Tommaso Romano, La Tradizione regale" (Ed. Thule) - di Carmelo Fucarino

The Crown o se volete la Corona

 

Quattro stagioni dal 2016 al 2020 per dieci episodi ad anno, tanti spettatori e premio Golden Globe del 2021 per migliore serie drammatica, e nell’ambito del genere migliore attore, migliore attrice protagonista, non protagonista e in una serie. Ogni anno tuttavia i premi e i riconoscimenti sono stati torrenziali come le acclamazioni della critica televisiva che hanno premiato la simpatia e la fedeltà dei milioni di spettatori: ben sette Golden Globe e otto Premi Emmy. Apprezzate da pubblico e critica soprattutto le interpretazioni di Claire Foy e di Olivia Colman, ma anche John Lithgow-Churchill e Helena Carter – principessa Margaret.

Il titolo della serie televisiva britannica e statunitense scritta da Peter Morgan per Netflix, The Crown, semplicemente La corona, protagonista assoluta senza altra attribuzione, spiegazione o certificato di proprietà.

Eppure si è trattato di un genere obsoleto tra un pubblico smaliziato di argomenti imperanti e globalizzanti di gialli, noir e thriller di tutte le specie, epidemia ormai endemica tra scrittori e cinematografari della moderna narrazione scritta, cinematografica e televisiva. Il tema affrontato è quello novecentesco del genere storico e più solidamente drammatico, la frastagliata biografia della regina del Regno Unito, regnante ormai , Elisabetta II e della sua vasta ed eterogenea famiglia. Essa parte dal 1947, segue il matrimonio con Filippo e la crisi di Suez e prosegue attraverso il primo scandalo Profumo, il giubileo dei 25 anni del 1977, le vicende amorose del principe Carlo, le vicende di Lady Diana fino al governo Thatcher nel 1990. Regina a 25 anni dal 6 febbraio 1952, coronata il 1953, regna ininterrottamente e celebra quest’anno il suo Platinum Jubilee, il Settantesimo di regno alla veneranda età di 96 anni (London, 21 aprile 1926).

Sono vicende mitiche e peccati veniali le intemperanze nei riguardi del rigido protocollo, anche se la vicenda si è conclusa con la misteriosa morte dell’amata e popolare Lady Diana, così le vicende poco ortodosse degli amori del principe Carlo. Oggi alla sua età i continui sismi che scuotono la monarchia, i susseguenti “anni horribiles”, il grande strappo dello scandalo Epstein del principe Andrea è il colpo più terribile, dati i termini del gravissimo e indegno reato, tanto da costringerla a degradarlo con la sottrazione dei gradi militari da eroe e dell’uso del titolo di Sua Altezza Reale («With The Queen’s approval and agreement, The Duke of York’s military affiliations and Royal patronages have been returned to the Queen»). Dolore angoscioso per una regina che ha saputo reggere al disinvolto e disastroso passaggio di Diana fino ai misteri della sua morte e che ora si trova pressata da continui scandali della sua famiglia e del figlio più prediletto. Contemporaneo è stato lo strappo e la frapposizione del vasto Oceano Atlantico del nipote Harry, che ha rinnovato le ritornanti moderne cadute nelle nozze non aristocratiche.

L’esclusività data da The Crown alla corona inglese dimostra quanto essa appaia unica ormai nella società moderna in confronto ad altri monarchi che si vantano di andare in bicicletta o prendere l’autobus, dal Belgio alla Svezia, alla Norvegia, ai Paesi Bassi, etc. Uguali vicende scandalose ha coinvolto la neo-restaurata monarchia spagnola, dal Re emerito Juan Carlos esiliatosi ad Abu Dhabi, travolto dallo scandalo per corruzione e per frodi finanziarie fino all’abdicazione nel 2014, al processo per truffa e corruzione dell’Infanta Cristina e ancora all’ultimissimo peccato veniale delle sorelle del Re Felipe VI, Elena e Cristina, per avere saltato la coda durante la vaccinazione contro il coronavirus. L’unicità della monarchia inglese nel 2022 è marcata e sentita nella sua distinzione da Elisabeth, l’osannata e adorata Lilibet con la spettacolarità del suo look nel vestire, ma anche con l’imperturbabile e decennale suo aplomb, soprattutto nella rigida etichetta, il suo modo di porgersi al suo popolo che ha secoli di tradizione, non solo come costume o stile, ma soprattutto life way, modo di essere immutabile e perenne della monarchia inglese.

Questo proemio che dà cenni essenziali sulle monarchie odierne nell’ambito ristretto eurocentrico ha voluto dare un avvio al discorso sulle “Monarchie”, come sono viste ed intese oggi e come sono storicamente lette e sviscerate nel loro primitivo sviluppo diacronico e sincronico dal profondo e fluviale saggio di Tommaso Romano, La tradizione regale. Singolarità fra Autorità e Libertà, (Fondazione Thule Cultura, Palermo, MMXXI), in una fase assai critica dell’istituzione con i pesanti interrogativi che pone la più antica e stabile monarchia, in un momento di estrema crisi del gruppo familiare inglese e considerata l’estremamente avanzata età della regina Elisabetta II. Resisterà l’istituzione nella sua integrità e sacralità? Cosa sarà il dopo l’ineffabile sorriso?

Dare nell’economia di una recensione una esauriente e completa analisi di quest’opera è estremamente arduo, se non impossibile, sia per la sostanza dei temi trattati sia per la profonda acribia dell’indagine che si avvale della ricerca storica dalle prime comunità antropologiche alla recente codificazione storica e soprattutto filosofica, per il rigore logico nella sua sincronia e diacronia.

Il testo è strutturato in due parti, la prima in cui è sviluppato dall’autore il concetto di  regalità, la seconda in cui si dà spazio ad una serie di dieci saggi ed interventi, contributi che confermano la prospettiva attraverso le opinioni e le analisi di esperti studiosi sul tema.

Già nell’incipit del proemio l’autore esplicita e definisce la reale dimensione ideologica del trattato: «La regalità è la bellezza manifestata dal Sacro che si protende al superiore, il mito dell’ordine, un radicamento nel simbolo, l’umana trascendenza che supera il solo divenire del singolo e la consegna dell’Assoluto, al tempo della vita» (p. 7). Immediatamente dopo, partendo dal principio che «regalità è l’incarnazione di un Principio che si incarna in un Re» e dal «riconoscimento della corretta Origine del potere sovrano, generato e codificato nel Rito sacro, nei Simboli, nel Mito che è sorretto dalla Grazia e dalla Volontà di Dio, con la decisa e laboriosa volontà e determinazione di guida pastorale del popolo, delle nazioni, perseguita e fondata sul primato dello spirituale e del conseguente Diritto Naturale», la conseguenza di una “idea e visione di risorgenza” che devono «non limitarsi alla denuncia dell’esistente o all’idealizzazione del passato, anche ricco e glorioso, ma mirare, piuttosto, istituzionalmente e costituzionalmente, a quel Bene, che abbiamo indicato quale fonte di autentica legittimità e per la necessaria Restaurazione anzitutto spirituale e, conseguentemente politica, sociale ed economica. Ne consegue una ideazione realistica, una architettura virtuosa che prepari l’avvento della Sovranità (altra cosa del sovranismo)» (p. 20).

In questa prospettiva è pertanto naturale la enucleazione di simboli e simbologia, ma soprattutto del rito che storicamente si è creato a sublimazione e a sacralità della Regalità che storicamente con i suoi apporti ideologici diacronici, di pensiero e di costume si è concretizzata e materializzata, a partire dalla primitiva forma del basileus e dello spurio Fanax nelle forme della “Monarchia” (“potere di uno solo”) all’Impero (da imperium ed Impero, “comando”, nome e verbo), ma anche alla forma di “re”, da rex, radice di rego, “comando”, o nella forma più soft di “sovrano”. Parallela alla tradizione greca da Omero in poi, la sacralità del mito è indicata dalla forma biblica, quel David straordinario antenato di Gesù, alla millenaria tradizione dei faraoni. Ci sarebbe da rilevare l’archè divina del re orientali, indoeuropei e persiani. Lo sviluppo diacronico del concetto sintesi di Regalità e Sacralità trova nel testo un’analisi puntuale e particolare, passando dalle società note attraverso l’archeologia e i reperti e monumenti per passare alla storia da Atene, a Roma e Bisanzio nell’evidenza della sacra unzione. Dal momento della crisi della romanità l’analisi è impostata  in termini antropologici, teologici e filosofici nel travaso dello ius romano al suo adattamento al diritto morale cristiano, in quello che è proposto nella domanda “che cosa è la Romanità” (G. A. Scaltriti) ed è riassunto nel “sincretismo di Roma e sintesi eterna del Cristianesimo” (Attilio Mordini).

In conclusione «la riscoperta della natura ontologica di status, di ogni uomo preso nella sua singolarità e in relazione con gli altri, capace di trascendere la propria onticità empirica nell’universale e nell’atemporale, è il presupposto di una gerarchica naturalità che, rispettando e affermando il Diritto singolo e delle genti, afferma di conseguenza l’ordinata coesistenza» (p. 106).

In questa ottica, nel primato del singolo e della politica è conseguente la condanna della potenza e del potere delle oligarchie della tecnocrazia, della tecnofinanza e della tecnoscienza. Perciò l’indipendenza degli istituti, Camera e Magistratura, il richiamo alla giustizia sociale. Passando alle forme dell’Ancien Régime, segue la narrazione della profezia sul Gran Monarca nelle tradizioni, ai Re Taumaturghi e al conetto di “trascendenza del principio monarchico”. Esemplare e di grande spessore storico ed umano la descrizione dell’antichissima sacralità dell’imperatore giapponese in un’epoca che ha avuta imposta la sua dissacralizzazione. A pensare che il primo mitico imperatore del Giappone Jinmu regnò nel VII secolo a.C. e attraverso dieci dinastie e la tragedia di Hirohito, delle atomiche e la fine dell’Impero, all’abdicazione di Akihito, si è giunti al regnante Naruhito, Sua Maestà Regnante, Tennō, da ten, “paradiso”, “Sovrano celeste”, tra iniziazione e unzione. La positività della prospettiva regale trova in conclusione la sua apoteosi nelle deformazioni negative dei totalitarismi, tra comunismo, nazismo e dittature, non meno pericolosi del democratismo e delle dittature salutiste. Così l’ambiguità di sovranità e sovranismo, tra identità vere e false.

Dopo gli equilibrismi e le meschine sceneggiate della recente conferma a Presidente della Repubblica Italiana di Sergio Mattarella che ci prospetta una reggenza di ben quattordici anni, forse in questa privazione di alternative e di inettitudine di una classe politica costruita e sputtanata da personalismi nell’assassinio dell’ideologia dileggiata e della politica, manca forse a questo punto solo l’ereditarietà familiare del titolo, come è avvenuto in USA, prima nel tentativo dei Kennedy e poi nella realizzazione dei Bush. Naturalmente senza nulla togliere o mettere in discussione le doti politiche e le capacità del neo-eletto. A parte la sacralità, la divinazione di un individuo che oggi si circoscrive e per fortuna si limita alla lunghissima ovazione con l’americana standby.

Quanto può valere oggi l’appassionata e accorata Utopia di Tommaso Romano della Sacralità della Corona in una fase di dichiarata e conclamata distopia dirompente ed imperante, in una società in cui «l’oligarchia, oggi planetaria, è quella dei detentori abusivi della potenza, i padroni della tecnocrazia, i nuovi re del mondo, che ci fanno ricordare il re delle tenebre. Questi spregiudicati oligarchi condizionano dolcemente, usando soprattutto la tecnica, i media, l’informatica unita alla cibernetica e alla chimica, verso l’inquadramento del corpo sociale, addestrato come il cane di Pavlov… L’Impero del nostro tempo è il grande fratello… è l’istinto di gregge». Ancor più, abbiamo registrato, nella biennale e ancora attiva dittatura del COVID, il “biopotere come effettivo Grande Confinamento”, destabilizzatore dei “ritmi biologici e delle costanti antropologiche” (Roberto Pecchioli). Basta perciò «non spedire al capestro l’intelligenza in pericolo di morte (Marcel de Corte) in una vera e propria eterogenesi dei fini (Augusto Del Noce)»? (pp. 154-155). È ciò possibile quando l’unica Corona della Sacralità e dell’Unzione, insomma del Rito ancestrale, sopravvissuta per la tenacia di un lunghissimo e solido tirocinio, è ormai limitata al taglio di nastri e alla lettura del Discorso della Corona, lo State Opening of Parliament, la rituale e fastosa cerimonia di inaugurazione del Parlamento inglese nel Palazzo di Westminster, quando è profanata ed imbrattata da umane e meschine scelleratezze, mentre tutte le altre 43 monarchie mondiali al 2022, 12 in Europa, 13 in Asia, 9 in Nord America, 6 in Oceania e 3 in Africa, tra gli ultimi refrattari regni del Commonwealth e quelle Costituzionali e miste europee, le musulmane e tutte le altre orientali, pur sempre con linee di successione che risalgono all’antichità o al Medioevo, sono semplici stati sovrani con un monarca come capo di Stato, proiezioni di un laicismo imperante che si vanta di essere uguale al suo popolo (come ad esempio, “re dei belgi” e non “re del Belgio”)?

Non si può non sottoscrivere senza remore la conclusione di Tommaso Romano sulla “sostanziale egemonia della tecnofinanza e della tecnoscienza, l’esportazione della falsa democrazia nel mondo”, una “marcia apparentemente trionfale e recentemente appannata dalla pandemia”: «le nuove potentissime oligarchie globaliste anche di marca sanitaria, impongono sempre più regole, costumi, confini, commerci, limiti a libertà e diritti civili, continuando a prosperare, al riparo di noti gruppi mondialisti, facilmente suggestionabili in dipendenza, verso il soddisfacimento, il più delle volte veicolato da emergenze, di modi, costumi e tendenze, spacciati come “correttivi naturali”, in realtà espressioni di liquefazioni disidentiche» (p. 157).

E qui ci fermiamo in questa sintesi incompleta lanciata nei suoi punti chiave soltanto come attrazione e suggestione e invito a leggere il voluminoso saggio (pagine 311), allettante nella lettura per la passione che lo sostiene, anche se il linguaggio può apparire alto e talvolta difficile.

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