Tommaso Romano, "Il Mosaicosmo nell'infinito" (Ed. Thule) - di Domenico Bonvegna

LA DIFFICILE METAPOLITICA MOSAICOSMICA DI TOMMASO ROMANO.

 

Il libro che mi appresto a presentare fa parte di un mosaico di testi del professore Tommaso Romano che segue una precisa linea che abbraccia ben 19 volumi (4250 pagine) pubblicati dal 2008 al 2021. “Il Mosaicosmo nell’infinito”, pubblicato nel 2021 da Fondazione Thule Cultura (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).
Nella premessa il professore, uno scrittore di lungo corso, è consapevole che, “ricapitolare il proprio pensiero, nella storia più ampia delle idee e delle proprie letture, con gli incontri, le tensioni ideali, le esperienze estetiche, politiche e metapolitiche, il sapersi rettificare nel tempo e accettare le contraddizioni che sono in realtà maturazioni, questo è il sentiero che da sempre ho cercato di percorrere, con autonomia, libertà, con errori e soddisfazioni, in solitudine o con scelti sodali”.
“Il Mosaicosmo nell’infinito” è una raccolta variegata di testi, la sua pubblicazione è stata sollecitata da Dino Grammatico, insigne uomo politico, saggista e fine poeta, presidente del prestigioso Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici (ISSPE).
Nel Testo di Romano troviamo un interessante dialogo con Maria Patrizia Allotta e Luca Tumminello sui temi più importanti dell’attualità politica sulla cultura, la storia e la fede. Segue il saggio, “In Natura Symbolum et Rosa”, con una introduzione di Ignazio Buttitta, poi il saggio controcorrente, “Elogio della Distinzione”, la “Tradizione Regale”, in conclusione i riferimenti alle numerose recensioni dei testi pubblicati da Romano. Complessivamente il volume raggiunge 500 pagine. Si tratta di un libro ricco e coerente che va letto per onorare un “hidalgo del pensiero”, ha scritto Marcello Veneziani.
Le domande e le risposte proposte nella prima parte del libro sono dense di cultura, di studio, di amore e appassionanti ricerche dell’autore. “Il maestro è necessario”, sentenzia Romano. Infatti, “l’autorevolezza del maestro è una delle perdite del nostro tempo”. E peraltro c’è da evidenziare un altro aspetto, l’altra faccia della medaglia: oggi molti pretendono di essere maestri, ma in pochi lo sono. Per Romano è importante, fondamentale il legame con un maestro. Collegato al maestro, c’è un’altra grave mancanza, quella delle scuole, né vi sono maestri di autentica vita spirituale. Le scuole esistenti sono inquinate o risultano settorializzate, prodotti dal consumismo, tranne qualche “isola” di qualche ordine religioso o contemplativo, cavalleresco della cristianità. Del resto, il perfezionamento richiede un deciso cammino individuale, e forse per queste ragioni vengono meno tante scuole e tanti Ordini sacri e militari. “Il cammino è sempre faticoso - scrive Romano - trattandosi di ascese decisive, e spesso viene affrontato con difficoltà e con errori, con cadute e risalite, gioie e dolori”. Certamente occorre rifiutare quel modo di vivere, quel “galleggiare a vivere”.
Legato a questo tema culturale, c’è quello del libro, che diventa fondamentale per il dialogo interno. Personalmente sono cresciuto culturalmente con un libro che ho letto e riletto, studiato, sottolineando i passaggi più importanti, come faccio sempre con i libri. Mi riferisco a “Rivoluzione e Controrivoluzione”, del professor Plinio Correa de Oliveira. Un libro che è servito a formare tanti uomini e donne disposte a combattere la buona battaglia.
Il libro è centrale nella vita del professore Tommaso Romano, i libri lo hanno sempre accompagnato nella vita. Fin da giovanissimo ha fondato una casa editrice (1971) che è diventata un punto di riferimento per molti giovani, uomini e donne, che intendono andare controcorrente e che non intendono piegarsi al sistema del politicamente corretto. “Il libro si fa anche nel confronto, nella distanza, anche nella sofferenza di una lettura che pone interrogativi e sfinimenti [...] Il libro, in questo accompagnare, dà la possibilità al lettore di immergersi in altre dimensioni, così che il quotidiano e forse poco significativo gesto di leggere un testo, diventa poi occasione di meditazione per un nuovo slancio alla nostra vita”. Il professore palermitano colleziona brillanti risposte come quelle sul tema dell’Umanesimo e della Scienza. Romano non intende sottostare alla dittatura della secolarizzazione. E’ pronto a tutto, all’emarginazione, alla solitudine, al deserto degli interlocutori, compresa l’industria culturale che lo ignora, compresi la pubblicazione di questi colloqui. “Ma al primato della coscienza - sentenzia Romano - come mi ha insegnato Tommaso Moro, non si abdica”.
Per Romano sono fondamentali le domande classiche: “Chi sono; da dove vengo; dove vado; dove sono, qual è il mio luogo”. Il professore Romano propone le sue tesi, senza mai assumere l’atteggiamento dell’intellettuale militante, né quella dell’erudito altezzoso, ma socraticamente, forse inconsapevolmente, agita coscienze e pone dubbi. Per questo, “la vera nobiltà dell’uomo risiede nella conquista e nella perfezione della propria missione di vita”. Pertanto per Romano sono importanti sia Napoleone che il piccolo raccoglitore di lattine, “ogni essere umano è indispensabile nell’economia del creato, nella stessa storia [...]”. “Allo stesso modo in cui Gaudì costruisce la sua cattedrale con lo stesso amore con cui si costruisce la bellezza e l’ospitalità della propria casa quando quest’ultima è intesa come dimora permanente della propria anima e non asilo o albergo alternante”. Ognuno di noi può essere considerato, “eroe quotidiano”. Non bisogna soltanto pensare all’eroe come colui che compie atti straordinari.
Nelle note dialoganti non manca il riferimento alla bellezza, che può trasformare, bisogna ritornare ad abitare il reale. Nei dialoghi, dove è protagonista il professore palermitano, traspare un vero e proprio inno alla bellezza, di fronte alla Babele del nostro tempo riferito alle ideologie che risultano sconfitte, ma ne nascono sempre altre. Bisogna educare al bello e resistere al brutto…delle città, dell’architettura.
Naturalmente nelle tante interessanti risposte, il professore non manca di fare riferimento ai tanti maestri, studiosi, ai vari mentori che hanno accompagnato anche Tommaso Romano. La lista è troppo lunga, ma qualche nome è doveroso farlo: Hans Sedlmayer, Romano Guardini, don Divo Barsotti, Antoni Gaudì, Augusto Del Noce, Mircea Eliade, Julius Evola, Michele Federico Sciacca, Francisco Elias de Tejada y Spinola, Marco Tangheroni. E poi i classici Platone Aristotele, Socrate e poi Dante, Petrarca, i tanti santi, S. Agostino, S. Tommaso.
Bisogna fare di tutto per ricostruire le relazioni, i rapporti, i riti religiosi, per riumanizzare. Dobbiamo riscoprire il gusto del dialogo alto, della parola che evoca. “C’è bisogno - per Romano - del dialogo senza trasbordi ideologici che in realtà si sta smarrendo nel processo di sfaldamento che il tessuto sociale produce e nel bla bla  dell’inconcludenza”. Un tema approfondito da Romano è quello della scuola, molto caro al professore e alla comunità di uomini e donne che sta intorno alla sua persona.
“La sana e giusta educazione che il fanciullo deve ricevere, sempre tenendo presente la natura e l’animo umano”. In questo frammento viene espresso il “credo pedagogico”, sostenuto dal sistema filosofico del Mosaicosmo. Anche Romano è convinto che la scuola italiana sia sostanzialmente fallita. In pratica Romano espone una sintesi articolata a tutto campo sull’educazione e quindi sulla scuola stessa. E’ un quadro complesso del disastro scolastico e quindi della crisi del corpo sociale: le famiglie, gli insegnanti, gli alunni stessi. Un quadro sconsolante certificato da molti attori non protagonisti, ma centrali. A cominciare dai docenti, dirigenti, genitori, spesso senza voce, “affidati a un sindacalismo spesso parolaio, inconcludente, compromissorio e acquiescente al ‘piatto di lenticchie’”.
L’ideologia dominante nella scuola è quella dei burocrati sempre tesi a pianificare (in basso) il sapere indipendente. Tuttavia si ha una solidale azione educativa attiva e realistica quando si eleva la base, ma questo non significa, come diceva don Milani, sacrificare, come avviene oggi, abbassando i vertici. I temi sollevati sulla scuola da Romano, sono estremamente interessanti, per certi versi mi ricordano gli approfondimenti critici sulla scuola della professoressa torinese Paola Mastrocola. Tuttavia dobbiamo affrontare altri temi presenti nel Mosaicosmo, a cominciare dalle risposte sulla Politica. “E’ ora di guardare il reale, che è insieme naturale e spirituale, senza ideologie ingabbianti e tecnicismi”. Occorre tornare “all’uomo e non alle imposture e alle fumisterie spesso permissive e inconcludenti che hanno fatto dimenticare la fatica e la gioia del sapere”.
Una frase altisonante di Romana è quella che “la Politica ha bisogno dell’anima; senz’anima la politica è tecnica astratta, ingegneria onirica, lontana dai bisogni dell’uomo, dalla sua integrità spirituale e materiale”. Tutti siamo chiamati alla Politica, a questo punto il professore si interroga su chi è il vero politico e in che cosa consiste la vera politica. C’è un passaggio interessante da sottolineare, quello al filosofo belga Marcel de Corte, che in un suo saggio critico della modernità, sostiene che oggi è l’intelligenza stessa ad essere in pericolo di morte. Occorre essere sempre vigili a quello che propinano i mass media, i leviatani del pensiero, i grandi fratelli, “in nome degli immortali principi liberatori, hanno procurato con l’anestesia di massa nuove e forse più gravi schiavitù del passato, questa volta indotte abilmente attraverso nuovi modelli conformistici, verso l’oblio della coscienza critica dello stesso senso comune”.
Il professore Romano invita apertamente di appellarsi alle élite, forse è “il momento di un nuovo ora et labora benedettino da pensare e attuare contro i nuovi barbari [...]”. Un termine caro al professore Romano è quello di “metapolitica”, che in pratica, “è tutto ciò che di alto la politica può realizzare per l’uomo, per la comunità [...]Senza la metapolitica non c’è vera politica; perché dalla politica si può scadere nella criptopolitica, nella dittatura della finanza, delle lobby, nel potere oligarchico”.
Un altro tema che appassiona Romano è la Storia, la ricerca storica, l’uso delle fonti, è un tema centrale per lo storico. Bisogna capire la realtà senza idee preconcette. Tra gli storici ostracizzati dai pasdaran del politicamente corretto, Romano fa i nomi di Renzo De Felice e Ariel Toaff. I sinistri intellettuale senza leggere le carte e i documenti, hanno esiliato e emarginato De Felice, lo stesso per Toaff. Lo storico non può essere condizionato da postulati ideologici e strumentalizzazioni politiche. Per Toaff, “lo storico ha il dovere di maneggiare i documenti in maniera corretta, di portare alla luce prove nuove e scientificamente plausibili, sostenendo le proprie ipotesi con argomentazioni adeguate, la cui solidità va costantemente verificata”. Il professore porta esempi di figure, di uomini, fortemente discriminati dal pensiero unico, come Pound, Drieu La Rochelle, Celine, Prezzolini, Guareschi, Papini, confinati e condannati dall’industria culturale all’oblio. Romano ci ricorda che la storia che si studia sui manuali o che si affronta nei dibattiti storiografici è spesso menzognera, perché segnata da pregiudizi ideologici. Di sicura nel fare storia occorre evitare “il manicheismo, l’estremismo, il pressappochismo, non temere la revisione, potere cambiare opinione senza i furori giacobini, rendere vivo, in sostanza, l’ammonimento di Terenzio ‘niente di ciò che è umano mi è estraneo’: questo dovrebbe essere il compito delle élite, degli uomini di cultura, dei dirigenti, degli storici e degli analisti sociali”. L’autentico intellettuale o meglio l’uomo di cultura, “è colui che si scatena da ogni costrizione di appartenenza ideologica e moralistica, per assumere una dimensione di ricerca libera, ideatrice e soprattutto profestica che, per dirla con Nietzsche, ‘è rivolta a tutti e a nessuno’.
Per quanto riguarda i progetti futuri per il professore la migliore medicina è quella dello studio, continuare a studiare più e meglio di prima. Occorre impreziosire quella conoscenza che mai si acquisisce e che mai si ottiene del tutto. Non una conoscenza fine a se stessa, mai concepita come inutile erudizione ma piuttosto aperta alla riflessione, alla meditazione, all’interiorizzazione.
Per il momento mi fermo, continuerò nell’esposizione degli altri saggi in un’altra occasione.
 
 
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