“Ripubblicata l’antologia de “L’Universale”. Berto Ricci a misura dei millenial” di Mario Bozzi Sentieri
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- Category: Scritture
- Creato: 20 Febbraio 2019
- Scritto da Redazione Culturelite
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![](http://www.secoloditalia.it/files/2017/02/berto-ricci.png)
De Feudis gioca sul corto circuito culturale già dalle prime righe: “E’ troppo tardi – si chiede – per riconnettere le testimonianze di chi visse in prima linea la tempesta d’acciaio del proprio tempo con una gioventù anestetizzata dai ritmi frenetici degli aggiornamenti dei social network e dalle nuove liturgie digitali ?” La “chiave di lettura”, in grado di parlare ai millenial - non sembri un paradosso - è proprio l’inattualità del personaggio. Un’inattualità che non ha niente di nostalgico, di celebratorio, di paludato. Al contrario essa è “forza irrazionale”, capace di parlare al cuore e di emozionare, muovendosi cioè su un piano congeniale ai giovani d’oggi, offrendo però – in più – un’estetica rivoluzionaria ed una cultura dell’esempio con cui confrontarsi. Ricci è tutto questo e molto altro ancora, come conferma la sua inquietudine esistenziale, impegnata a misurarsi con il suo tempo e ad incidere su di esso.
Il corto circuito immaginato da De Feudis sta tutto qui: “Voler lasciare una traccia nella propria patria, segnare il vissuto di una comunità giovanile mai doma, non è un sentimento polveroso novecentesco, ma un bisogno che nobilita le esistenze, rendendole uniche e non omologate”. L’esempio di Ricci è dunque “di metodo” e “di contenuti”.
L’esperienza de “L’Universale”, la rivista che fondò e diresse dal gennaio 1931 all’ottobre 1935, è una sintesi degli orientamenti di Ricci e del giovane e spregiudicato gruppo che fu della partita: Roberto Pavese, Diano Brocchi (che – nel 1969 – pubblicò l’antologia de “L’Universale” per le Edizioni del Borghese, ora riproposta in anastatica dall’Editrice Oaks), Romano Bilenchi, Adriano Ghiron, Indro Montanelli, Ottone Rosai e Camillo Pellizzi. Al fondo il rifiuto di ogni retorica, il ripudio dell’effimero ed una radicale volontà rivoluzionaria, giocata in chiave interclassista, impegna a “contestare” la borghesia nella sua duplice dimensione di “categoria sociale” e “categoria spirituale”. La prospettiva è il “tempo di sintesi”, titolo di un libro a cui Ricci stava lavorando negli ultimi mesi di vita e del quale esistono sparsi appunti, ma che vuole dire – in sostanza – superamento dei vecchi schematismi ideologici sulla via di una modernizzazione di massa e partecipativa, volano della mobilità sociale.
La forza di quell’esperienza fu di sapere andare al di là delle contingenze, sottraendosi – come scrisse Brocchi, ad introduzione della prima edizione dell’antologia de “L’Universale” – “agli atteggiamenti di moda, ai ritualismi bambini, all’orbacismo di parata, a tutte quelle esteriorità tanto comode a chi non aveva delle idee, e che si sforzava di far altrui credere d’averne”. In questa scelta “di stile” c’è tutta l’attualità dell’opera e dell’esempio di Ricci: un “patrimonio culturale” a disposizione di quanti, millenial o meno, abbiano a cuore le sorti reali del Paese e vogliano accettare la sfida del cambiamento. Senza facili nostalgie. Ma anche senza perdere di vista il valore di quella che Ricci sentiva come l’italianità universale e per questa si sacrificò.