XV Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Ignatianum di Messina

 

 

MESSINA,  i Gesuiti stabilirono, credo, il secondo loro insediamento. Per quel che riguarda il tempo di cui narro due insediamenti, sopra ,in collina, Ignatiarum, in Piazza Cairoli, il Sanjt'Ignazio. Ignatianum mi pare fosse per coloro che volevano diventare sacerdoti, un  seminario, mentre il Sant'Ignazio  per studenti  comuni ,non obbligati ad alcuna religione o meglio non per formare dei religiosi . Un grande edificio. In stile vario,neogotico, cupole rosse, finestroni a sesto la Chiesa,al Collegio vero e proprio si pervgeniva dalla alberata di Piazza Cairoli, il cortile e  la Chiesa in fondo , alla Chiesa si poteva accedere anche dal portale vero e proprio. Tre navate distinte da colonne distanziate, un altare,sopra un mosaico di Cristo  benedicente, finestre colorate, a ripensare  un rifacimento in vari stili,  finto antico,  la luce penetrava cautamente, leggera, ombrativa, sì, generava  l'atmosfera riservata dei luoghi dello spirito,belle e robuste impalcature di legno marrone per coloro che volevano confessarsi, le tendine coprivano il sacerdote,all'ingresso il contenitore dell'acqua benedetta, bagnavamo appena le dita e segnavamo la Croce sul nostro corpo, secondo il rituale cattolico, esisteva anche un baldacchino per la predica. La  Messa   nel maestoso, solenne, rimpiantissimo latino. Andavamo ogni giorno scolastico, sei ogni settimana, al Rosario, il mese mariano, maggio, chi voleva poteva montare al secondo piano,  fermo, splendente , esposto e illuminato dal sole siciliano che a primavera irradia senza bruciare. Ebbi l'aspirazione a  consacrare il mese mariano.Con la religione avevo un rapporto che non saprei riferire, gradivo le atmosfere visive, il silenzio, musiche, canti, la solitudine, i colori delle vetrate,   i quadri, le statue, i banconi degli inginocchiatoi, moltissimo la lingua latina, talvolta qualche predica quando il sacerdote saliva sul pulpito tornavo nel Medioevo, i sacerdoti tenevano ad essere considerati spirituali, ed avevamo un padre spirituale, Conigliaro, magro, nervoso, in perpetua tensione di muscoli e nervi, esibiva la sua  ascetiticità ogni istante.Mi deluse.Un uomo  era entrato nel cortile mentre  stavamo con questo padre Conigliaro e chiedeva insistentemente di essere confessato ma padre Conigliaro lo respinse e restò con noi.Ho insegnato tutta la vita, conosco quale attrattiva può suscitare un docente sugli studenti e quale compiacimento nel docente.Padre Conigliaro suppongo titeneva di affascinarci con il suo ascetismo muscolare,non si manifesrava con tutti, con Ferdinando Salleo, Giuseppe Russotti+, me, e qualche altro, credo, ma forse era un asceta con tutti e per tutti.!Noi, del resto, facevamo  unioni non esclusive ma meno o p'iù inclusive. Ferdinando Salleo, Giuseppe Russotti, ed io eravamo unitissimi. Talvolta ci incontravamo non soltanto dai gesuiti ma nelle abitazioni. E  nella abitazio9ne di un compagno, Stefano Reitano, calabrese di Anoia, piccolo  di forza fisica dinamitarda, dalle azioni sproporzionate, irresponsabi1issime, nel silenzio di tutti, lanciava coltelli che si infilzavano nella cattedra passando   accano alla testa dei compagni ai primi banchi, il vecchio malinconico  Professor Castorina sentiva un rumorio nella cattedra e sollevava lo sguardo, ma noi che eravami i “bravi” ,Ferdinando ed io, udivamo, perr dire, il passaggio del coltello. Bisogna riconoscere che Stefano Reitano non intaccò alcuno. Fu bocciato, con sollievo di respiro di molti, ma ci divertivamo, a casa sua, e ci prendavamo a cuscinate spargendo lana .Avevamo quindici, sedici, diciassettec ann, la preistoria della nostra storia. Ne seppi dopo, fu uomo politico nel suo territorio.  Nuvole dell'esistenza, passaggi al vento. Facevamo anche ritiri spirituali, gli “esercizi spitituali” di Sant'Ignzio.ultimo piano ,terrazzo, dominava la città, vedevamo le camionette della polizia seguire coloro che scioperavano, a metà degli anni Cinquanta, più o meno, sempre questo Reitano svitato un tubo soffiava, la notte, durante gli “Esercizi Spirituali”, un suono così lungo e stralunato che pareva dì altri mondi, e noi che avevamo meditato sull'aldilà, faccio per dire,  sull'infernoe credevamo  giunto il momento apocalittico. Si doveva riflettere sulla vita e la morte e la creazione ma non fu così, anche se l'intenzione era apprezzabile. A distanza di termpo, ne venni preso. Si vociferava che il nostro preside, padre Cultrera, fosse tendente a prefrerenze maschili, si cimentò in una lettura e commento del canto V dell'inferno, Paolo e Francesca,, lezione magistrale, ma non oltrepassò la lettura. Non imparammo moltissimo al Collegio dei GesuitI, Ma l'efficacia del loro insegnamento veniva dallo stare insieme oltre l'orario scolastico(lo suggerirei alle scuole pubbliche!), nel suscitare una comunità di livello, nel sentirci “superiori” anzi volerlo diventare, a maggior gloria di Dio, certo, ma dunque al massimo sforzo umano. Ne dirò, ho avuto rilevante collaborazione con gesuiti, oltretutto un indimenticato siciliano, Virgilio Fagone S.J., a Roma.. Ne dirò. A Messina, il Rettore non lo si vedeva. Quando concludemmo il Liceo, ci invitò nel suo esteso,, elegantissimo, lucente salone, era un uomo magro, elegante, un vero superione, mi pare si chiamasse Pennisi. Ci presentammo, Ferdinando ed io, i “chiamati”, poche parole, serie:essendo noi due i migliori del Collegio non dovevamo sprecarci anzi valorizzarci, perchè il valere senza valorizzazione non valeva. E ci salutò. Anni dopo, non molti, Ferdinando divenne Ambasciatore, a Mosca ed a Washington, io con un testo su Nuovi Argomenti, la rivisra di Alberto Moravia, e il libro di poesie La Conclusione, pubblicato da Vallecchi,ebbi notorietà mondiale, per qualche anno(ne scriverò, ovviamente). Tornavo talvolta a Messina, e irresistibiomente al Collegio.  Ero sulla trentina , ormai familiare della cultura europea ,a Piazza Cairoli, Padre Scimè!Più gorillesco di sempre, mi vede, lo vedo,incredibile, mi afferra per l'orecchio, quasi  sollevandosi o abbassandomi, mette una mano in tasca, mi dà una caramella, mi dice:Fatti Santo!  Fantastico, così, il tempo non dovrebbe passare. LUI RESTAVA NEL COLLEGIO,  IO CHE MI SRADICAVO. Ancora studente a Messina oltre che verseggiare, articoleggiavo. Scrissi sulla pubblicazione del Collegio la nostra cena di licenza liceale, e mio fratello già all'Università mi fece scrivere su di una pubblicazione   universitaria.IL MESE MARIANO LO AVEVO CONSUMATO DEVOTAMENTE, LE LUCI BIANCHISSIME DEL MATTINO ERANO PARADEISIACHE. MA SI FERMAVANO SULLA TERRA. GLI INTERROGATIVI METAFISICI SONO, IN ME, TERRENI. SENZA RISPOSTA. CON MOMENTI UMORISTICI. QUANDO CI CONFESSAVAMO ERA OBBLIGO DIRE DA QUANTO TEMPO NON CI COMUNICAVAMO. Io non avevo una prima comunione, alla domanda del sacerdote, un giorno che passando per la Chiesa di Sant'Antonio decisi di comunicarmi, rispondevo “da tempo”, il sacerdote voleva qualche determinazione, io ripetevo “da tempo”, e così a lungo, finchè mi diede qualche preghiera e mi consentì la Prima Comunione.Avevo scritto qualcosina minimamente da bambino, poi niente, finché da adolescente al liceo cominciai a scrivere per me delle poesie, non ricordo come le mostrai al docente Prestipino,il quale fece delle riserve sul fatto che io dicevo che l'Italia mi confidava qualcosa Disse., troppo intimo, io invece nell'oscurità ancora di quegli anni volevo proprio dire questo ,che vi era un rapporto intimo con l'Italia.Allora la Storia si chiudeva al Risorgimento. ignoravo radicalmente il presente, non esisteva a mia conoscenza ma anche a quella nei miei compagni . Per caso, su una rivista, notai dei versi... “Meriggiare pallido e assorto”;”Non recidere forbice”, erano dello sconosciuto, a me, Eugenio Montale, versi di altri sconosciuti, a me, Salvatore Quasimodo, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti,a parte Cardarelli erano versi totalmente diversi da quelli rimati o quasi rimati, con immagini totalmente mutate. Lessi anche delle frasi di un altro sconosciuto autore che trattava malissimo con descrizioni tutt'altro che olimpiche ed epiche il divino Sole! Un mondo, un altro mondo, io vivevo in un mondo che che non era il mondo o viveva un mondo che io non conoscevo minimamente. Quando ci venne chiesto di parlare della gioventù, della nostra età e i nostri problemi non ne sapevo alcunché. Per caso in una tabaccheria notai un giornale con  intestazione che riguardava i giovani. Era L'E$PRESSO, a foglioloni. Ancora una scoperta, la scoperta del “presente”

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