Tommaso Romano, "Il Mosaicosmo nell’Infinito", (Fondazione Thule Cultura) - di Guglielmo Peralta

«Ma si può vivere solo di materia e giorni che si e ci consumano, inesorabilmente?».

Questa domanda è posta da Tommaso Romano in conclusione della Premessa al suo volume Il Mosaicosmo nell’Infinito, che comprende alcune opere, già edite, che segnano le tappe fondamentali del suo pensiero. Dalla domanda, in cui è implicita la risposta; che non lascia dubbi sulla necessità di realizzare una vita autentica avviando un processo di esplicitazione dell’umano fondato sulla spiritualità che sola può arricchire di senso il nostro tempo fugace carpendogli istanti di eternità che trascendano l’economico e il vitale nell’umano valore della vita, muove il lavoro di tessitura ideale di Romano. Esso prende corpo nelle opere e s’infinita nella teoria del mosaicosmo pregna di valore etico ed estetico e chiave di volta di un pensiero che guarda insistentemente al sacro e che a partire da questo ‘vertice’ edifica quella cattedrale spirituale che possiamo considerare la ‘nuova frontiera’ di una scrittura composita, della quale, cosmologia, antropologia, gnoseologia, mito-teologia, morale, diritto, arte, costituiscono le 7 Tessiture dal Mosaicosmo: «una sorta di breviario-manifesto», concepito ed elaborato nel 2008, che ha ispirato i testi r-accolti in questo volume e che segna l’«itinerario della mente» dell’Autore lungo il sentiero vasto della conoscenza, che ha radici profonde nella Poesia, la quale ha il suo riflesso nella bellezza della scrittura creativa che imita il cosmo. Ogni cosa, sia essa frutto del lavoro materiale o spirituale, è parte costitutiva dell’universo delle umane opere, così come ogni ente creato, «a cominciare dall’uomo», rientra nell’infinita creazione divina. Questo parallelismo sta a fondamento della visione cosmica di Romano, che nel Mosaicosmo - neologismo da lui coniato - ha nome, raffigurazione e rivelazione. Ciò perché non di semplice mosaico si tratta, ma di un’architettura ideale che porta in sé il calco, l’impronta della realtà cosmica e del suo divino Creatore. Il ‘disegno’ di Romano, allora, è un invito a trascendere quanto ci condiziona negativamente e ci proietta all’esterno, lontano dalla dimora interiore, dove solo è possibile apprendere l’universale alfabeto della vita: “la verità dell’interessere” - per dirla con Thich Nhat Hanh - ovvero, l’interdipendenza di tutte le cose, la quale richiede di agire nella quotidianità con la consapevolezza di appartenere al sodalizio universale, di essere ciascuno necessario all’altro, chiamato a partecipare secondo le proprie capacità e possibilità alla costruzione del bene comune obbedendo alle leggi e agli obblighi della “storia” e della comunità di appartenenza; a riconoscersi tessera tra le tessere dell’infinito mosaico; a realizzare la propria umanità attraverso la pratica del lavoro, qualunque esso sia, purché in esso convergano vita e poesia, come sembra indicare il ‘progetto’ romaniano nello spirito del mosaicosmo, dove è possibile attingere l’istanza trascendentale di autorealizzazione e valorizzazione della vita, nonché la verace “struttura”, che costituisce l’essenza ultima e al tempo stesso l’orizzonte di quella ‘nuova frontiera’ del pensiero e del sensus aestheticus, secondo la quale l’agire umano obbedisce all’ordine celeste verso cui tende per «Tradizione» e per assegnato e imperscrutabile destino, ma anche per intuizione e comprensione cosmica. Emozione, immaginazione, gusto, sono attributi del ‘sentimento’ del bello. In Natura Symbolum et Rosa, opera qui ripubblicata, Romano elogia la Rosa e l’associa alla natura, della quale la regina dei fiori è simbolo della perfezione e della bellezza: qualità che rimandano, rispettivamente, al grande Giardiniere e al suo ‘giardino’, che il nostro poeta coltiva nel luogo ‘sacro’ della scrittura, dove si celebra il matrimonio del cielo e della terra. La visione mosaicosmica, in quanto è consapevolezza dell’«opera corale della creazione, del Fare della bellezza[1] che rappresenta la vita stessa» e realizza l’«universo cosmico in noi», rispecchia l’Infinito, in cui ha il suo correlativo oggettivo, e ne riconosce l’immanenza anche «nelle piccole cose» e nei lavori giudicati più umili. Perché tutto necessita, tutto si tiene nell’universo dell’attività economica dell’uomo. La Rosa allora è il simbolo di questa grande rappresentazione, di questo scenario unitario, cosmico, che ci avvolge e ci com-prende e del quale la teoria del mosaicosmo ci aiuta a capire il senso e la profonda bellezza. Della Rosa si ‘nutre’ questo libro di Tommaso Romano; esso ne accoglie la geometria, «il lusso, lo sfarzo, la vanità e la bellezza assoluta delle forme»; ne respira il profumo, i colori, si fa terreno fertile delle sue allegorie e fioriture simboliche; mostra le essenze visibili e lascia immaginare le invisibili;  si fa «ricerca di perfezionamento e Cosmovisione», della quale esso stesso è «un tassello» e una tessitura, in cui convergono e si coniugano il contingente e l’eterno, il visibile e l’invisibile, la terra e il cielo, la realtà e l’immaginazione: reciprocamente speculari e interdipendenti e costituenti la sfera dell’interessere, e cioè un nuovo ‘orizzonte’ per una più vasta cognizione o coscienza mentale, per un «rinnovamento dell’umano». Bellissima, variegata, dunque, è la Rosa che  “annovera”, tra i suoi cultori, poeti, filosofi, narratori, pedagogisti, musicisti, pittori, papi, cantanti, santi: una “rosa” di nomi prestigiosi, uniti nel nome della bellezza e dell’«Arte viva nel rapporto uomo-natura-paesaggio-fiori. Uno sguardo d’insieme», una catena di relazioni tra tutti gli esseri viventi e non, che costituisce la vita e assicura la sopravvivenza. «Vivere è essenzialmente vivere della vita altrui». Ed è nel legame con l’ambiente e con la natura che si realizza l’interdipendenza tra l’organico e l’inorganico, e la biosfera può esistere e svilupparsi grazie alla geosfera, che ne costituisce il necessario supporto inorganico. La Rosa è il fiore dell’illuminazione, della comprensione che deve sbocciare nella coscienza dell’uomo, perché solo una coscienza «ben fiorita» può attingere, in tutta pienezza, tanta armonia e perfezione, ovvero, la «dimensione cosmica, che è la risultante di infinite connessioni con il Tutto a cui apparteniamo». Se come afferma Romano, «Il DNA è il deposito di Dio nell’uomo; a dimostrazione che la perenne opera corale della creazione non si arresta»; se (il DNA) è «l’eterno immanente nell’uomo», allora, in quanto attraverso l’uomo Dio continua la sua Creazione, l’uomo è l’‘epigono’ di Dio, e la scrittura è il microcosmo, l’infinito intrattenimento con Dio e con l’universo. La scrittura, quando si fa poesia, canto, bellezza, rivela questo legame profondo, la grande «equazione» tra l’uomo, la natura, il cosmo, che «si coniugano quindi strettamente, sono interdipendenti, […] inscindibili», perché insufflati dell’eterno respiro di Dio.

Questa visione unitaria, che accomuna idealmente tutti gli uomini, poiché ciascuno contribuisce con le sue opere, con il suo lavoro a comporre il mosaico universale, riconosce l’originalità dell’individuo, l’unicità e l’irripetibilità che lo contraddistinguono confermando il concetto di haecceitas di Duns Scoto, ovvero, il principio d’individuazione, per cui ogni essere è differente e distinto da tutti gli altri. In Elogio della Distinzione, altra opera, del 2019, che compone questa raccolta di saggi, Tommaso Romano sottolinea quella «condizione singolare», la quale non inficia, non contraddice il concetto dell’uguaglianza degli esseri umani, perché ne esalta l’intima natura, il dover essere, ovvero, la capacità di essere autentici e assertivi, consapevoli di sé stessi, di realizzare l’uguaglianza nella diversità, nella libertà di affermare il proprio sé, nella «permanente concezione di Aristocrazia, Cavalleria, Nobiltà, come segno e consapevolezza di Stile […] rispetto a tutto ciò che è, invece, conforme, standardizzato, massificato». La Distinzione, pertanto, deve «essere perseguita da tutti», da tutti riconosciuta senza «ombra di discriminazioni e razzismi» perché è una selezione naturale e necessaria, «frutto della Creazione» e non del processo evolutivo. In sostanza, nei concetti di Nobiltà e di Cavalleria va recuperata e riconosciuta l’Aristocrazia dello Spirito: fonte dell’educazione e dell’etica tradizionale; la sola che può elevarci all’Uno, farci ritrovare, spiriti affini, nella Singolarità accogliente, in cui l’essere è la coscienza universale che si alimenta del sacro, del pensiero originario dell’interessere che, contro le barbarie, le violenze, le volgarità, può fare sbocciare la Rosa nell’interiorità e realizzare le belle esistenze, moltiplicare e accomunare le nature diverse e «signorili» facendo crescere sempre di più la consapevolezza del «dovere di essere», dell’agire nel valore e nell’edificazione - qui in questo nostro mondo sempre più secolarizzato e indifferente al linguaggio della poesia e della bellezza - del mosaicosmo, a imitazione della celeste e infinita mosaicosmica architettura.     

È, questo, un invito a «procedere intellettualmente e spiritualmente verso un risveglio», a intraprendere il proprio cammino sulle orme della Tradizione Regale (altro testo presente nel volume), la quale, fa notare Romano, va intesa e praticata nel suo etimo: «tradere ovvero trasmettere quella consegna verticale proveniente dall’alto, da Dio o dagli Dei […] o comunque da un Assoluto che trascende e lega ogni soggetto all’idea del cielo, del cosmo, del sacro, oltre che alla terra, in una fervida attesa e speranza di vita eterna, di gioia contemplante il Sommo Bene». Quella domanda iniziale posta in premessa, allora, è sull’essenza dell’umano, del divino e dell’intera realtà; essa ci sollecita a incamminarci sui sentieri del pensare e del profondo sentire, dove solo è possibile stabilire un contatto con la divinità, accoglierne la consegna e praticare la Via dell’origine o della Tradizione in vista dell’avvenire; per realizzare l’essere-per-la-bellezza, la quale è Regalità e teofania: potenza creatrice, che sola può volgerci e ‘consegnarci’ all’Assoluto nella perenne ricerca della Verità, quale Unità del Tutto. Regale e divina è la bellezza, perché essa ha la sorgente in Dio,  Re e Signore dell’universo, al quale deve riconoscersi il potere legale: il Principio, o la Legge, che ha dato ‘ordine’ al cosmo, e a Mosè i comandamenti incisi sulle Tavole. 

«La regalità», scrive Romano citando Vladimir Volkoff, «ha già in sé la propria costituzione, non può rinunciare al sacro senza rinnegare sé stessa». In passato, il sacro fece ‘regali’ le monarchie e gli imperi, ai quali la Chiesa riconosceva la legittimità di governare in nome e per conto di Dio. E antica testimonianza offrono i libri sacri del profondo legame tra Dio e i re d’Israele, gli unti del Signore. Un concetto così nobile legato alla singolarità e al sacro, soprattutto all’Incarnazione del Re supremo in Gesù Cristo, anche alla luce di quanto si è tratto dalla complessa teoria del mosaicosmo e qui evidenziato, non può restare relegato nelle sacre scritture e nelle tenebre del passato storico, perché, come rileva Romano citando Vico, la venuta del Re sulla terra è “storia ideale eterna”, «tutt’altro che irreale». La «Regalità è la sinfonia dello Spirito che edificò Civiltà»; è

la formazione universale della Coscienza Cristica, che va riconosciuta e instaurata nelle famiglie e modellata sulle «relazioni da padre a figlio». Perché «in verticale si compie» quel «Bene più alto», che è il Principio eterno dell’amore, cui tutti i popoli dovrebbero ambire. Il mosaicosmo è l’illustrazione di questo Principio in quanto Legge dello Spirito, della Bellezza, dell’Unità, della Verità, ma anche «una Idea-Forza, un Mito, un Simbolo, un Modello, per una “resurrezione”». «L’origine sacrale della Regalità» è attestata anche da numerose profezie e dalle figure “mitiche” dei re-sacerdoti delle antiche civiltà, e dei Re Taumaturghi della Francia e dell’Inghilterra del Medioevo e della prima Età moderna. «Il  Mito, insieme alla religio, è, quindi, un legame visibile fra umano e divino, che ha nei simboli e nel rito la sua manifesta effettività e durata». E qui, più del Logos, di cui sono elementi e “alimenti” essenziali, il Mito e il Simbolo consentono di andare oltre la realtà contingente e accedere a una visione cosmica, quale è quella del mosaico ideale contemplato da Romano, la quale deve farsi «vocazione per ogni uomo che senta l’esigenza di migliorarsi e di scalare con la conoscenza e la Grazia, l’Infinito che è l’Eterno, come lo è Dio Creatore».

Il messaggio di Romano, allora, è «Ricerca, formazione, autoeducazione per una pedagogia ambientale e spirituale […] autentica apertura al respiro vitale naturale che tutti e tutto coinvolge, come medicamento e speranza, come ricomposizione di orizzonte e di senso». La Regalità è questa visione di «ulteriorità»; è «l’etica cavalleresca», donchisciottesca, di chi, come l’Hidalgo, capovolge la realtà nel sogno, il quale è la retta visione e la dimora della vera realtà. A venire.  

 

[1] Titolo di un’opera dell’Autore, pubblicata da ISSPE, Palermo, 2007

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.