SE IO FOSSI VINO! – RACCONTO BREVE DI GIOVANNI TERESI
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- Category: Scritture
- Creato: 29 Giugno 2018
- Scritto da Giovanni Teresi
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Nei pomeriggi d’autunno, quando ancora il sole tiepido baciava le zolle e le ingiallite foglie delle viti, nel vicino androne di casa si giocava a carte seduti in cinque attorno ad un tavolo. Il tempo scandiva le ore ed il lento volgere della sera.
Allora fino a notte si stava lì in compagnia; qualcuno fumava la pipa e l’odore del tabacco e del mosto che ribolliva nelle botti aleggiava attorno e tra i vicoli solitari.
Tra un sorso di novello vino e gli sguardi attenti dei giocatori, le carte siciliane, tenute tra le nodose dita delle mani, interloquivano, segnavano il destino del gioco.
Nell’ampio salone della casa paterna c’era un’antica consolle intarsiata in acero bianco con un grande specchio puntellato di piccole macchie scure di vecchiaia.
Lo specchio rifletteva parte del salone, la veduta della campagna fuori dal balcone ed in forma tridimensionale la mia figura riflessa all’infinito sulla vetrata dell’imposta appena aperta.
M’era d’uso, prima di andare a letto, guardare il paesaggio che cambiava alle luci della sera.
Sulla consolle, accanto a delle foto di famiglia, erano disposte delle bottiglie di vetro finemente lavorate contenenti vino marsala invecchiato e rosoli fatti in casa nelle diverse liete ricorrenze.
Mentre assaggiavo, quasi di nascosto, quel buon nettare, riflettevo quanto lavoro ed esperienza erano stati necessari per gustare quel dolce vino liquoroso; espressione di sapori e luci di vita mediterranea.
Così ad ogni autunno e ancora dopo tanti anni, in silenzio, guardo le figure riflesse sullo specchio impercettibili e irripetibili che giungono da fuori del salone e le tende di cotone ricamate che ondeggiano al vento come un sipario.
Quando passo davanti ad uno specchio mi pongo le stesse domande:
Cosa può offrire un’immagine riflessa da un sottile vulnerabile specchio? L’aulica bellezza, l’irreale verso del tempo appena trascorso. Ombre, luci, colori trasposti, copiati … o forse mai esistiti. Il volto della verità è nello sguardo sfuggente, negli angoli di un sorriso, nel sudore dell’emozione. Fragilità!…
Fragilità dell’attimo fugace, irripetibile; ingannevole parte dell’essere.
Così passa in silenzio nella vitrea apparenza l’anima segnata nell’alone d’un respiro.
Il tempo sembra che non sia mai trascorso, s’è impresso nelle immagini fotografiche e nei sapori liquorosi imprigionati in limpidi cristalli.
In una delle foto sulla consolle i miei genitori mi tengono per mano sulla via che costeggia il mare; volgono lo sguardo verso la libertà, verso il futuro. Un’altra foto riproduce la gioiosa vendemmia. Così in successione: la mia prima comunione, il mio matrimonio, io che tengo per mano mio figlio e mia moglie che porta in braccio la più piccola.
La mia storia è la storia di questo scorcio di terra pregno di sudore, di sole e amore.
Il lavoro di mio nonno, di mio padre, il mio lavoro è la vita lungo quei verdi filari, nel ribollio del mosto nelle botti, nell’acre sapore del vino nero. Lavoro che magicamente si ripete.
Se io fossi vino, sarei onorato d’inebriare gli animi, aprirei una parentesi nostalgica che lega il passato al presente. Scorrerei tra le vene ed accenderei la memoria.
Io come il vino serbo nel mio animo i luoghi conosciuti, i profumi, i teneri gialli fiori, le tenui e accese pennellate di colori al variar delle stagioni dipinte sul cielo, sull’immenso mare.
Serbo col mio canto i suoni della natura che altrove, per il grigio pulviscolo, soffre e soffoca.
Serbo nel mio cuore il nido d’amore per essa e quegli odori che vorrei sempre sentire e far conoscere. Io come il vino sogno di volare, seguo il canto dei gabbiani che mi porta lontano.
Ma il sogno svanisce e … pure oggi guardo fuori dall’ampio balcone.
Giù non si gioca più a carte, esse sono rimaste scoperte sul tavolo sotto il manto di stelle e la luna che riflette il candido volto sui dei bicchieri vuoti.
Ad autunno, le spoglie viti, disposte in file parallele, ancora una volta hanno offerto il loro prezioso frutto ed anch’esse dormono al canto stridulo delle cicale. In quell’esteso campo, protetto nella sua natura, le foglie secche delle viti ondeggiano leggere posandosi sulle dure zolle. I rami mostrano le copiose ragnatele, la loro semplice nudità. Anche i tetti sembrano di rame, tegole impregnate del debole sole. L’autunno dipinge di rame i monti, le minacciose nuvole; conserva le emozioni, gli amori appena passati.
Così mi viene ancora da pensare:
Se io fossi vino! Offrirei il gusto maturo della mia esperienza, parte del mio io con i miei versi e la mia sensibilità.
Oggi come tanti anni fa lo specchio della vecchia consolle riproduce le stesse immagini campestri fuori dal balcone. Il tiepido vento sposta le tende sul sipario immaginario dell’esistenza ed un’altra riflessione mi viene spontanea:
Io sono e … non so!
Ove conduce la via, il pensiero, la mente … oltre il presente?
Io sono, e … non so alcuna risposta al perché. Lo spazio che circonda, che delimita, che eguale attrae, è l’habitat dell’essere.
Così nell’attimo tra ciò che so e non so è contenuto l’infinito.
Una piccola certezza? Io esisto!
Il tempo sembra giocar a carte, ma ha perso la partita!
Nell’infinito tra realtà e finzione dell’immagine tridimensionale riflessa sullo specchio ci sono io ch’elevo il calice di vino all’amicizia, all’amore per la mia donna, all’avvenire dei miei figli, alla vita.
Giovanni Teresi