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Caro Francesco,

eccomi. Sembra strano, ma la gestione (nel mio caso rigorosamente domestica) di questa pandemia finisce a volte per rendere lente e complicate azioni quotidiane che prima erano semplici e rapide e così in una giornata, apparentemente tutta a disposizione, il tempo squaglia come un ghiacciolo.

Ho letto attentamente il tuo ricco fascicolo, a più riprese, ma sempre con interesse, suscitato dagli argomenti nonché dalla tua capacità di coinvolgere chi legge. Mi ha colpito in particolare il tuo modo, per così dire, 'spartano', di dire le cose, senza mezzi termini, senza infingimenti. Sei uno che queste 'cose', appunto, le dice come vanno dette, non «le manda a dire», per usare un'espressione corrente. E se occorre, ne paga le conseguenze. Il fatto è che non si può essere autenticamente poeti in maniera diversa. Il poeta è uno che spunta da dove gli altri non si attendono.

In più di un aspetto ho colto delle consonanze con il modo di intendere la poesia, oltre che di 'giocarla' in un verso che è «libero» non solo sotto il profilo stilistico, formale, ma nella concezione di vita e dell'arte, dei rapporti etc.

Mi trovo, insomma, in sintonia. Potrei fare degli esempi, ma mi perderei di strada. Mi limito a qualche fugace riferimento (e, come dicevano i latini, "ab uno disce omnes"). Quel tuo aforisma che intitoli "Supermarket" corrisponde, da sempre, a una mia precisa convinzione. Idem per questi versi che traggo da "Enjambement": «I giri di parole servono a poco / Bisognerebbe imparare a non chiedere».

Assai puntuale la tua analisi della poesia di Tommaso Romano.

Ancora grazie per la bella poesia che mi hai dedicato e per aver riproposto la nostra intervista.

 

Complimenti vivissimi per il tuo impegno letterario e tanti cari saluti,

 

Bagheria, 30 Aprile 2020

 

Lucio