Tommaso Romano, "Alchimia della polvere. Aforismi inattuali con Autoritratto feroce (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo)

di Giovanni Teresi
 
 
 
Le brevi considerazioni sul titolo scelto dall’autore sono utili per seguire “il filo rosso che percorre nel testo le sue privilegiate letture, la nozione di Letteratura come continua “confessio oris”
(Roberto Pazzi). Tommaso Romano, scrittore e poeta, con la sua dotta esperienza letteraria, chiarisce: “Bisognerebbe rileggersi e studiare scienziati e filosofi alchimisti come Ermete Trismegisto, Geber, Morieno, Raimondo Lullo, d’Espegnat, Becher, per capire che l’alchimia e la vera chimica usano gli stessi processi che impiega la Natura, ben diversa cosa rispetto ai ciarlatani di esoterismo sprio.” “Solo la poesia, l’arte e la conoscenza scientifica, possono assumersi – se non degradare a millenaria, artificio e pretesa – l’onere dell’impensabile, oltre le scogliere del corrente pensare vacuo.”
La parola aforisma deriva dal latino tardo aphorismus, derivante dal greco aphorismos (ἀϕορισμόϛ) “definizione, distinzione”, a sua volta derivante da aphorizein “delimitare, dividere” composto da apo “da” + horizein “limitare”.
Gesualdo Bufalino diceva che “Un aforisma benfatto sta tutto in otto parole”, e Cesare Segre: “L’aforisma più riuscito è quello che fa pensare”.
Il testo “Alchimia della polvere – Aforisminattuali” nasce grazie a delle riflessioni del Nostro che vengono condotte in maniera attenta su determinati argomenti filosofici: “Ora ho ispirato le mie considerazioni inattuali alla luce della saggezza, del mito, del sacro, della trasgressione e della libertà intellettuale, senza cadere nel sincretismo o nella ripetizione acritica …” “Potrei citare filosofi, autori e pensatori di altissimo livello, dall’amato Seneca a Marco Aurelio, da Pascal a Leopardi, da Noetzsche a Gòmez Dàvila, ma non mi urge né seguirne i metodi, né i modelli che ritengo per me incomparabili con ciò che scrivo e penso”.
Leggendo attentamente gli Aforismi di T. Romano si può capire il senso del pensiero.
L’strema attualità insita nel testo adorniano, incline a sconfinamenti storici, semantici o disciplinari e perciò gnoseologicamente preziosi: “L’individualismo assolutizzato come orizzonte di destino è in concretezza l’annegamento nell’indistinta mentalità e prassi borghese, intese come primato da assegnare all’utilità e all’interesse, che si autogiustificano nel falso perbenismo e nella comoda contestazione…” “Lo Spirito del mondo non è la collettiva memoria dell’universo teorizzata da William Buther Yats, come non è il Napoleone idealizzato da Hegel, neppure il Marx redentore di Attalì, tanto meno il chiacchiericcio quotidiano della cafonaggine”.
L’impianto orizzontale del testo, composto da aforismi organizzati in quattordici sezioni, favorisce il sapiente collegamento nel lasciar trapelare la connessione profonda tra le varie tematiche affrontate: il mondo che circonda una persona, la vita, la professione, l’amore.
Ridurre la Bellezza a ipotesi, significa ammettere di non potersi meravigliare credendosi liberi ma in realtà soggiogati dai canoni”
L’insensibilità comunque declinata è una finzione voluta, una condizione cercata e autodeterminata d’inumanità
 L’autore è fedele a uno stilema caratteristico della sua prosa.
L’attrazione, la tensione erotica, è la più spirituale delle potenzialità che si manifestano attraverso lo sguardo, un gesto, una parola, un silenzio, una forma. … È un quid indeclinabile e indimostrabile dalla biochimica, dalla filosofia e dalla scienza pedante, dalla stessa metafisica e dalla matematica, e va intesa, con Oskar Mongenstern, come un gioco competitivo e, per quanto ci si adoperi alla trivale degradazione del piacere e dell’amore, questo resta un misterioso, eccezionale evento …
È proprio il “dominio di sé” a costituire il termine ultimo di una vita distesamente regolamentata, pianificata, controllata. Autocontrollo e autodisciplina godono di un plauso unanime; in chi sa porre un freno ai propri impulsi si ammirano la coscienziosità e la diligenza.
Nell’Ottocento il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche scrisse opere filosofiche sotto forma di aforismi. In “Il crepuscolo degli idoli”, Nietzsche scrisse “L’aforisma, la sentenza, …, sono le forme dell’eternità; la mia ambizione è dire in dieci frasi quello che chiunque altro dice in un libro”.
Questo pensiero è ben espresso dal Nostro, che come i “Pensieri” di Pascal, sa bene coniugare ragione e fede:
“L’Arte è l’anima d’un cosmo d’amore da preservare. Anche in una perfetta solitudine. Se necessario”.
L’unicità dell’essere è data dalla volontà e dalle capacità di sapersi autodeterminare”.
“La cultura, le culture … se si tornasse a comprendere, si capirebbe che cultura non è altro che il coltivarsi non pretendendo di sapere su tutto e di tutto…
Il gusto della tensione estenuata e della parzialità, si innesta sempre su una impalcatura dialettica di T. Romano, a sua volta percorsa dall’onda mobile di un pensare inesausto:
Adattarsi senza consentire è l’arte della sopportazione”.
La luce del vero abita nella coscienza individuale, l’unico foro che può però sottoporsi – più o meno consapevolmente- ad una autoeutanasia della sopravvivenza vegetale”.
“L’intuizione è un fulmine che non tiene conto della statistica”.
La istanza meritevole di approfondimento proviene dall’aforisma:
La felicità non si insegna né si propone come panacea e quando si manifesta è una illuminazione, una sensazione che raramente si dipana come permanente…” e ciò in ragione della chiarezza e del nitore delle posizioni lì espresse.
Poi l’apologia della “verità” è proclamata con tanta maggiore convinzione quando il Nostro esprime nell’aforisma:
Ciò che caratterizza gli abitatori del nostro tempo, è l’apatia insensibile e l’eccitazione artificiale provocata, lo sprofondamento impermeabile e massificato. …”.
Difficoltà insormontabili incontrerebbe chi volesse tracciare la linea di demarcazione tra il singolo e la società. È una verità palese: la società vive negli uomini che la compongono; cionondimeno, è possibile forse rintracciare dei punti di transito o di trapasso, dei momenti di influenza, di tangenza o di ritrazione, dove il soggetto risulta esterno al sociale e pur ne subisce il condizionamento.
Successivamente, nell’Autoritratto feroce, l’autore dichiara: “Non giudico, valuto. Preferisco il silenzio della notte, la luce e l’alba, al frastuono degli ostacoli da superare, comunque, nel quotidiano.
Infine, mi piace riscrivere questi suoi due aforismi che esprimono, come Magie Nelson ebbe a dire, che tutto ciò che non può essere espresso sia contenuto in ciò che può esserlo:
La nostalgia, il ricordo, la memoria possono essere catene dolci e pure necessarie per non annullarsi nel presente. … La morte dell’anima è stanca, come la mancata trasmutazione che dal passato ci pone già il presente, per qualche spiraglio nuovo da aggiungere.
Così, mi piace ultimare questa mia dissertazione sull’opera con l’aforisma di Zvgmunt Bauman, che è in sintonia col pensiero T. Romano:
Senza libri lo sviluppo della civiltà sarebbe stato impossibile. Essi sono il motore del cambiamento, finestre sul mondo- fari- come disse il poeta – eretti nel mare del tempo. Essi sono compagni, insegnanti, maghi, banchieri dei tesori del mondo. I libri sono l’umanità stampata.
 
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