi fermo, continuerò affrontando altri aspetti dell’opera curata da Stephan Courtois.

 

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