Tommaso Romano, "Filosofia del collezionare" (Ed. Ex Libris) - di Antonio Saccà

Tommaso Romano viene da famiglia borghese e artistica. Non esce, non disperde l’ascendenza, la congiunge: poesie, saggistica, narrativa. Ha compiuto e compie iniziative di rango, insieme ad Alfredo Fallica organizza convegni internazionali su Friedrich Nietzsche, in epoca di esecrazione avverso Nietzsche, ebbe compiti pubblici a Palermo nella cultura, e sempre nella cultura pone una casa editrice sotto il nome di “Thule” che non si chiude nel risaputo corsivo, anzi!

Una pubblicazione quotidiana, “Culturelite”, ne accresce l’operosità. Ma, è risaputo, chi maggiormente suscita massimamente è vittima della insoddisfazione, ne deriva che Tommaso Romano è anche, ed in questo caso, soprattutto un collezionista.

Quale “caso”? Un libro appena sgusciato: Filosofia del collezionare. Un libro vecchio stile, forse la data 1900 la considereremmo veritiera, epoca Liberty Déco, quando parte della borghesia cerca di rendersi aristocrazia, non esclusivamente l’utile pure il buon gusto, eleganza e signorilità. Ormai i borghesi sono benestanti da qualche generazione, non angosciati di “roba”, magari hanno sposato una aristocratica spiantata, o viceversa, con titolo centenario, i figli sono alquanto blasé pensano al denaro ma vogliono mostrarsi “nobili”, e la nobiltà per un meridionale è spregio per il denaro. E piacere del bello. Romano si innesta, Gesualdo, Principe di Salina, Giovanni Verga, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e che fiorisce? Un museo, piccolo ma sentito, personale, tutto suo, di Romano, e nostro, ora, per un libro, ed una visita, certo, intrascurabile, avverrà.

Se Vitaliano Brancati risorgesse lo includerebbe nei suoi “piaceri”. Ma com’è scaturita questa sicilianità che si universalizza appunto in quanto netta sicilianità, spesso detto, l’universale soggettivo? Non che vi siano opere di siciliani e null’altro, è l’atmosfera siciliana, le abitazioni aristocratico borghesi di tempi trascorsi, è una ricostruzione di quell’ambiente, dei primi del XX secolo che in certe case dura tutt’oggi, un quasi silenzio, una quasi ombra, un quasi passato sul presente, e se vi è il moderno, lo sperimentale rileva maggiormente l’antico, il quasi greco. Donne avvolte di abiti ampi, nudi neoclassici, volti di maschi siculi e pittori odierni, Fazzini, Brindisi, Migneco, qualche nome, Treccani, Zancanaro, Clerici, Guidi, Greco, Matta, ma è l’atmosfera che vale e domina nella misura, il non forzato, il garbo con il quale l’espressivo si svela.

Carlo Guidotti, con Edizioni Ex Libris ha reso l’insieme un accrescimento a favore della vita, ultimo e primo fine dell’arte, e nel suo esteso dialogo con Tommaso Romano ne trae biografia, propositi, compimenti. Dice Romano: distinguersi per non estinguersi. Bene, se perisce l’individuo e la mentalità elitista, siamo finiti. Ettore Sessa ha scritto una analitica anticipazione, Salvo Ferlito ed io, testi. Casa dell’Ammiraglio, Stanze di Thule, Palermo. Ma la “filosofia” del collezionare esige una valutazione a sé. Che può significare “collezionare” in epoca dissolutiva? Che vogliamo (dobbiamo) salvare? Ridare soggettività alle “cose” e a noi stessi?

 

(*) Filosofia del collezionare di Tommaso Romano, conversazione a cura di Carlo Guidotti, Edizioni Ex Libris, 156 pagine, 25 euro

 

in: www.opinione.it, 31/10/2023

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